Tutto il mondo è paese
Ho cercato di spiegarlo molte volte da quando sono qui, ma la gente non sembra capire. Tutti coloro che arrivano in Australia o in un paese anglofono negli ultimi tempi, rimangono piacevolmente colpiti dall’interesse degli autoctoni per la tua salute. Traducono il saluto tra sconosciuti come un “ciao… come stai?” e li senti, quando telefonano ai propri cari a casa, elogiare la cultura del luogo esordendo con “ah, sai? Qui, quando ti salutano, anche se non ti conoscono ti chiedono come stai!”
NO!!! GENTE! NO!!! L’ho imparato vivendo negli Stati Uniti, e quando l’ho ritrovato qui, non mi ha colpito proprio perché, da linguista, so che gli idiomi evolvono, cambiano forme, flessioni, e sarebbe così bello se anche le persone seguissero la stessa direzione, mentalità e capacità mentali annesse, ma…
Vediamola così. Se entri in un locale, o se arrivi alla cassa del supermercato, o ancora stai lavorando ed entra un cliente, il suo “Hi how are ya!” è un saluto unico, traducibile con un “Ciao!”. Un semplice e sereno ciao. Nessun interessamento al tuo stato di salute. Perché? Vediamolo insieme.
Riportando il discorso diretto, più o meno lo sviluppo sarebbe come segue; una volta, i convenevoli apparivano sommariamente così: persona A: Ciao! Persona B: Ciao! Persona A: come stai? B: Bene, grazie e tu? A: Bene grazie. (o abbastanza bene, o tutto ok, o qualsiasi altra possibile risposta). Il disinteresse era comunque per educazione celato da formule di cortesia e da botta e risposta che, alla lettura come oralmente, rallentano la comunicazione proprio per diminuire la fretta. Ad oggi, si è velocizzata la forma in A:”Ciao come stai?” B:”Bene grazie tu?” A:”Bene grazie ciao”. Il senso ovviamente non esiste, ma in fondo, poco importa.
Bene. Giungiamo al punto in cui sottolineo che la punteggiatura e l’intonazione non sono quelle inutili parti della grammatica come a molti piace credere oggi, e se qualcuno se lo ricordasse, sarebbe meglio. Tempo addietro, anche in quei luoghi dove dicono Hello funzionava come sopra; A: Hello! B: Hey! A: how you doing man? B: good, you? A: Good! See ya. Ottimo. Ora, rileggiamo la formula odierna. A: Hi how are ya? B: Hey how are you? A: See you mate B: Cheers. Allora, com’è possibile vedere in tutto ciò un reale interesse? Sentire “Hi how are ya?” quando entri in un negozio di scarpe, cari giovani, non equivale ad un “ciao bell’essere umano, dimmi come stai perché lo voglio realmente sapere!” bensì riporta un semplice, scarno, simpatico anche se vogliamo -nella forma, ciao.
Chissà se leggerò ancora blog o se sentirò ancora persone parlare al telefono riportando la sana educazione delle persone che incontrano qui premiando le larghe vedute e la disponibilità dei cittadini locali, perché chiedono sempre come stai anche se non ti conoscono. Sinonimo di apertura mentale, dicono. Non è notizia lontana nel tempo la storia di due donne che prendono a calcio un’indigena in un vagone della metro con chiari riferimenti intolleranti. Succedeva qualche giorno fa. Ogni giorno il giornale racconta uno o più episodi che vedono protagonisti uomini e donne di scontri a livello razziale. Tutto il mondo è paese. Gli stereotipi esistono perché riportano alla base qualcosa di reale, e soprattutto perché continuano a sopravvivere l’ignoranza e la limitatezza. Purtroppo.
Questa settimana per esempio, si festeggia il Mardi Gras e, a giudicare dagli addobbi e dalle pubblicità e dai manifesti, è la festa preferita delle comunità gay e alternative della città. I bar e i locali pubblici “pro”, espongono la bandiera con i colori arcobaleno o addirittura la scritta “Here you are welcome” – qui siete i benvenuti. Ma sono l’unica a pensare che, quasi quasi, è scorretta una tendenza del genere? Quasi a ricordare qui i cani non possono o possono entrare, a seconda del segnale posto sulla porta d’entrata? Però quando entri ti chiedono come stai…
E poi va di moda prendersela con chiunque ti capiti a tiro, tanto che per televisione trasmettono la pubblicità “progresso” che esorta a non prendere a pugni chi ti passa accanto e per sbaglio ti sfiora. Qui, infatti, va di moda lanciare i bicchieri (di vetro) contro il viso delle persone, e iniziare risse nei locali. Per cosa? Per nulla. Un po’ come i galli nel pollaio. Si chiama Alcohol Fuelled Violence, letteralmente violenza generata dall’alcol, quindi non solo sei un pirla che prende di mira il prossimo perché, magari, è diverso da te, ma hai anche la scusa dell’ebbrezza che ti ha reso più stupido di quello che sei. Fantastico. Scommetto che la mattina dopo però, quando vai a prendere il caffè al bar, chiedi sentitamente “come stai?” al ragazzo al bancone…
Capito? Qui non sono più gentili degli altri. Non ti chiedono come stai anche se non ti conoscono… sono esattamente come gli esseri umani di tutto il mondo. Ora finiamola di idolatrare i paesi dove ti spacchi in baccanali quotidiani e trovi lavoro, certo, nell’ outback down under. Tanto vale che ci si metta tutti a seguire la vendemmia a settembre a casa nostra; almeno lì non si rischia di essere morsi dal ragno più velenoso del mondo, mortale, che alberga nientepocodimeno che nelle terre metropolitane e non, del Nord dell’Australia. Come diceva Morpheus al povero ritrovato Neo: welcome to the real world!
Cheers mates!