Il silenzio del mare
Treno. Lato finestrino. Alla mia sinistra un posto vuoto, alla mia destra il mare. Mare di un blu intenso laggiù, a contatto col cielo, e bianco nei suoi riccioli ribelli, qui al mio fianco. Ne immagino un rumore imponente e terribile. Ma il vetro mi isola da tutto questo, incastrandomi negli occhi degli sconosciuti abitanti di questo mio viaggio: passeggeri che mi guardano curiosi ancorando la mia immagine alla loro vista, per possederla qualche tempo ancora e non averla mai più.
Tra me e l’acqua non più di cinquanta metri. Un breve e indifeso deserto ci separa: sabbia che non accoglie le orme dei miei passi ma regala il volo di qualche suo granello allo scorrere leggero dei pensieri che la sfiorano appena prima di inabissarsi lontano, zavorrati dalla malinconia dei ricordi.
Attutiti dal mio disinteresse si affollano nella testa le voci, i discorsi, gli affari, i cellulari, i rumori, gli altoparlanti, l’attrito dei binari che tentano di frenare le rotaie trattenendole alla prossima stazione. Ma sarà questione di un attimo: ripartiranno di nuovo, con alle spalle i binari trascorsi e davanti ancora binari, come un unico destino possibile, come la monotonia dell’unico suono dettato dal tasto rimasto in vita di un vecchio organo che seppe suonare grandi inni nei giorni di festa nelle chiese colme di fede e sudore.
O forse no. Forse non è il treno ma il mare a correre veloce. Forse il mio è un viaggio immobile e quella distesa azzurra altro non è che il rapido passaggio di un luogo magico popolato da fantasia e mistero, che ammalia e affascina, che ipnotizza i sensi manomettendo la nostra volontà. E quelle onde saranno certo gli scialli indossati delle incantatrici dei mari prima del “chi è di scena”, prima della prima nota, prima di quel canto preludio del più travolgente e mistico baccanale.
Se neanche Ulisse riuscì a resistere alle loro liriche nessuno potrà mai. Il canto delle sirene è la risposta al perché di fronte al mare il pensiero si perde e la mente si apre: stanno cantando per noi.
E noi, ignari, ascoltiamo rapiti l’incantevole canto che non c’è, ricambiando col nostro silenzioso e inconsapevole trasporto.
Il mio corpo verso la meta imposta dal treno.
La mia mente, libera, verso te.