Tenacity
Lo conobbi una decina di anni fa, mentre mi trovavo una mattina nella fermata dell’autobus 304 che mi avrebbe portato a Palermo. La sua presenza fu evidente sin dal momento in cui lo vidi avvicinarsi faticosamente agitando le braccia come se facesse uno hula hula, e zoppicando con quelle gambe stortissime, segni dell’inflessibile sfascio della sua vita. Una volta arrivato, si sedé sulla panchina della fermata e con la testa malferma e lo sguardo perso nel vuoto, ripeté un susseguirsi di numeri in origine incomprensibili. Ero certo che si trattava del vecchio Fonseca, il vizioso scommettitore che da anni zavorrava le tasche e la pace del suo fratello Don Osvaldo, e quel giorno doveva probabilmente essere certo sul cavallo vincente.
Avendo appreso da tempo le sue disavventure, mi stupì della forza che lo spingeva ad arrendersi alla sua debolezza per le corse di cavalli. Messo com’era dalla sua altra malattia, queste sue scappatelle sembravano risalire a un’ irredimibile voglia di vivere, seppure gli procurassero poi sempre più sfortuna. Vederlo così debole e assorto nelle proprie illusioni non poteva altro che ispirare simpatia, e per coloro che non lo conoscevano, perfino amore. A tal punto, dopodiché l’aiutai a salire sull’autobus, non avendo lui il permesso per viaggiare gratis in regola né i soldi per pagare il biglietto, l’autista provò a farlo scendere, ricevendo subito una pioggia di indignate lamentele dai passeggeri.
«Ma, perché deve far scendere questo povero signore?» inquisì una passeggera.
«Mi dispiace, ma il signore non potrà viaggiare se non paga il biglietto» rispose l’autista.
«Per carità! Lo lasci viaggiare!» continuò ancora più irritata la stessa passeggera di prima.
«No! Questo signore non ha altra intenzione che andare all’ippodromo, e poi non vuole nemmeno pagarsi il biglietto dell’autobus» spifferò oramai convintissimo l’autista.
L’immensa tristezza che espresse Fonseca riconosceva la verità di quello che era stato detto, e mosso dall’impotenza, riuscì a dare il suo colpo preciso. Le lacrime versate dai suoi occhi furono una frecciata verso l’alma della passeggera che si trovava a difenderlo, di cui i suoi istinti materni sorsero per appannare la realtà e coccolarlo. Cosicché esclamò: «Come si permette di affermare una cosa del genere! È una scemenza! E poi, in un giorno feriale, a quest’ora, l’ippodromo è chiuso. Guardi, il biglietto glielo pago io!»
Chiuso l’episodio, raggiunse in tempo lo sportello delle scommesse. Chissà mai cosa mise in gioco quella volta, se lo stipendio di un lavoro che aveva perso per sempre, i risparmi sperperati, la casa consegnata all’usuraio di turno, oppure l’amore di una donna svanito tra insuccessi, pianti e giuramenti presto dimenticati. «Dai, andiamo!» si incoraggiò quella mattina, se alla fine un tizio di fiducia glielo aveva soffiato: nel primo turno vinceva Tenacity.
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“…y herida por un sable sin remaches, ves llorar la biblia contra el calefón…” L’immagine di una Bibbia che pende da un gancio accanto allo scaldabagno non è affatto una fantasia dell’autore e nemmeno una metafora: la mancanza di carta igienica portò due mondi lontani a stare uno accanto all’altro.