Agli amici del Bar Margherita
L’ignara oscenità di quel sorriso
nella laidezza lugubre del buio.
Un tarlo che rinnova
il sordo strascichio del suo scavare,
un delirio che non conosce uscita
e si riaccende ad ogni crepitio
di ghiaia sotto le mie scarpe.
E persino l’incanto che ti dico
del passato questa sera mi si sfrangia
in mito ruminato, messo al macero
nel silenzio del selciato che nessuno
scompiglia tranne i tacchi
patetici e delusi
di due quindicenni per mano
che credevano a vincere il freddo
bastasse la voglia di mostrare
le cosce nella esosa loro prima
ultima notte dell’anno.
Come l’incubo di un lutto
di cui non si ha memoria, la cancrena
di quest’attesa senza desiderio,
anticipo accecante
di dissolvenza. E tu mi stringi
il braccio con una tenerezza
perentoria, un varco schiari
alla bellezza del coraggio
nelle tue mani screpolate.