Metti un anno a Berlino
Atto I – Primavera
La neve si scioglie ai margini delle strade, e a noi sembra impossibile che il sole possa tornare a scaldare ancora. Ma i fiori lo sanno, e spuntano qua e là nelle aiuole, mentre i ragazzi che lavorano nei bar tirano fuori i tavoli e li dispongono sui marciapiedi. Una piantina al centro di ogni tavolo, una coperta su ogni sedia.
Il traffico delle biciclette si intensifica. In bici ci vanno anche i bimbi, che attraversano sulle strisce pedonali senza tante storie con il cane di famiglia a fare da apripista, rigorosamente senza guinzaglio.
La domenica si va ai mercatini dell’usato a provare gli occhiali vintage, i colbacchi e i cappotti verde militare. Si mangia il würstel al curry in piedi, ficcandosi in bocca le patatine con la forchettina in plastica mentre la gente gironzola tra le abat-jour e le fotografie in seppia. Sul prato stanno sedute delle vichinghe bionde che mettono già all’aria le gambe pallide. Con un po’ di vergogna mi sfilo i guanti di lana e me li lascio scivolare in tasca.
Atto II – Estate
Scrivi estate, leggi open air. La fila è sempre lunga davanti agli ingressi, con gli hipster che fanno a gara a chi ha il look più alternativo. Nei timpani pulsa il ritmo dell’electro music, della fusion, dell’indie rock. Alla console si alternano i dj fino a quando non è mattina.
Ci sono gli artisti di strada, i talenti incompresi, le performance canore e i vernissage. Si attraversa Alexander Platz facendo lo slalom tra i ragazzi che disegnano sul cemento con i gessi e i break dancer che raccolgono le offerte in un berretto.
E poi ci si infila il costume e si va a nuotare al lago. Il costume a dire il vero ce lo si può dimenticare a casa: data la concentrazione di nudisti la cosa non scandalizzerebbe nessuno.
La barca scivola nell’acqua in silenzio, e allo sciabordare dei remi si alternano dei suoni ripetuti che si odono appena. Mi stendo ad ascoltare, sulla pelle le chiazze d’ombra delle foglie degli alberi. E’ lo squittio degli scoiattoli del Tiergarten, il parco più grande di Berlino, il cuore verde della città.
Atto III – Autunno
Settembre profuma di terra umida di pioggia, zuppa di zucca e vin brulé. Tra il rosso delle rampicanti sulle facciate delle case e l’arancione delle siepi nelle aiuole si fa ancora yoga, stretching o si sta in relax. E non ci si rassegna ad accettare il fatto che l’estate sia già finita.
I berlinesi non hanno fretta. Una ragazza con le calze verdi lega la bici al lampione, dei fiori di girasole sono intrecciati alle griglie del cestino. Due uomini entrano nella taverna all’angolo e ordinano due calici di vino rosso. E’ venerdì pomeriggio, e il venerdì dall’una in poi ognuno va per i fatti suoi.
Il gruppo musicale, con addosso gli abiti tradizionali, suona canzoni bavaresi mentre il cantante, anche lui in dirndl, chiama tutti al brindisi. Dai boccali tenuti in alto scende la schiuma della birra fresca, tra gli schiamazzi e le risate ci si urla il Prosit. Le mani fanno male perché un litro di birra è pur sempre un chilo, ma ci si fa coraggio a vicenda, ché bere sette birre è come fare un pasto completo.
Atto IV – Inverno
Ed è di nuovo neve e freddo. Ma il gelo non si percepisce nelle case, dalle cui finestre si diffonde la luce morbida delle lampade e delle candele colorate. E a dire il vero nemmeno nei parchi, perché i bambini continuano a giocare a mani nude e a scendere con gli slittini dalle colline innevate.
Ci sono luoghi a Berlino che hanno storie molto tristi da raccontare, e sembra che il grigiore di questi giorni sia l’unico colore che gli si possa mai appiccicare addosso. Ci fermiamo ad ascoltare i fischi del vento che narrano la desolazione di ciò che è passato.
La signora avrà ad occhio e croce un’ottantina d’anni. E’ nata quando Hitler divenne il Führer del Terzo Reich. Ha stretto i denti durante la guerra, è sopravvissuta ai bombardamenti e ha camminato tra le macerie di una città rasa al suolo dai cacciabombardieri. Si è rimboccata le maniche e ha contribuito alla ricostruzione.
Poi una mattina di agosto si è svegliata scoprendo che non avrebbe più potuto attraversare la strada, perché nel mezzo ci avevano eretto un muro. Ha continuato a vivere sotto gli occhi indagatori delle spie della Stasi finché il mondo è sembrato tornare al buonsenso e invece di muri si è ricominciato a costruire ponti.
Stanotte, sotto la porta di Brandeburgo, lancia petardi con l’entusiasmo di una quindicenne.
Scocca la mezzanotte e la città esplode in un tripudio di botti, urla e colori. La gente stappa il vino e si scambia gli auguri. Sembra impossibile che un popolo che ha sofferto tanto possa guardare al futuro con speranza. Ma Berlino è così: come l’araba fenice che rinasce dalle proprie ceneri, anch’essa trova la forza di rimettersi in piedi ogni qualvolta la si costringe in ginocchio. Si rialza e guarda avanti, perché i miracoli si fanno se ce n’è la volontà e il domani è lì ad attenderci, ancora tutto da inventare.