Iran, tra Esfahan, la metà del mondo ed il centro del paese
Arriviamo ad Esfahan alle prime ore della giornata e ci dirigiamo verso un piccolo albergo non distante dallo splendido ponte Si o Se Pol che alla vista mi riporta indietro di un anno, durante le mie passeggiate notturne sulle sue pietre storiche. Come dimenticare la serata passata a leggere alcune delle mie poesie ed a scambiare piccoli versetti con un anziano signore iraniano; come potersi scordare quell’emozionante lettura di una parte dell’inferno della divin commedia sotto un cielo stellato e gli occhi interessati di alcuni poeti erranti. Quel ponte che rimane tra i più famosi al mondo e che durante la sera comincia ad illuminarsi vestendosi con il suo consueto abito. I colori gialli ed arancioni della costruzione che si mescolano a quelli del fiume che scorre, una magia indescrivibile che non posso dimenticare; il mio pensiero ritorna a quelle melodie prodotte dal suono dell’acqua che scorre e si confonde piacevolmente con il cantare delle persone sotto la struttura, tra i poderosi e stretti porticati che non dimenticano la loro antichità.
Esfahan ha questa caratteristica meravigliosa, le persone utilizzano l’eco dei portici per cantare e sentire efficacemente la propria voce; in realtà questo metodo viene utilizzato perché a quanto pare in Iran è proibito cantare in pubblico, così le persone si rifugiano con la propria voce qua sotto; oggi siamo sotto periodo elettorale, ognuno recita qualcosa, ognuno ha voglia di cantare, ognuno ha voglia di esprimersi ed è un’esplosione di arte e libertà a farla da padrona nell’atmosfera di un ponte illuminato.
In questi ponti, sono sincero, ho respirato davvero un’inconsueta aria di libertà che non ho mai incrociato nei miei viaggi; qualcosa di veramente commovente che rasenta ogni tanto un sentimento piacevolmente malinconico. Non posso nascondere che lo scorso anno, nell’ascoltare la voce di una ragazza rintanatasi nei meandri dei portici, mi è scesa qualche lacrima origliando quell’indescrivibile melodia lambire lo scorrere dell’acqua vicino alle pietre, dando un tocco quasi onirico ad ogni mio ricordo.
Incontriamo nuovamente Mohammad e Mahtab che ci deliziano con la loro sublime compagnia, tra passeggiate dentro alla maestosa moschea del venerdì, camminate all’interno del bazar tra aromi speziati, articoli argentati ed una pausa allo splendido negozio di tappeti di un ragazzo che ci alletta con la sua compagnia dopo essersi ricordato del mio passaggio in queste terre durante il viaggio dello scorso anno.
Vado a dormire con la stessa felicità con la quale l’anno precedente mi andavo a coricare cullandomi tra coperte persiane, sognando i sorrisi dei venditori dei bazar nel bel mezzo di soavi melodie di tradizionale musica iraniana.
Vado a dormire con la stessa felicità con la quale l’anno precedente mi andavo a coricare cullandomi tra coperte persiane, sognando i sorrisi dei venditori dei bazar nel bel mezzo di soavi melodie di tradizionale musica iraniana.
L’ultimo giorno Mohammad ha un impegno, così Mahtab si offre di portarci a fare una passeggiata tra i diversi ponti della città, raccontandoci della sua nuova avventura con il canto.
La passeggiata prosegue tra un continuo scambio di idee ed una lettura privata della vita odierna di una donna libera in una repubblica islamica. Sono sorpreso da così tanto coraggio e così tanta voglia di vivere ed ascolto con la solita passione le parole sentite di questa giovane ragazza iraniana.
Dopo una lunga discussione a tre sulla filmografia internazionale ed un breve scambio di vedute sul cinema italiano d’epoca, Mahtab ci delizia per alcuni secondi con la sua splendida voce lasciandoci rabbrividire d’emozione al canto di un’antica canzone del Khorashan che risuona nella serenità di un rosaceo tramonto persiano.
Ci soffermiamo per qualche minuto tra le famose arcate del ponte Khaju, nella fresca brezza serale rimaniamo in silenzio ad ascoltare giovani ed anziani cantautori e poeti decantare poesie di Hafez e scritti personali che descrivono la vita quotidiana in Iran, riflettendo le parole sullo specchio d’acqua illuminato dai colori del ponte.
E’ l’ora di partire alla volta di Sanandaj per visitare il kurdistan iraniano ed andare alla scoperta di una parte di esso mai visitata prima d’ora, complice i pochi giorni avuti a disposizione lo scorso anno per muovermi all’interno del territorio iraniano.
Prima di recarci in territorio curdo decidiamo d’andare alla scoperta di un piccolo gioiello nascosto tra Esfahan e Qom, l’antica città di Kashan; un centro famoso per le sue casette tradizionali e per il suo incantevole bazar.
Durante il tragitto il bus attraversa una splendida vallata attorniata da aspri monti che s’innalzano tra austere nuvole nere e piccoli villaggi di terracotta. Il bus prosegue verso Kashan ad una discreta velocità, transitando in una delle zone più controllate e sotto l’attenzione degli occhi di tutto il mondo, Natanz.
Natanz è una piccola cittadina tra Esfahan e Kashan che ha la particolarità di essere la vicina di casa di una delle centrali nucleari più vigilate al mondo; l’atmosfera passando dalla zona centrale con il bus ha del surreale e la tensione ed il perenne controllo sembrano essere l’ordinaria quotidianità.
L’autostrada transita vicino alla centrale tra postazioni militari, torrette di controllo, filo spinato e cannoni dell’antiaerea puntati verso il cielo, pronti a difendere eventuali attacchi esterni, soprattutto a seguito delle continue minacce di Israele di voler bombardare la zona per impedire l’arricchimento dell’uranio impoverito allo stato islamico. Arriviamo a Kashan e la pioggia comincia a cadere pesante sulla città; decidiamo quindi di rifugiarci subito all’interno dello straordinario bazar tipico in modo da proteggerci dal temporale e tentare di godere della vista della città da uno dei tetti del mercato chiuso.
Purtroppo essendo venerdì la vita dentro al bazar è sonnolenta, i negozi sono tutti chiusi e raramente ci imbattiamo in una piccola bottega senza la saracinesca abbassata. Ci fermiamo in due o tre piccole moschee per goderne la bellezza interna per poi rientrare nel bazar e tentare di trovare una scala per salire sul tetto. Tra un vicolo e l’altro ci imbattiamo casualmente in uno splendido cortile, simile ad un antico caravanserraglio, protetto da un’immensa cupola dall’aspetto sensazionale.
Una musica tradizionale risuona nell’immenso spazio circondato da antiche cianfrusaglie e da splendidi tappeti, una piccola fontana nel centro del cortile raccoglie l’acqua piovana dal foro superiore dell’immensa cupola ornata di piccole maioliche dai colori verde turchesi.
Lo scrosciare della piccola fontana centrale sembra indicare la strada allo sguardo che si perde tra le note dell’incantevole musica tradizionale innamorandosi d’ogni piccolo particolare.
Veniamo invitati a bere un chay nella piccolissima e graziosa chaykanè appostata su di un lato del cortile da alcune studentesse dell’università di Kashan provenienti da Tehran con le quali scambiamo due parole sugli studi e sulle ambizioni future per poi uscire dal bazar e passeggiare tra le rovine della città vecchia perdendoci tra i suoi stretti cunicoli e le sue piccole case tradizionali.
Torniamo ad Esfahan per salire direttamente sul bus in direzione Kurdistan addormentandoci come bambini esauriti da una giornata di iperattività sui comodi sedili del mezzo, aspettando di arrivare a Senna, buona notte Iran.