Sceneggiatori VS Registi
Dicono che il duro lavoro paghi sempre, ma non tutte le volte è così.
Dopo tre giorni di scrittura intensiva, le nostre sceneggiature sono pronte per andare in produzione. Lavorare sotto pressione non è facile, ma in questo campo è praticamente una costante e, ad essere sinceri, quando si lavora in queste condizioni i risultati possono essere sorprendenti. La mia sceneggiatura – “Smuggling” – è stata scritta in un battibaleno, considerando che solo tre giorni fa non avevo che un abbozzo di soggetto. Con l’aiuto dei colleghi sceneggiatori e dei tutor sono stato in grado di completare uno script pieno di tensione, e costruito attorno ad un dialogo dinamico, genuino e drammatico al punto giusto.
Il nostro lavoro di scrittura è finito, e siamo pronti per buttarci a capofitto nella seconda parte di questo workshop dall’obiettivo folle: in solo una settimana scrivere, produrre e presentare quindici cortometraggi originali ad un festival di cinema internazionale. Stasera gli script saranno assegnati ai registi e la fase di produzione avrà ufficialmente inizio.
La mia regista è una ragazza polacca. Appare simpatica e interessata al mio lavoro. Questa è una buona notizia – sempre meglio collaborare con chi ci apprezza, no?
Il mattino seguente decidiamo di incontrarci verso le nove e mezza, quasi due ore prima dell’incontro ufficiale stabilito dall’organizzazione per la quale stiamo lavorando. Lei dice che vuole discutere il materiale senza fretta, così da essere perfettamente coordinati tra di noi. Mi pare un’idea eccellente.
Il giorno successivo, alle nove e mezza spaccate, ricevo un messaggio: “Possiamo incontrarci per le undici. Scusami ma ho bisogno di più tempo prima di discutere insieme il da farsi”. “D’accordo, nessun problema”, rispondo io. Sicuramente avrà bisogno di finire di lavorare ad uno storyboard oppure ad un piano delle riprese, così come tutti gli altri registi stanno facendo. Ho appena preso un caffè con una regista canadese che è tornata immediatamente a lavoro subito dopo aver bevuto.
Quando finalmente la ragazza arriva, vengo a conoscenza della ragione del suo ritardo. Lo storyboard o la preparazione della regia non sono responsabili – l’arcano è da ricercarsi nella sceneggiatura. Lei pensa sia troppo lunga e dispersiva (6 pagine) e ha deciso di darci una bella potata (ora abbiamo si e no una pagina). Cominciamo a discutere. Le chiedo gentilmente perché ha pensato bene di sprecare del tempo nel riscrivere lo script invece che preparare le riprese. Considerando che io sono stato assunto come sceneggiatore e lei come regista, se cominciamo a fare tutti il lavoro di tutti ne esce un putiferio dal quale non usciamo nemmeno con sacrifici animali a divinità pagane o con appelli alla Madonnina di Medjugorie. Per di più abbiamo appena due giorni per completare il film, ergo è difficile disquisire con tranquillità quando c’è una pistola carica puntata alle nostre tempie.
Lei risponde che, in quanto studentessa di cinema, conosce molto meglio di me l’arte dello storytelling. La scimmia malefica della rabbia comincia a battermi sulla spalla, ma decido di non ascoltarla. In fondo perché rovinarsi questa bella esperienza? Continuo a ribattere che sarebbe meglio aderire al lavoro per il quale ci hanno selezionati, e di cercare di portarlo a termine nel migliore dei modi possibili. Sfortunatamente chi ho davanti pensa di essere Roman Polanski alla serata degli Oscar, ed è difficile per me confrontarmi con tale prestigio. Sono obbligato a metterla di fronte ad un ultimatum: possiamo preparare una versione dello script che sia soddisfacente per entrambi, oppure lei può girare la presente versione senza alcun aiuto da parte mia. Il buon Roman comincia subito ad abbassare la cresta. Quanto ho proposto è una patata bollente che non può accettare facilmente, in quanto l’organizzazione del workshop ha previsto uno sceneggiatore e un regista distinti, e non accetterà trasgressioni a questa regola aurea. Alla fine riusciamo a metterci d’accordo su una versione di cinque pagine.
Mi rilasso pensando che i problemi siano finiti, ma mi adagio troppo sugli allori. La regista decide che il film dovrà essere girato sabato notte. Ora, lei sa benissimo che il limite per consegnare i lavori finiti è domenica pomeriggio alle 6, e che se qualcosa va storto durante la notte di riprese non saremo in grado di presentare nulla. Tuttavia la temperatura polare di -8 e la magia del buio finlandese sono cose troppo sublimi per essere ignorate, quindi gireremo tutta sabato notte, ci riscalderemo con peli di renna e, se saremo fortunati, magari scopriremo anche il vero nascondiglio di Babbo Natale. Dal momento che non vogliamo spaventare nessuno con idiomi astrusi e stranieri, gli attori reciteranno in finlandese, loro lingua madre. Sia io che l’operatrice di macchina chiediamo perché voglia girare in una lingua che non conosce, e per di più obbligare gli attori a tradurre lo script dall’inglese al finlandese. Purtroppo Roman è troppo impegnato con il suo dialogo interiore e non può risponderci. La nostra sapienza si limita al fatto che si girerà nella rigida notte finnica, con una recitazione finnica, che nessuno di noi sarà in grado di seguire.
Passa un altro giorno. Forse la notte ha portato consiglio alla regista, la quale si rende conto che il suo piano di lavoro è decisamente un suicidio, vista la scarsità di tempo con la quale dobbiamo fare i conti. D’altra parte però era necessario trovare un’altra brillante trovata per compensare, e cosa c’era di meglio che l’assumersi la grande responsabilità di interpretare il ruolo di protagonista femminile? Questa volta non c’è verso di farle cambiare idea e, per non perdere altro tempo, cominciamo a girare nel pomeriggio. Sul set tutti noi cercano di impegnarsi al massimo. Roman però è troppo superiore a questi lavoretti di manovalanza, e soprattutto ha un genio da mantenere puro. Perciò predispone inquadrature confuse e antiestetiche e commette diversi errori di inglese nella recitazione, che appare piatta e priva di energia, simile ad una povera donna che agonizza sul letto di morte alla fine dei suoi giorni. La storia del film richiedeva una recitazione che facesse crescere la tensione nel pubblico ma, con questa performance, credo che l’unica cosa che crescerà qui sarà il numero di sincopi innescate negli spettatori.
Le riprese finiscono e si inizia la fase di post-produzione e montaggio. Una nuova sorpresa ci aspetta a questo punto: la regista non vuole venire a montare perché ha da studiare per un esame della scuola che sta frequentando a Varsavia. D’altra parte i veri geni devono solo ispirare, mica sporcarsi le mani. Io e la montatrice dobbiamo montare il film a ritmo sostenuto, cercando di correggere i numerosi errori di regia. Purtroppo non è possibile trasformare completamente il fango in oro, per cui ci limitiamo a preparare il lavoro per la prima proiezione di stasera.
E’ a questo punto che la faccenda prende una piega che nemmeno nei sogni più sfrenati del Creatore era possibile immaginare. La regista, nel frattempo giunta per ammirare in poltrona il montaggio finito, non vuole firmare la regia nei titoli di coda. Questa volta è davvero troppo. Roman ha avuto idee bislacche dagli inizi del lavoro, e va bene; ha cercato di sabotare il tutto con una caparbietà che nemmeno Giuda Iscariota (padre di tutti i traditori) avrebbe avuto, e va bene pure questo; ora però stiamo veramente raggiungendo l’apice dell’assurdo e del grottesco. E dire che a me i due generi in questione piacciono pure, ma questo è davvero troppo sperimentale per i miei gusti.
Non c’è modo di farla ragionare, e stiamo quasi per metterci le mani addosso quando uno degli organizzatori interviene e mi prende da parte. Mi dice che comprende perfettamente le mie ragioni, ma che abbiamo solo 40 minuti per attraversare Helsinki e consegnare il film al cinema, e che non possiamo non mettere il nome del regista. Ritorno in me e guardandomi intorno mi rendo conto che, film bello o no, per me è già stato un successo venir scelto per questo lavoro, ed è il momento di ripagare la fiducia che questa gente ha avuto nei miei confronti. Mettiamo il mio nome anche alla regia, per quanto io ne sia stato del tutto estraneo e non mi abbia soddisfatto neanche un pochette, ma per cause di forza maggior (una corsa allucinante tra metropolitana e gelo delle strade per raggiungere il cinema) il tempo dei negoziati è finito.
Questo è ciò che può avvenire tra uno sceneggiatore ed un regista alle prese con lo stesso progetto. Chiaramente io ho incontrato una persona con seri problemi a relazionarsi con gli altri, e questo non è un dato positivo se si vuole lavorare in campo cinematografico, dove la cooperazione e il rispetto dei ruoli è fondamentale. Malgrado il film non fosse proprio eccellente, sono soddisfatto dell’esperienza. Mi ha insegnato come la relazione con i registi può essere, alle volte, spinosa e difficile. Personalmente continuo a ritenere che solo il rispetto dei ruoli e delle competenze di ciascuno coinvolto nella realizzazione del prodotto, può essere una buona strategia di successo. I film, al di là dei loro creatori, sono prodotti collettivi, possibili solo grazie alla collaborazione di diversi talenti e diverse persone. Tutti sono necessari per l’obiettivo finale, da questa isterica versione femminile del grande Polanski (magari una sua controparte più amabile è da preferirsi) fino allo sconosciuto giraffista.
La lezione più grande che ho ricevuto ad Helsinki è che un film è un miracolo da condividere con gli altri, non una ragione per continuare a nutrire il nostro ego già fin troppo smisurato.