Fermata Taxi-Brousse
In Africa – quando ci si incammina per un mercato – pare di essere trasportati indietro di centinaia di anni e, in quel momento, ci si sente parte di un’autentica carovana di mercanti Tuareg che tagliano il Sahara da Timbuctu fino all’Algeria con i loro robusti cammelli. L’impressione è questa ma il tempo è passato per tutti, inclusi i mercanti Tuareg, ed ecco che ai romantici mezzi tradizionali vediamo sostituirsi quelli moderni, autobus o automobili, che tuttavia non tradiscono di molto l’esotismo delle oasi e dei dromedari.
Si parte presto la mattina: il sole, poco più intenso di un’ombra, precipita le sue macchie rosate sul pelo d’acqua del fiume Niger, che assomiglia ad un serpente che dorme accovacciato su sé stesso, e nel silenzio dell’alba si gonfia e si srotola. In lontananza giunge ovattato lo strepitare di uno stormo di uccelli, e le donne nei villaggi si caricano sulla testa pesanti ceste di vimini per andare a rifornirsi di acqua. L’Harmattan – vento secco e polveroso – che soffiava fino a ieri sera, pare essersi calmato dietro le colline glabre che ora luccicano in un arancione tenue, e mi suggeriscono parole indigene e parole arabe, cucendole insieme in un bisbiglio che appena si sente. La tosse grassa di un motore comincia ad avvicinarsi e a farsi sempre più insistente, poi una camionetta tutta sporca di sabbia compare sul fondo della strada e si ferma a raccogliere me e due pastori Bambara (etnia africana originaria di Niger e Mali) con due pecorelle al seguito.
Monto sul mezzo di locomozione, e devo dire che anche se lo spostamento a dorso di cammello si è fatto sporadico, la magia di una sfrecciata nella Savana non si è minimamente persa. Sono a bordo di un Taxi Brousse infatti, il mezzo di trasporto maggiormente usato e amato da queste parti. Viaggiamo arrampicati gli uni sugli altri, nel cassone posteriore della camionetta. C’è una giovane donna davanti a me, con un piccolo bimbo che le frigna in braccio e una cesta traboccante di pescetti ancora vivi tra le gambe. Mi sorride – con quel sorriso sincero e disinteressato che solo gli africani possiedono – e stringe con più forza il figlioletto, dato che il grattare delle ruote sulle buche scuote la camionetta di continuo, rimandandoci la sensazione di essere bloccati in una centrifuga ad azione rapida.
Il taxi si ferma di nuovo, proprio vicino ad un piccolo stagno dove vedo due coccodrilli spuntare come tronchi mobili dalle increspature nell’acqua. Tre uomini sono fermi davanti al taxi e chiedono un passaggio. Il Taxi Brousse è un mezzo conveniente perché consente con pochi soldi di muoversi verso i centri più importanti, in particolare durante i giorni di mercato.
Questa economicità e convenienza la si paga in termini logistici però. Innanzitutto si deve essere disposti a viaggiare con tante altre persone e quindi lo spazio a disposizione si riduce; in secondo luogo si deve essere preparati alle numerose soste che il taxi effettua ogni volta che qualcuno sulla strada chiede di essere raccolto. E’ questo il caso di tre africani che chiedono un passaggio e, visto che il retro della camionetta è ormai pieno, gli viene indicato di accomodarsi sul tetto della vettura. Loro devono esserci abituati e non fanno una piega. Si sdraiano sul tetto, aggrappandosi con le dita più forte che possono, e riprendiamo la corsa, tra scossoni, derapate improvvise, e le gomitate dei tre uomini sopra di noi che sbattono sulla lamiera della vettura. Ci fermiamo di nuovo qualche chilometro più avanti. Questa volta non c’è nessuno da raccogliere ma il motivo è molto più importante. Le persone scendono e, dopo aver steso per terra i loro tappeti, cominciano a pregare devoti verso la Mecca. Noi occidentali, fanatici della velocità, non siamo abituati al fatto che si possano perdere minuti preziosi di viaggio per la sola necessità della preghiera, per questo l’atmosfera mi sembra onirica, irreale, come l’eco di un lontano passato.
Se si vuole viaggiare in Africa usando i mezzi locali è necessario mettere da parte la fretta, la claustrofobia e la voglia di arrivare. L’unica cosa da fare è cercare di catturare con il cuore tutti i suoni metallici e naturali d’intorno, gli odori di bestiame, pesce e olio di motore, e la profondità ignota della Savana che cullano la testa ad ogni nuova curva.