Ti racconto un mestiere: il Comunicatore culturale
Mi trovo un po’ per caso a parlare via Facebook con Paolo Melissi, che non è mica il primo arrivato. È il nome che sta dietro al notissimo portale letterario Satisfiction, il direttore della rivista. Comunicatore culturale, è così che si definisce. Uno di quei nomi che in Italia non hanno ancora una definizione precisa, che sono tutto e niente e che non bastano a guadagnarsi il pane, purtroppo. Quando infatti chiedo a Paolo se si vive con i guadagni di un lavoro del genere, mi risponde con amarezza: “Se sei Piero Angela o Roberto Giacobbo sì”, ed io dal basso del miei neanche ventitré anni so bene cosa intende, perché è un campo in cui ho messo piede anche io, e continuo a farlo.
Vista la vicinanza di interessi, chiedo a Paolo che tipo di percorso ha fatto. La prima tappa è, come lo è per molti, quella del free-lance per le pagine culturali di quotidiani e settimanali. Il sogno di tanti, ma una realtà molto più dura e precaria di quanto si è portati a pensare. “Poi un lungo periodo nella stampa specializzata in ambito editoriale. Ho lavorato, tra l’altro, per Diario, il Mattino, Corriere.it… Con contorno di lavoro editoriale e organizzazione di iniziative culturali rivolte al pubblico. Insomma, cose diverse ma alla fine tutto fa brodo, direbbe Roberto Giacobbo”. Sorrido: ormai Giacobbo è nel mirino. Paolo continua: “Anzi, più che brodo, una palestra grazie alla quale impari a fare direttamente, sbagliando e correggendoti”.
E anche qui, so bene cosa dice. Metto il becco e da intervistatrice mi faccio intervistata e sì, anche io ho iniziato ad organizzare presentazioni di libri presso caffè letterari un po’ per gioco, per piacere, per amicizia di chi quei libri li aveva scritti, per stima, per leggere gratuitamente, per creare interesse attorno alla lettura. Sono cose che si fanno per passione. E ne conviene anche Paolo, quando gli chiedo quale sia il fatto più umanamente bello del suo lavoro e mi risponde: “Scoprire, di tanto in tanto, la profonda passione di alcuni nei confronti della cultura, intesa nel senso più profondo del termine, che è in fin dei conti una cosa che si mangia. Quindi riconoscere quella fame nelle parole o sul volto di qualcuno”.
Io però, giovincella, sono un po’ disillusa, ammetto. Il dibattito può forse anche crearsi, la passione può alimentarsi, ma se non si vedon soldi e non si mangia di complimenti e di gloria, fa male. Allora non ti sbrighi più a leggere libri per recensirli e presentarli in libreria in cambio solo del libro stesso e della birra non pagata, perché se non vuoi sempre dipendere dai genitori finisce per essere così, che devi cercare altro. Ma oltre che giovincella e disillusa sono anche curiosa di capire se davvero non ci sia un percorso più fortunato, in quest’ambito. Allora chiedo ancora a Paolo.
La cosa più buffa che ti è accaduta sul lavoro?
“Un noto giornalista che, a volte, quando lo chiamavo al telefono, rispondeva in falsetto fingendosi un’altra persona, per poi decidere se fosse il caso parlare oppure dire che era assente”.
Una giornata, dall’alba al tramonto, di un comunicatore culturale. Con difficoltà, piccoli scorci che uno da fuori non si aspetta, e via dicendo.
“Il mio lavoro si svolge in gran parte a casa. La mattina è il momento della lettura delle fonti di informazione, che sono le più varie: dai quotidiani ai siti letterari. E poi mano alla pubblicazione di articoli, rubriche, recensioni che costituiscono la vita espressiva della rivista Satisfiction e del suo portale di informazione. Di solito, riuscendo a pranzare – più o meno – passo al lavoro dedicato ai libri o guide su cui sono impegnato. Poi c’è l’organizzazione delle Passeggiate d’Autore, il coinvolgimento degli scrittori, l’organizzazione degli eventi, il lavoro di ufficio stampa, il coordinamento. Poi, di tanto in tanto, un racconto o un articolo o una quarta di copertina da scrivere, un testo per una consulenza da mettere su cercando di non rispondere al telefono o al citofono. Nel frattempo cerco di seguire le mail dei collaboratori della rivista, insieme a tutte le altre, e programmo il lavoro per la mattina dopo. Intanto mi occupo poco professionalmente del resto della vita, che si sovrappone e interseca di continuo con quella professionale. A tutte le ore. Su tutto questo, aleggia la consapevolezza che si naviga a vista in un mercato che produce un numero spropositato di libri e che ha sempre meno lettori. Un guaio che danneggia tutti: editori, scrittori, giornalisti. Chiunque, a qualunque ora, con qualunque modalità, proverà a chiederti di parlare di lui. E’ una vita molto dura”.
Chissà se qualcuno intervisterà me, se e quando lavorerò, e chissà cosa andrò a raccontare.
L’intervista a Paolo mi ha coinvolta parecchio, credo. Che poi io Satisfiction lo seguo come seguo tanti siti del genere. Non sempre, ma è un nome che stimo, quando lo sento mi si rizzano le orecchie, è ben fatto, mi incuriosisce. Paolo fa un po’ quello che a me piacerebbe fare, e nella nostra chiacchierata mi ha soltanto confermato quanta passione deve starci dentro ad una persona, perché possa decidere di tenere il ritmo. Lo saluto, lo ringrazio, con un fare solidale, come quello che c’è fra tutti gli addetti al settore, pieno di frasi fatte che come tutte le frasi fatte sono anche vere, banalità che rinchiudono l’amarezza di ogni giorno, il rammarico di loro – noi? – tutti donchisciotte contro i mulini.
Chissà se qualcuno intervisterà me, se e quando lavorerò, e chissà cosa andrò a raccontare.