Nove
Viaggi binari
Vanamente si cercherà di dire ciò che si vede:
ciò che si vede non sta mai in ciò che si dice.
(Michel Foucault)
L’oltre sembra a portata di mano
nel muschio avvertito nell’aria
che le spore annidate sulle rotaie
liberano all’arrivo della pioggia;
o fra i cespugli d’oleandro
che spruzzano manciate di semi
nelle rogge, lungo le valli padane,
al passaggio veloce dell’eurostar.
Ma presto svanisce, se gli scrosci
evaporano al suolo lasciando
una distesa di gusci e batteri,
se le folate che increspano i canali
si placano addensando, fra i binari,
i fumi scuri delle fabbriche.
Fa buio sul tuo viso, fissi gli eventi
che il sole transitato fra le nubi
mostra sui vetri del finestrino.
Cerchi di capire quale sia il punto
che divide il prima dal dopo,
i nomi e i ricordi da attraversare
per trattenere almeno un barlume
della luce che il tempo cattura.
Entri nel tunnel, il treno affonda
nel ventre della roccia; sulle pareti
scavate nel fondo del traforo
sfilano a tratti le sagome affacciate
dalle celle degli scompartimenti.
Ti risvegli altrove, sei in autostrada,
nel cono d’ombra in cui guardavi
sfrecciare i camion all’imbocco
della galleria, i viaggi dell’infanzia
persi sul sedile, le auto inghiottite
dentro il buio della montagna;
quando sbuchi alla luce ti ritrovi
nel cuore di neve dell’Appennino,
dove qualche capriolo spunta
al passaggio silenzioso dell’eurostar
e un masso rotola dalla scarpata
rompendo in cerchi il paesaggio
riflesso in una pozza d’acqua.
Adesso sei alla fine dell’estate
passeggi sulla spiaggia e ascolti
le grida, gli scafi all’orizzonte
sollevati dalle forti mareggiate,
la ragazza in costume che saluta
sbiadendo ai bordi del lungomare.
Si fa notte, gli occhi si riaprono
sui paesi dei monti abruzzesi
che brillano come torce sulla pietra.
Rivedi i vicoli, i ceri che illuminano
le croci confitte lungo i sentieri,
il cielo che sputa pioggia e fango
e inonda stalle, vecchi poderi
dove i vitelli nascono gridando
come cristi inchiodati alle pareti.
Ora ti fermi, fissi la linea azzurra
del mare di Taranto, il molo
brulicante di gru che scaricano
container da ogni parte del pianeta
e il movimento incessante
dei pescherecci che annodano
le gomene alle bitte, intrecciando
generazioni con generazioni
dentro un’illusione di continuità.
Ma tutto ciò che vedi, le dita
inargentate dalle squame, le reti
tese per catturare altre vite
esistono per poco, nel frangente
in cui convergono gli sguardi.
Così, mentre i vagoni rallentano
la corsa, ed il nome di ogni cosa
sembra spegnersi con la luce
di questo viaggio, pensi al riscatto
dei giorni vissuti senza presagi,
ai pesci che guizzano, ignari della fine,
nell’acqua tiepida e indifferente.