La mia morte migliore
Secondo voi è meglio sapere – seppur all’incirca – quando si morirà oppure morire all’improvviso? “Caro Enrico: si prepari che ha un sei mesi di vita” oppure prendere all’improvviso tutti e sparire “Puf”?
C’ho riflettuto sorseggiando un caffè al bar, uno di quei bar frequentati dai giocatori di carte che spulciano le epigrafi per fare una classifica dei morti per poi commentare, in successione: il tipo di morte, l’età raggiunta dal malcapitato, di chi era figlio, chi era il padre, curiosità o aneddoto (facoltativo). Ho sintetizzato la classifica della morte migliore. Al secondo posto: “morire di un colpo” (leggasi: infarto). Al primo posto: durante la notte, nel sonno.
Sarà per i miei 26 anni. Ma morire nel sonno non lo vorrei proprio. Pensate che brutto sarebbe interrompere un sogno. Buio su buio. Senza salutare nessuno. Puf.
Ho sintetizzato la classifica della morte migliore. Al secondo posto: “morire di un colpo” (leggasi: infarto). Al primo posto: durante la notte, nel sonno.
Importante la scaletta. Che è cangiante. Perché si matura sempre, giorno dopo giorno; perché la sensibilità si affina continuamente; perché ci sono sempre nuovi eventi che contengono una colonna sonora nuova. Ci sarebbero dei brani capisaldi, però. Tipo la Santa Lucia di De Gregori, Todo Cambia di Mercedes Sosa, le Anime Salve di De Andrè e Fossati.
Ho pensato anche all’ultima canzone: “Ora”, di Jovanotti, con quel finale strascicato. Sarà lì. Che le luci facciano accecare per un poco tutti quelli che la balleranno non sapendo che è veramente l’ultimo brano. Che i riflettori puntino su tutti i presenti! Fine canzone. Puf.
Perché alla fine tutto è un lampo. Diffidare da chi vi annoia.