Il potere dei tarocchi
Sabato sera e piove. Sembra l’incipit di una bella canzoncina pop in cui la storia si conclude con un bacio appassionato e zuppo sotto un temporale. O di un libro horror in cui finiscono tutti spaventati a morte e se ne salva solo uno. O è semplicemente il modo per cominciare a raccontare di un sabato sera in cui la pioggia ti ha costretto a casa, alla ricerca di modi alternativi per passare il tempo. Tipo con dei tarocchi, che hanno fatto culminare la nottata con i discorsi infiniti sulla vita, l’universo e tutto quanto.
Insomma, è sabato sera, fuori piove, e se “fuori” c’è una piccola città con cinque locali in croce, hai un problema. Perché non ti è possibile fare la solita cosa di ogni sabato sera: la passeggiata per la strada, da un locale all’altro, a parlare con la gente. Quindi, sai la novità? Stiamo a casa. Seduti in cucina intorno al tavolo, solo noi tre.
C’è quella pizza in più che hai comprato prima, quella che ti salverà dalla fame delle 3 di notte. Ci sono vodka, succo d’arancia, birra e briciole di patatine in un bustone, che a nessuno va di mangiare, perché sono faticose da mangiare, le briciole di patatine. Tre quarti di unto, grasso, sale e patatine che si attaccano alle dita mentre le peschi, e finisce sempre che ti sei imbrattato tutto per cercare di ingurgitare delle stupide briciole che per la maggior parte ti sono rimaste sulle mani e neanche sei riuscita a masticarle.
Siamo in tre, due uomini e una donna. Sarebbe troppo ovvio, come un film, che fosse lei a chiedere a gran voce la lettura del proprio futuro. E invece no. Lui che sa leggere i tarocchi, li legge all’altro. La curiosità NON è femmina, cari miei. E per ristabilire l’equilibrio cosmico io mi farei una partita a GTA, posso?
Durante il primo giro ho chiesto: “Ma perché siamo così portati a crederci (e a farli)?”
Uomini: “Ma no, noi non ci crediamo”.
Ma no, questa non è la verità. E’ come quando leggi l’oroscopo perché “sei curioso”. Il punto che nessuno ammetterà mai è che se è bello, la settimana che ti aspetta avrà un certo non so che in più. Se è brutto no, niente, fammi vedere il mio ascendente va, che dicono che dopo una certa età quello vale più del segno zodiacale ufficiale. Se fa schifo anche quello, l’astrologo è un fallito e dovrebbe proprio cambiare mestiere.
Sì, tutto vero, ma, quindi, ci crediamo? È così che cominciano i discorsi di ore sul destino, il caso, la pillola rossa e la pillola blu. Se ritieni che la lettura delle carte sia affidabile, credi per forza anche nel destino. Se quello che i tarocchi dicono è vero, allora stai presumendo che esista già e sia prevedibile, e se è prevedibile vuol dire che la tua strada futura è, in qualche modo, segnata. Tanto da rendersi leggibile.
Ma, pensandoci meglio (e dopo essermele fatte da sola), siore e siori, ho cambiato idea. Ho cambiato idea anche facendo qualche ricerca sul web.
“La cartomanzia è la forma divinatoria oggi più diffusa. Ritiene di poter conoscere cose occulte attraverso l’uso di carte comuni o speciali, decifrando per esempio le qualità e il futuro di una persona dal significato convenzionale che ogni carta rappresenta a seconda della disposizione con cui si presentano”. Infatti il gioco (perché i Tarocchi sono stati inventati come gioco nel lontano millequattrocentovattellapesca) comincia con una domanda alla quale tu vuoi una risposta.
L’uomo con cui sto mi amerà per sempre? Riuscirò a mangiare una lasagna domani sera? Se sarà ristabilita la monarchia, potrò finalmente essere il giullare di corte? Mentre decidi cosa è più importante per te, alle 3 di notte, in una cucina, di sabato sera, sbronzo, il cartomante mischia, spacca il mazzo, comincia a parlare di forze cosmiche e ti dice di pescare una carta. Dice: “scegli la tua carta positiva, quella che è alla base del tuo essere, quella che ti aiuterà a conquistare le cose della vita, che ti ha sempre aiutato finora, che ti definisce come persona. Senti le vibrazioni, Watson, le senti?”.
E l’altro fa: “e come non le sento, è questa, questa vibra come un cellulare senza suoneria”. Poi arriva la seconda carta. Che è l’ostacolo al raggiungimento della lasagna, domani sera. Senti come puzza di traffico, pigrizia, dieta? Senti la repulsione? La terza, è il motivo che ti ha spinto a desiderare di mangiare la lasagna (probabilmente sempre la dieta). L’ultima, è il primo step da cui partirai, per avere la lasagna.
Poi si scoprono le carte, si spiegano con fare molto ascetico e si sommano i numeri che ci sono sopra. La carta risultante dalla somma è la risposta definitiva. Che, nel caso della lasagna è: vai all’Eurospin e comprati il necessario per cucinarla. E smettila di lagnarti.
Perché ci facciamo fare le carte, noi, menti razionali figlie del positivismo scientifico? Prima risposta: sotto sotto, ma sotto, un po’, speriamo. Speriamo che sia tutto super positivo. Come con l’oroscopo. Non ci credi, ma se è positivo diventa tutto più bello. In pratica è la sensazione palpabile che si prova con un grattaevinci: non punti al jackpot, ma se non escono manco i 5 euro sei un po’ triste e ti senti pure un po’ sfigato. Ma sfidi la sorte lo stesso, perché il rischio di essere triste vale tutta quella vertigine del sentirti fortunato.
Seconda ipotesi: abbiamo l’ansia dell’incertezza, e vogliamo avere risposte. Anche vaghe. Anche non vere. Perché? Perché ogni tanto ci sentiamo un po’ brutti, grassi, antipatici e incapaci. E chiamiamo le persone che ci vogliono bene per sentirci dire: “No, non è vero, sei una meraviglia della natura, il fiore più bello del creato”. E noi ci crediamo. Ci crediamo anche se sono frasi dette da qualcuno che ci vuole bene e ce ne vuole un po’ a prescindere da tutte quelle cose (che, magari, sono anche vere). Oppure è come quando sei di fronte a una decisione importante: scegliere l’università, lasciare il tuo ragazzo di sempre, firmare un contratto di lavoro a tempo indeterminato a Canigattì. Chiami sempre le persone che ti conoscono e dici: “Oh, ma starò mica prendendo una cantonata?” (non dici davvero cantonata, proprio per niente). In pratica gli stai dicendo di dare un giudizio di valore, giusto o sbagliato, a una cosa che non li riguarda.
E loro, se sono saggi e ti conoscono, ti risponderanno: “ma cos’è che è giusto o sbagliato?”
Ecco, le carte servono forse a questo: non ti dicono dove andare, non lo fanno manco lontanamente, le loro descrizioni sono così astratte che praticamente includono tutto, ed è in quel tutto che trovi il significato che fa per te.
Nessuna di queste ipotesi però mi ha convinto davvero, e non ho capito perché finché non ho preso in mano le carte e, mentre le mischiavo, pensavo a una domanda. Ho capito che né la sfida alla fortuna né la storia delle incertezze, c’entravano qualcosa. Quando le ho scelte, sistemate e ho cominciato a girarle, non cercavo delle risposte, ma delle conferme. Ero praticamente convinta che ne sarebbe uscita una, in particolare, che per la cronaca non s’è fatta vedere: la papessa. Perché? Perché, secondo la percezione che ho di me stessa, quella era il centro di un problema o di una soluzione. Mentre le scoprivo però, e lei non appariva, ho capito tutto. Stavo cercando di confermare le mie convinzioni. La risposta, se vogliamo leggerla per forza così, è stata questa: “Bella, la tua papessa è esattamente dove credi, ma ci sono altre cose di te che esistono e sono fortissime”. In pratica, è come quando chiedi a qualcuno che ti ha appena conosciuto cosa pensa di te. Non è detto che dirà cose che sai, di te stesso, ma non per questo saranno meno vere. O meno importanti.
Certo, mi sarebbe piaciuto che alla mia domanda: “Oh voi, carte con il retro più brutto della carta da parati di mia nonna, ma ce la faccio per dicembre ad avere una posizione chiara nella mia vita e nel mondo professionale?” fosse apparso un messaggio scritto da un qualche Dio che potete scegliere a caso tra tutti quelli nel magazzino, con: “Sì, avoja, troppo. Carriera stellare, conquista del mondo, e, già che ci sei, riprovaci con il grattaevinci, fidati”.
Ma non era quello di cui avevo bisogno. Avevo bisogno di guardare un tavolo, con delle stupide carte, che mi confermassero solo quello che già sapevo. E cioè, che sono una gran figa e non ho bisogno di nessuno. Ah, no, scherzo.
Che è l’approccio alle cose a cambiare tutto il risultato, anche lasciando al futuro l’aura di mistero che ha. E il punto cruciale, secondo me, non è cercare di risolvere l’incognita e decifrare cosa ci aspetta, ma capire (o ricordare) chi siamo noi e quanto siamo in grado di affrontarlo.