Complice il Natale
Insardevole alleluia per tutti quanti voi. Se sono qui a scrivere è perché sono passata indenne attraverso il Natale. Attraverso la selvaggia fantasia culinaria del Natale, attraverso l’estremo e sanguigno morso del Natale, attraverso il Natale in casa Insardà.
E sono decenni oramai che, complice la salvifica atmosfera, riesco a farcela; ma stavolta la ghiandola surrenale ha parlato chiaro e non sono concesse altre deroghe: o mi regolo o non potrò più frequentare la Calabria in periodi di festa, cioè mai più! Ché da noi, complice l’insardevole clima, è sempre estate e si è tutti sempre in ferie. Ché quando non si lavora o si è disoccupati o si è in ferie. Ma noi calabresi riusciamo a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. E quand’è Natale riusciamo sia ad aggiungere l’altra metà che manca a riempirlo sia a tenere in alto i gomiti, molto a lungo, molto in alto, molto oltre il livello del mare. E dunque dopo un pagano Dicembre in cui tutti siamo stati distratti dalle cose di questo mondo, complici i calcoli approssimativi di tredicesime fantasma, ecco finalmente uno spiritualissimo e sobrio Natale passato tra antipasti mari e monti, lasagne tradizionali e con varianti per i gusti di ogni figlio (del marito no!), pollo alla genevose corretto alla ‘nduja, capretto alla cacciatora con variante alla pescatora (perché se resta del pesce spada mica si butta!), stoccafisso alla zingara con olive nere riesumate dalla giara rigorosamente conservata al buio ché la luce ossida, parmigiana di melanzane che di Parma ha solo il nome e il formaggio, scaloppine di pesce al vino, scaloppine di carne al latte, salsicce col pepe rosso per i grandi, col pepe nero per i piccoli, senza pepe per le pavide bocche degli ospiti forestieri che non vogliono correre il rischio di ricovero nel reparto grandi ustionati dell’ospedale qui vicino (che quel reparto neanche c’è! E quindi il ricovero sarebbe nel reparto malattie infettive, che però neanche c’è! E quindi il ricovero sarebbe in medicina dello sport, che però neanche c’è! E quindi il ricovero sarebbe tutti in medicina interna – reparto quindi iper-intasato e necessariamente promiscuo – a tenere sotto stretta osservazione le ghiandole surrenali, usate più come addobbi natalizi che come produttrici di ormoni antistress).
Dopo aver dunque nutrito (anche se non sembrerebbe) prevalentemente l’anima con la nascita di Gesù nel cuore di tutti noi, il problema diventa fisico. Ma non perché a volte si esagera a tavola e poi si deve smaltire (almeno non in Calabria. Da noi il menù di cui sopra è standard, non un eccesso festarolo) ma perché la maggior parte degli uomini non è di buona volontà e quindi si è tutti poco adusi ai parti del miocardio. E se Gesù nasce da lì qualche prolasso alla valvola mitralica ci sarà pure stato.
Io, dal canto mio, per purificare la mia profana umanità e rendere il Natale più religioso possibile, mi recai non già in chiesa, che più che un’istituzione religiosa pare sempre più un’azienza dal fatturato annuo che neanche il Pil, ma dal mio personale profeta, il mio vate, il sommo, il solo, l’unico uomo ispirato che questa terra conosca, lui: l’unto (forse più che per volere divino per il fatto che gestisce un frantoio!). Un uomo fuori dal comune (e che quindi non paga l’Imu), dalla pelle di uno strano colore molto vicino alla declinazione del più improbabile marrone. Un uomo che per profetizzare e parlare ai popoli non è che leva i sandali e vaga ramingo per le terre promesse, ma più comodamente, e con grande senso pratico, fonda facciunsalto.it. Un uomo che più che un uomo è il direttore di un megasin non periodico di informazione goliardica. Un uomo dal nome mistico che rievoca quell’ebraismo che spesso fu motivo di salvezza per il popolo di Dio.
Tutti noi asceti di questo giornale lo chiamano (e sempre con circospezione) con l’incerto appellativo di Maccàus (che sarà certo uno pseudonimo di origine pre-babilonica ché nessun essere umano potrebbe portare quel nome). Di lui mi fido. Sa sempre dirmi le cose giuste per mettermi in crisi e farmi riflettere a fondo, complice anche il suo linguaggio aulico che prescinde la logica della sintassi in vigore. Mi accolse nella sua dimora profumata di incenso, mirra e cannoli siciliani e giunto il mio turno, dopo un’estenuante attesa, mi fece accomodare di fronte a lui. Gli dissi: “Maccàus perché siamo sempre tutti travolti dall’aspetto consumistico della festa e mai dall’aspetto più romantico che ci anticipa il riscatto dal peccato e la salvezza?” E lui, ispirato e in trans (trans nel senso di “trance” non nel senso di trans, anche se la vocina che ne viene fuori quando parla, devo dire, molto si presta alla direzione di “Studio aperto”…) mi rispose: “Secondo te perché codesta pimpula lercio per lei è un sottimizzamento? E carpisa, con previdigia basculante, anche alle calcagna d’asina come trazione veicolante? Cadde o non cadde vittima di un sortilegio perfaste o è l’estasi della preveggenza o è il caos primordiale che in lui è rimasto intatto?“. Io, incredula e colta dall’estasi, gli dissi: “Maccàus non ho capito nulla“. Lui, sempre ispirato e in trans e mentre apriva la cassetta coi soldi, mi disse: “Non sempre i disegni sono comprensibili. Specie se li fa Picasso. Sono cinquanta euro“. Gli dissi: “Ma collabori con la chiesa?” Mi disse: “Ti sembra che abbia parlato col linguaggio della chiesa?“. Gli dissi: “No, fino a quando non mi hai chiesto soldi“. Mi disse (devo dire non senza un po’ di imbarazzo): “Il cestello frisculo rimbomba nello spedro del catino di Ascoli-Piceno, non sarocci in trescivo sul dendolo che certo sbartiglia con la frode. Capisci?“. Non volevo non aver capito per la seconda volta. Pensai che visto che lo aveva citato, anche lui forse scriveva in modalità scomposta così come Picasso dipingeva. Gli dissi: “Certo che capisco. Questo è chiaro come lo gnosso riscugro del finapace di transumanza e astrincolo, con sistole a bestia e scappellamento a destra“… Mi guardò fisso. Lo guardai. E ancora mi guardò. E ancora lo guardai. E poi ancora mi guardò ed io ancora lo guardai che manco prima di un duello tra Clint Istvud e Gion Uein. Poi, quando rinvenne dal sospetto che gli avevo instillato in corpore mi disse sorpreso: “Caspita, non ci avevo mai pensato. Dovrò rifletterci. Tieni i cinquanta euro e ricorda che non puoi aprire un’attività in prossimità di chi ne ha già una uguale. E se vuoi unirti a me ci mettiamo d’accordo ma l’amministratore sarò io. Va’ e non peccare più“.
Ed io accettai sia di non fare l’amministratore (ché potrebbero esserci dei conflitti di interesse visto che sono già amministratore del gruppo uozzap della mia famiglia), sia di tenere i cinquanta euro, sia di andare senza peccato. Anche perché il peccato lo avevo appena commesso quando, fulminea, mi sovvenne l’idea di sfrantecarlo di mazzate. Ma, complice il Natale, io ero un po’ meno propensa all’ira e lui molto poco propenso ad una giornata da passare al pronto soccorso per un insardevole colpo di tacco a cavallo tra i noti ninnoli surrenali ed altri, diciamo così, generici ninnoli!