Voglio le mie rockstar morte
Mi sono accorto che quest’uscita di Storytracks coincide con Capodanno ed ho pensato fosse cosa buona cominciare il nuovo anno col botto (non coi botti, che il mio cane ne ha sempre avuto paura).
Se guardare questo video non ha suscitato in voi alcun tipo di emozione giù la maschera, alieni! Vi abbiamo scoperto, abbiamo i vostri indirizzi IP, presto manderemo la SWAT a prelevarvi nelle vostre abitazioni così potremo vivisezionarvi e studiarvi, e se vi sto anche avvisando è solo perché quando avrete finito di leggere questa frase sarà già troppo tardi, bye bye e godetevi lo sbudellamento!
In barba ad un po’ di presupposti che mi ero dato all’inizio della rubrica quest’articolo è dedicato al comico americano Bill Hicks (1961-1994). In verità tremo al pensiero di non riuscire a rendergli l’onore che merita, perchè lui per me ha rappresentato tanto, ed è tutt’ora la mia bussola quando mi sento perso, quando non ricordo più dove stavo andando e perché, quando il mondo mi sembra insostenibile… ma ci provo! La prima volta che ho visto un suo spettacolo ho provato una serie di emozioni variegate e contrastanti; la comicità di Bill è talmente naturale da prenderti subito, non si ha mai la sensazione di assistere ad una di quelle recite precostruite e sempre uguali; a volte sembra, nei suoi silenzi, che se ne stia lì a riflettere su chissà cosa, che stia davvero pensando in quel momento a cosa dire, per poi rompere quell’attimo con una battuta di due parole che ti lascia mezz’ora piegato a ridere e tre giorni a riflettere. La caratteristica di Bill infatti, come quella dei grandi comici, era di non limitare la sua comicità a caricature della realtà, ma di entrare nel vivo di temi importanti, scomodi oggi figuriamoci all’epoca, con un punto di vista particolare.
La guerra in Iraq (la prima), l’assassinio di Kennedy, per non parlare dei numerosi sketch sul (o meglio contro!) il Cristianesimo, quelli in difesa dei fumatori e a favore delle droghe(“Non tutte le droghe sono buone. Alcune sono magnifiche”), fui sorpreso dal modo in cui ne parlava: mai visto né sentito uomo più politicamente scorretto, ma soprattutto più diretto e crudo, perché io personalmente non avrei il coraggio di salire su un palco e dire “Si.. ci ho provato a succhiarmelo da solo, mi sono quasi rotto la schiena. C’è mancato tanto così.. per una vertebra!! ..penso che quella vertebra sparirà nel prossimo gradino evolutivo. È più che altro una preghiera. Donne, vi assicuro che se gli uomini potessero succhiarselo da soli ora voi sareste sole in questa sala.. a guardare un palco vuoto!”. Divertimento, stupore.. poi il grottesco: nello spettacolo Revelations Bill si lancia in una surreale imitazione di Goatboy,
personaggio creato da Jim Breuer al Saturday Night Live, un mezzo-uomo-mezzo-capra che con Bill diventa un assatanato e incontenibile violentatore di ragazzine, e lì si rimane francamente un po’ di stucco! Perché un comico dovrebbe mettere un pezzo del genere nel proprio spettacolo rischiando, come gli è successo più volte e per diversi motivi, che le persone si alzino dalla sala e vadano via? Beh, in realtà un motivo c’è. Innanzitutto a Bill non importava se le persone restavano offese dalle sue battute, pensava fosse semplicemente un loro problema. Chi si offende è perché non ha capito. Ma capire non vuol dire essere d’accordo con ciò che dice. Nonostante fosse un fumatore, abbia assunto innumerevoli droghe, se difendeva queste cose non era tanto perché pensava fossero giuste e basta, ma perché pensava fosse giusto difendere il libero arbitrio.
Ridicolizzare l’altra parte, quella dei “buoni”, era un modo per mostrare quanto in realtà anche dietro le idee più nobili possono nascondersi l’egoismo, il disprezzo, l’ignoranza ma soprattutto l’assenza di volontà di comprendere l’altro. Un discorso analogo vale per le religioni; egli le vedeva come istituzioni inutili perchè strumenti di controllo basati sulla paura più che dei “catalizzatori d’amore”. Ma tornando al perché un comico dovrebbe fingere nel suo spettacolo di essere una “capra lasciva che scopa qualunque cosa”, il motivo è arrivato con lei: la rivelazione. Alla fine del suo spettacolo, la prima volta che l’ho visto, non ero più lo stesso. Qualcosa si era innescato e non si sarebbe più fermato. Ho capito che tutto era fatto in qualche modo per destabilizzarmi, per ripulirti di tutto il male che ognuno di noi ha dentro prima del gran finale, e che dietro la violenza delle sue parole, dietro alle decine di “fuckin’” che precedono ogni cosa che dice, c’erano un messaggio d’amore universale fortissimo e uno degli esseri umani migliori che abbiano messo piede su questo pianeta:
Bill, quest’anno saranno passati vent’anni da quel freddo Febbraio che ti portò via. Non te n’è mai fregato di vivere a lungo, né tantomeno ti piacerebbero i nostri giorni, però mi manchi. Te ne sei andato giovane e dopo una vita sregolata, proprio come le rockstar di cui adoravi parlare nei tuoi spettacoli. Tu per me eri una rockstar, le tue parole erano note distorte di chitarra elettrica, erano un urlo di vita, e sono fiero che riverberino dentro me. Ora e per sempre.
Bill Melvin Hicks: io ti proclamo Rockstar Honoris Causa, rest in peace.
– Che ne dite di una storia positiva di LSD? Non farebbe notizia? Almeno una volta?Io penso farebbe notizia. “Oggi un ragazzo in preda ad allucinogeni ha capito che tutta la materia non è che energia condensata ad una lenta vibrazione, che siamo tutti una sola coscienza che ha esperienza di sè soggettivamente. Non esiste la morte, la vita è solo un sogno, e noi siamo l’immaginazione di noi stessi” – Bill Hicks
Pink Floyd – Breathe