Sei un tipo da alti e bassi? Sì
Alti e bassi. In spagnolo c’è una sola parola per entrambi, altibajos. Essere felici e poi tristi, per poche cose, in pochi attimi. Ups and downs. Forse le persone lunatiche ci sono più abituate, ma a grandi linee gli alti e bassi sono presenti imprescindibilmente in tutte le vite, anche in quelle delle persone più normali e apparentemente perfette. Ma parliamo dei bassi, è troppo facile compiacersi di quanto siano belle le cose nei momenti up, e lo sanno tutti che l’Inferno di Dante è la cantica migliore delle tre. Ci sarà un perché, le tematiche più tormentate sono più interessanti, quindi vale la stessa regola anche per i periodi down. Ipotizziamo. Parliamo dei momenti sotto il livello del mare che nessun sole riesce a riscaldare.
Di quando la zip ti si rompe fra le dita tu scoppi in lacrime, di quando il bicchiere ti cade e tu rimani lì a fissarlo, di quando guardi dal finestrino del treno e ti si rattrista l’anima. No signora, non mi è successo niente, non si preoccupi, sto bene, è solo che queste ombre degli alberi che sfrecciano veloci mi sembrano così tristi! Se solo potesse darmi un fazzoletto le sarei molto grata.
Fra i rimedi più gettonati il cioccolato in primo luogo, gli abbracci e qualcosa di morbido da abbracciare. Voci amiche e chiacchierate confortanti. Anche una giornata a letto ci sta. Quando si è lontani da casa però la cura è un po’ più complicata. Perché tutti i luoghi nuovi e a primo impatto terribilmente entusiasmanti diventano solo stranieri.
“People are strange when you’re a stranger” cantavano i Doors, e come non dar loro ragione? La nostra percezione dell’ambiente circostante è più che influenzata dall’umore del momento. Quindi se sei in viaggio e sei predisposto alla felicità ogni destinazione ti sembrerà se non perfetta, quantomeno super interessante (quanto sono antropologicamente profumate di vita le stradine del Raval!). Se invece il vermicello della melanconia ti serpeggia sul cuore, beh, in quel caso le facce dei passanti ti sembreranno più che mai un grugno impenetrabile e gli angoli della bocca ti inizieranno a pendere verso il basso. Il passo si farà fiacco e l’andatura poco convinta (che insopportabile puzza di pipì da questi nauseabondi pavimenti umidi!).
E mi piace pensare che è proprio in questi momenti acri e violacei che il viaggio (inteso come viaggio-viaggio o viaggio-vita in senso lato) ti mostra la sua vera faccia, quella audace. Quella che per timidezza nascondeva dietro un ventaglio variopinto dalle mille distrazioni avvenenti e dai pacchiani fiori di plastica rosa e gialli. E tu rimani lì ad osservare quell’angolazione di volto non visibile a tutti, celato da setosi capelli che il vento della realtà ha spostato con una raffica violenta. Ed è così crudo che fa quasi rabbrividire.
Homesickness, gli Inglesi la chiamano così la nostalgia, ci metton dentro la parola home. Perché si può aver nostalgia di tantissime cose (del liceo, della pizza, dell’ex partner, del mare, di quella serie Tv che hanno cancellato dalla programmazione) ma per antonomasia la nostalgia è una sola, quella di casa.