Noi Vivi, memorie di Liberazione nelle viscere di Napoli
Domenica sera a Napoli. Sulla pelle il freddo vivace, ma non pungente, d’un febbraio insolitamente mite. Percorro poche centinaia di metri lasciandomi sulla sinistra le costole del regale colonnato di Piazza Plebiscito.
Andiamo, si scende giù. Giù, giù, giù. Giù fin dove e quanto non t’aspetti, nei segreti di cunicoli e anfratti e gallerie scavate nel tufo, e così scendendo realizzi come, pochi minuti prima in piazza, non ti trovavi che sulla sommità d’un enorme termitaio. Adesso sei precipitato, novello spirito maligno, nelle viscere della città.
Sotto nello spazio, indietro nel tempo. Anni quaranta. Soldati dal piglio marziale ti indicano la strada. Un bambino scalcia un pallone di pezza contro il muro; possiede ancora due giocattoli: una trottola e una spada di legno, con la quale scimmiotta gesti fascisti.
Sono giorni bui, tristi, feroci. L’otto settembre s’è firmato l’armistizio, l’alleato s’è fatto invasore, il nemico liberatore. E’ caos, è lotta per la sopravvivenza, e le bombe non si sa più da chi, da dove provengano. Siamo alla vigilia delle quattro giornate che varranno a Napoli la medaglia della Resistenza. Si fomenta, si cospira, si organizza la rivolta. Sottovoce, in dialetto stretto, con nemici dappertutto. Si cantano canzoni partigiane, riecheggiano a risposta i motivi nostalgici d’un regime che è duro a morire ma già non c’è più.
Perché la speranza profuma, profuma di caffè.
La speranza profuma, e laggiù te ne accorgi. Anche nella disgrazia più nera, anche nella disperazione più profonda, arde ed è sempre viva in noi, e ci permette d’attrezzarci coi fornelli da campo per dividere un caffè coi pochi sodali, e riaffermare che sopra questo mondo, pur nelle viscere d’una collina, pur ridotti allo stato primitivo, pur nello strazio dei lutti e del dolore, pur nella paura che prossimamente possa toccare a noi, siamo ancora vivi; ci siamo anche noi. Noi Vivi è la scritta che campeggia nelle menti. Noi Vivi, incisa con un chiodo, profondamente come a ferire la roccia, a monito, sulla parete. Noi Vivi, nonostante ogni avversità. Perché la speranza profuma, profuma di caffè.
E nel procedere degli eventi il fatto che le vicende narrate siano realmente accadute in quegli stessi luoghi si rileva con vibrante prossimità, è cosa obiettiva e tangibile e presente, perché quella roccia nuda trasuda ancora del sangue dei morti, dello strazio delle vedove, del sudore dei sopravvissuti; e quando s’ode il funesto rumore delle sirene antiaree e riecheggiano assordanti i boati delle esplosioni che sopra di noi devastano la città e dilaniano i corpi di chi l’abita, verrebbe voglia, a chi ne abbia ancora, di tornare a casa ed abbracciarli forte, quei nostri nonni che tante volte ci hanno riferito delle loro vicende, della guerra, di quei momenti, affinché questi non si perdano mai nel torrente del tempo, per non dimenticare, perché non ricorrano ancora, in futuro, gli errori e le disgrazie del passato. Per far sì che nessun sangue sia stato versato invano.
Risalendo, il mondo è nuovo; s’apprezza l’aria, e la libertà ha adesso un sapore. Non dovremmo lasciare che ad esso ci si abitui. Rivivere la storia è emozione dell’anima, e giusto tributo a chi ha speso la vita in quei cunicoli bui. E’ sempre e ancora Liberazione. E adesso, prendiamo un caffè.
Noi Vivi, di Febo Quercia e Antimo Casertano
Con Federica Altamura, Marianita Carfora, Antimo Casertano, Antonio Perna, Serena Pisa, Peppe Romano, Katia Tannoia.
Una produzione dell’Associazione Culturale NarteA