Lucariello in concerto al museo del sottosuolo di Napoli
Il “vascio” (basso) napoletano è la classica abitazione dei quartieri popolari della città. E’ una sorta di monolocale a livello della strada, al quale si accede direttamente dal vicolo, unica fonte di luce esterna. In questi angusti abitacoli si è sviluppata così tanta storia che alcuni di questi oggi sono gli ingressi principali per una Napoli millenaria. Una Napoli segreta.
Come il civico 140 di piazza Camillo Benso Conte di Cavour. Il Museo Del Sottosuolo si presenta proprio come un classico basso, una porticina che si apre direttamente sulla strada. Si viene accolti dai ragazzi dell’associazione speleo-archeologica “La Macchina Del Tempo“, che ti accompagnano alla scoperta di questi luoghi. Quella che un tempo probabilmente era una botola, ci apre il mondo di una città vecchia più di duemila anni. Si scende ad una profondità di circa 40 metri. Per ritrovarsi in quello che fu originariamente una cisterna greco-romana, diventata durante la seconda guerra mondiale un rifugio antiaereo.
L’impatto, nel ritrovarti in questi immensi stanzoni di tufo, è davvero suggestivo. Il senso d’avventura e di scoperta prevale sul panico di “adesso crolla tutto”. Beh, certo, a pensarci bene come potrebbe? Ha resistito a terremoti, eruzioni e soprattutto alla guerra e alle sue bombe. Quindi eliminando per sempre dalla mia testa questi pensieri, mentre aspettavo che il concerto cominciasse, mi sono addentrata nelle spettacolari sale del museo.
“Si Napoli nun avess avuto ‘sti purtusi facevamo a fin ‘re zoccol
Che posto! Una cornice davvero suggestiva e soprattutto particolare per un concerto che già di per sè si prospetta come suggestivo e particolare. Ad aprire la serata ci sono due giovani artiste emergenti dell’ambiente partenopeo, Marilena Vitale e Federica Ottombrino , due voci stupende e diverse che s’intrecciano facendo delle proprie corde vocali il principale strumento musicale. Si accompagnano solo con una chitarra e una fisarmonica, e davvero non serve altro.
E poi c’è lui, Luca Caiazzo, in arte Lucariello. Dj e rapper. Uno dei primi a Napoli, che con la sua crew Clan Vesuvio si è fatto strada tra la difficile realtà dell’ hip hop campano fino ad arrivare ad importanti collaborazioni come quella con gli Almamegretta. Lucariello è un ragazzo di strada. Le sue canzoni dalle melodie decise e dai testi taglienti e originali ne sono testimoni. Ci racconta di punti di vista a cui difficilmente viene data voce. Luca Caiazzo cerca da tanto tempo di fondere il mondo della musica da strada con quello della musica classica contemporanea. Infatti ad accompagnarlo non sono i classici beat digitali ma l’arpa e il violoncello dei maestri Arcangelo Michele Caso e Gianluca Rovinello.
Una “zuppa”, come la definisce il cantante, che risulta particolarmente gustosa. Entrambi i generi mantengono le proprie specificità pur fondendosi in un sound affascinante che ti travolge, nella cornice ancor più stupefacente di quella location. Mentre ascolto rapita mi chiedo se settant’anni fa i rifugiati che passavano intere giornate nella paura avrebbero mai pensato che quel luogo avrebbe un giorno ospitato un concerto. Che pensieri stupidi. Eppure la mente sembra prendere il volo tra quelle pietre di tufo e quella musica. Lo stesso Lucariello, protagonista della serata, ne è totalmente affascinato, tanto che tra un pezzo e l’altro si presta da guida raccontando aneddoti appresi dai ragazzi dell’associazione. Così, sotto terra, in un ambiente raccolto, intimo, non sembrava più di assistere ad un classico concerto, dove il cantante “fa il cantante” e rimane lì fermo, sul palco fino a che anche l’ultimo pezzo della scaletta viene depennato. No. Lucariello è un amico che canta per noi, con noi. Ci sta raccontando una storia, crudele e brutale. Una realtà terribile di cui siamo tutti vittime ma anche carnefici, nessuno si senta escluso. Parla di strada, di puttane , di bambini cresciuti da soli, di camorra. Ci racconta la nostra terra, nuda, martoriata, uccisa. Quello di ieri sera è stato un esperimento che ha visto più forme d’arte unite come un’unica arma contro un sistema che non va, contro tutte le mafie. Un urlo che arrivava dal ventre di Napoli e che spero presto possa raggiungere tutti, non solo il mare del sud, ma anche le montagne più alte del nord.