Take a walk on Lunigiana
Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così che avete voi prima di passare la Cisa e ritrovarvi in Val di Magra. Sì, proprio voi che superata la galleria del Valico sbuffate e vi togliete gli inutili occhiali da sole che avevate indossato per evitare il riverbero dei raggi solari sulla distesa marina. Sbagliato, ancora niente mare, piuttosto montagna e poi pianura per una cinquantina di chilometri. A voi dedico questa breve guida. E pure a voi liguri e a voi toscani, a voi tutti che risalite il corso del grande fiume fino a valicare gli appennini e dilagare nell’immenso nord, voi che “sopra Aulla non c’è una fava” e Dio benedica le fave (nostre) e le generalizzazioni (vostre). Allora immergiamoci in questo lembo di finta Toscana che guarda a settentrione, dove la gente ha quel modo di fare cordiale e aperto tipico dei liguri e la modestia che ha reso famosi i parmigiani. Se avete capito la sottile freddura siamo già a buon punto. Allora stop this train e scendete alla prima fermata.
Allora, mettiamo in chiaro un paio di cose: la Lunigiana ha una forma – e non intendo con questo termine la morfologia del territorio, bensì l’aspetto che si configura ad un primo sguardo topografico – comparabile con una lingua per i bene educati e una vagina per tutti gli altri. Io voto la seconda e porgo il destro al turpiloquio dell’intellighenzia locale, ma chiedo a lor signori, considerata la sessuofobia che domina i tempi nostri, quale metafora sia più incisiva per descrivere un territorio pressoché ellittico, con rigogliose e invalicabili montagne ai margini e un fiume che taglia il tutto precisamente a metà. Accetto suggerimenti sul clitoride. Ad ogni modo, se ancora non v’è chiaro, la Lunigiana è “quel posto tra Parma e Spezia dove ci passo in treno/auto per andare a Forte dei Marmi/Lerici/Monterosso“. E non dite, voi emiliani, lombardi e celti tutti di non esservi espressi almeno una volta in questi termini, magari rimpinguando la ciotola di legno con un “massì, dove ci sono quei bei borghi aggrappati sui cucuzzoli“. Già, una fortuna per chi abita a valle di questi impervi borghi: ogni mattina uova fresche ruzzolano nei giardini direttamente dallo sfintere delle galline borghigiane.
Quando è bene andarci, fondamentalmente, dipende da cosa volete mangiare. Badate bene: in Lunigiana si mangia discretamente ad un prezzo da kebab cinese. In autunno vi ritroverete funghi anche nel caffè, e castagne… beh la castagna meriterebbe un capitolo a parte. La castagna è stata, in passato, la salvezza di queste popolazioni. Abbiate rispetto, quindi. E mangiatene a sazietà. In estate in ogni singolo borgo, perfino i più sperduti – e per sperduti si intendono loci così ameni da far spavento al Simon del desierto di Luis Buñuel – vi proporranno sagre di prodotti locali a prezzi formidabili. La sbornia con il villeggiante olandese e il giro di polka con l’autoctono ex dipendente dell’Arsenale della Spezia è compresa nel pacchetto.
Piove sempre. Piove così tanto che le app del meteo in Lunigiana non le scarica nessuno. Piove così tanto che la gente emigrava in Inghilterra per sentirsi a casa. Piove così tanto che l’unico vu cumprà di Pontremoli vende ombrelli. Piove così tanto che l’erba cresce anche d’inverno. Piove così tanto che c’erano più ponti in piedi quando gli americani bombardavano ogni notte che ai tempi odierni. Non è un buon motivo per non venire dalle nostre parti: in Irlanda piove anche quando c’è il sole, eppure ci andate lo stesso. Anche qui verde e birra non mancano. E che dire delle menate su Londra che è la città ideale per lavorare e bla bla bla. Ma volete mettere, a parità di temporale, Buckingham Palace con i castelli di Castevoli, Piagnaro, Verrucola o Fosdinovo?
Vorrei dirvi, e lo penso davvero, che per godere appieno di colori e fragranze della Val di Magra la cosa migliore è percorrere a piedi la Via Francigena, l’antica strada che portava da Canterbury a Roma, ma so già che mi direte che questa è roba da nordici e voialtri quei normanni dalla barba sudicia e vestiti poco e male vi divertite a sfotterli mentre sfrecciate in cabriolet o sorseggiate il Campari seduti nei dehors dei bar. Qualche lungimirante italiano potrebbe spingersi oltre i passi appenninici lunigianesi in sella alla bicicletta, ma faccia attenzione: l’ultimo asfalto risale al Granducato di Toscana e, come se non bastasse, la cacca di mucca non puzza, certo, ma crea una patina pericolosamente scivolosa per le ruote anteriori. Ci sarebbero i curatissimi passi di Cisa e Cerreto, ma quella è roba da centauri. Nelle domeniche di sole le strade statali si trasformano nel set cinematografico de “Il selvaggio”. Senza Marlon Brando, ovviamente. Mannaggia, sai che pubblicità.
La storia della Lunigiana, zac! una bella frase fatta, si perde nella notte dei tempi. Un tempo in liguri che la popolavano avevano le fattezze di quel bel tomino qui accanto. In quei borghi sui cucuzzoli da cui le galline bombardano di buon mattino i valligiani vivono ancora di questi esseri. Brava gente, ma cuore di pietra (idiozie a parte, troverete le Statue Stele nel Museo del Piagnaro di Pontremoli e, se vi va di scavare, ovunque in Lunigiana). Nel medioevo i marchesi Malaspina, feudatari della Lunigiana, si divisero la signoria prendendo come linea di confine il fiume Magra: la parte a ovest prese il nome di Spino secco, quella a est Spino fiorito. La parte a est è baciata dal sole fino a tarda ora, le montagne rocciose che la sovrastano stimolano le esclamazioni dei bambini dai finestrini delle auto, le case sono ville, i borghi curati, il treno accarezza i paesi senza disturbare le fotografie dei turisti. La zona a ovest è buia, alquanto ricca, sì, ma di nebbia, le montagne sono verdi e tonde e nessun bambino le considera e nessun turista fotografa il paesaggio, perché di qui non passa il trenino dei desideri, ma l’autostrada con i suoi tir carichi di container con scritte cinesi provenienti dai porti della Spezia e di Livorno. Eppure la mia zona, e dico mia poiché ormai avrete capito che in quanto a perseveranza nella sfiga non sono secondo a nessuno, ha castelli e borghi in quantità anche maggiore. Insomma, da queste parti l’est e l’ovest l’abbiamo confuso e pure Kennedy non saprebbe da che parte del fiume rivolgersi per pronunciare il suo A sòn d’la lunegiana (traduzione locale di Ich bin lunigianese). Borghi a parte, i paesi più grandi sono Pontremoli, Aulla e Fivizzano. Il primo è una striscia di case e viuzze che dal colle dove è insito il Castello dirada verso la confluenza dei fiumi Magra e Verde. Un tempo il borgo era diviso da un muro chiamato Cacciaguerra, sorto, nomen omen, con l’intento di evitare scontri tra hooligans guelfi e ultras ghibellini. Dove sorgeva l’antico muro rimane oggi il Campanone, simbolo del paese. Prima del 1944, vista dall’alto, Aulla doveva avere la forma concentrica di un bersaglio. Non c’è motivo, altrimenti, per giustificare la gragnuola di bombe che gli americani gli sputarono addosso cambiandone per sempre i connotati. Fivizzano, la Firenze delle Apuane, è una perla dispersa sulla via del Cerreto. Non ci arriverete mai: ormai certi di avere sbagliato strada, farete retromarcia ad un chilometro dal paese.
Allora, vi ho convinti a mettere la freccia al casello di Pontremoli o a quello di Aulla? A tirare il freno a mano prima di Villafranca ed aspettare invano un autobus per Bagnone o Mulazzo? A mettervi alla ricerca della leggendaria Fivizzano? Io ci spero. Perché è vero che piove sempre, ma è grazie a quest’acqua che il verde è così intenso in primavera e il rosso così profondo in autunno. E la gente, rintuzzata nei borghi o sparsa nelle piane dei fiumi, non vi si donerà al primo sguardo. Del resto, qui sono passate tante genti diverse e non tutte hanno lasciato un bel ricordo. Vi fu un tale Carlo VIII che arse Pontremoli e i tedeschi, quelli cattivi con le svastiche, non quelli di oggi che comprano case di emigrati altrove, straziarono più di un paese. E così vi accorgerete che quella ritrosia non è insita negli uomini, è solamente una facciata, una facciata di pietra come quelle delle statue stele o dei faciòn posizionati sulle architravi per cacciare gli spiriti maligni. Fermate quel treno, quell’auto, quella moto, quei pedali, quelle gambe, corroborate l’animo con un piatto di testaroli al pesto o di torta d’erbi e quindi osservate quanto di bello la Lunigiana può offrire.
E guardate anche ad ovest, grazie.