Afghanistan (Parte Terza) Verso Herat ed il confine iraniano
Dopo un attesa di un’ora e poco più all’aeroporto di Kabul, molto più trafficato – ma ancora poco frequentato – saliamo sull’aereo che ci porterà ad Herat, per lo più utilizzato da personale militare e da politici locali o famiglie lievemente più ricche.
Atterriamo ad Herat e siamo accolti da alcune bandiere italiane e da un po’ di personale militare e civile che parla una lingua a noi familiare data la presenza di militari italiani nella zona.
Nell’aereo facciamo conoscenza con un ragazzo di Herat che lavora proprio per gli italiani che ci fa chiarezza sulla situazione della zona, chiedendoci di prestare il massimo dell’attenzione negli spostamenti dentro la città per l’alto rischio di rapimenti e per una presenza non troppo attiva di Talebani nei dintorni della città.
Nonostante questo ragazzo veda l’occupazione degli italiani nel suo territorio come una risorsa positiva ed un aiuto per la popolazione locale, si capisce che molti giovani che hanno subito sulla propria pelle la violenza e l’arroganza di un regime islamista prima e di una guerra repentina e violenta dopo, vedano nel lavoro con la parte ” vincente ” una speranza di vita e magari di apertura al mondo esterno che è sempre stato visto e vissuto come lontano ed irraggiungibile.
Gli occhi del ragazzo sono comunque ricchi d’emotività ed aldilà delle differenze di posizione sulla presenza di militari nel territorio afghano, si legge nel suo sguardo una voglia di dimenticare il passato che si riflette nella frase “non voglio parlare bene degli americani, ma .. ”
L’impatto con Herat non sarà dei migliori, la città presenta da subito una notevole differenza rispetto a Mazar-e Sharif; lo stesso tassista, oltre ad una guida alquanto spericolata e disattenta, ci guarda con occhi differenti rispetto ai soggetti incontrati nel nord del paese, forse proprio perché abitiamo in Italia e non tutti, fortunatamente, la pensano come il ragazzo incontrato in precedenza.
La città passa velocemente dinanzi ai nostri occhi esterrefatti dalla frenesia e dal caos che solamente le strade presentano; sono abituato a vedere una guida spericolata ed un’ attitudine irrispettosa delle regole stradali basilari, ma non ho mai visto niente di simile.
Le macchine arrivano da tutte le direzioni ed a velocità consistente, non si riesce bene a capire quale sia una carreggiata e quale l’altra, non esistono delle direzioni ben precise e molte persone camminano in mezzo alla strada come se niente fosse.
Il numero di donne coperte dal burqa aumenta considerevolmente man mano che ci avviciniamo al centro e gli sguardi che incrociamo dai finestrini del vetro non infondono tutta quella sicurezza che respiravamo a Mazar-e Sharif.
La zona sembra soffrire di una maggiore depressione, molti palazzi della periferia sono ancora distrutti o lasciati allo stato brado e noto la presenza di molte persone mutilate.
La parte meridionale della città, così come quella occidentale è ancora teatro di violenti scontri tra milizie talebane e truppe internazionali, così la nostra preoccupazione comincia a salire quando non riusciamo a capire dove il taxi ci stia portando.
Vediamo la città scorrere sotto i nostri occhi da una postazione più alta dell’abitato ed il panorama ha qualcosa di straordinario; si notano imponenti minareti scagliarsi in cielo tra case di color sabbia ed il ricordo riporta la mente all’Uzbekistan, in particolare ai panorami di Samarcanda con le sue imponenti Madrase ed i minareti variopinti.
In quei momenti però la mente salta da un pensiero all’altro, suscitando emozioni contrastanti che fanno sobbalzare il cuore stesso.
Sento l’adrenalina che sale ed il sudore che imperversa, il battito cardiaco aumenta le sue pulsazioni e lo sguardo rimane fisso sulla strada, verso la direzione seguita dal tassista e la situazione che ci circonda.
Dopo avere passato un piccolo quartiere desolato, il taxi si ferma in un lungo viale davanti ad un’ agenzia di viaggi Iraniana.
Il nervosismo comincia a salire e la temperatura aumenta vertiginosamente; eravamo stati chiari con il tassista nel chiedergli di portarci alla stazione centrale degli autobus anche solamente per avere informazioni sulla presenza di Bus verso il confine iraniano; non so se per la nostra sicurezza, non so se per una sorta d’accordo con la medesima agenzia di viaggi nella quale siamo fermi, l’autista non vuole proseguire verso la stazione e vuole fermarsi qua, dicendoci che con loro si può partire immediatamente verso l’Iran evitando l’attesa del bus diretto.
Ci vengono incontro alcuni tipi dall’aspetto sinistro che cominciano a spararci delle cifre improponibili per la tratta Herat-Mashad con un taxi privato, non prima di essere stati invitati ad entrare dentro l’agenzia stessa piena di soggetti a prima vista poco raccomandabili che ci guardano con fare poco rassicurante.
Non riusciamo a comunicare data la completa mancanza d’ un soggetto che conosca la lingua inglese, così tra una mezza frase in farsi ed alcune informazioni scritte su di un foglio, arriviamo a contrattare un taxi collettivo per Mashad a 20 Dollari in due, prezzo ottimo se solo non fosse che ancora non siamo pienamente convinti sull’affidabilità della medesima agenzia.
La situazione comincia a non piacermi seriamente, così mi avvicino ad una macchina parcheggiata di fronte alla struttura che continua da svariati minuti a guardarci in cagnesco. Chiedo in farsi se vi fosse qualche problema e trovo nel sorriso del soggetto al volante una risposta confortante che ci regala un attimo di conforto. L’altro occupante del veicolo m’ indica l’agenzia con una mano alzando il pollice destro ed affermando “good business!”
Con il passare dei minuti cerco di calmarmi e pensare che l’agitazione che ho in corpo è dovuta alle continue pressioni datemi dal ragazzo incontrato all’aeroporto sul rischio rapimenti di stranieri nel centro di Herat, oltre ad essermi ritrovato in una zona della città dove non avevo intenzione di arrivare.
Per svariati minuti continuo con insistenza a pensare che è meglio non fidarsi ed è preferibile recarci alla stazione degli autobus, giacché il prezzo pattuito col taxi sembra troppo basso; saremmo solo in due a viaggiare verso il confine e la situazione di continua pressione data dagli sguardi freddi delle persone che escono ed entrano dall’agenzia comincia a preoccuparmi sempre di più.
La situazione comincia a degenerare lentamente quando un povero ragazzo senza casa, dopo averci chiesto per svariati minuti di aiutarlo con dei soldi, viene allontanato in mal modo da uno dei soggetti presenti dentro all’agenzia, lanciandogli alcuni schiaffi e diversi spintoni; di contro il ragazzo tira fuori un coltello dalla propria tasca e minaccia lo stesso soggetto puntandogli la lama sul collo.
E ‘giunta l’ora della partenza, ci infiliamo nella macchina e con noi si aggiunge un altro ragazzo di Mashad che a quanto pare fa rientro a casa propria.Mi sento molto più tranquillo, diamo la cifra pattuita al tassista e partiamo alla volta di Mashad, addentrandoci in alcuni vicoli della zona periferica della città per raggiungere la strada che collega Mashad ad Herat.
Comincio a pensare che tutta la preoccupazione respirata in precedenza fosse dovuta in primis ad un certo nervosismo dato dall’incomprensione con il tassista e successivamente all’aria di tensione respirata presso l’agenzia.
Sono alquanto dispiaciuto d’avere pensato con quella continuità ad una situazione totalmente negativa e pericolosa, ma mi ero predisposto nella testa un viaggio tra Herat e l’Iran da affrontarsi con un bus ed altre trenta o quaranta persone; ritrovarmi nel bel mezzo della periferia di una città a me sconosciuta in Afghanistan, di fronte ad un’agenzia del tutto ignota, non mi aveva certamente rasserenato.
Non posso dire d’essermi trovato in una città realmente insicura, perché non ho avuto la fortuna di girare per le sue vie e non ho minimamente avuto a che fare del tutto con la popolazione locale a differenza di Mazar-e Sharif. Sono comunque certo di poter affermare che il distacco di primo acchito tra le due è stato madornale; La prima impressione avuta aggirandosi in taxi a Mazar e-Sharif è stato molto meno agghiacciante, grazie anche alla presenza di un giovane ragazzo locale che ci ha sin da subito rassicurati della situazione di relativa pace e tranquillità della città, cosa certamente non avvenuta all’arrivo ad Herat con la discussione con il tipo afghano all’aeroporto.
La situazione va allentandosi con il tempo ed il tassista, un discreto signore sulla cinquantina di anni, continua a guardarci e sorriderci chiedendoci in Inglese la nostra opinione sull’Afghanistan.
Cerchiamo di raccontargli delle nostre meravigliose esperienze passate a Mazar e-Sharif e discutiamo sulla somiglianza del culto dell’ ospitalità afghana con quello tipico iraniano, data la provenienza persiana del popolo afghano. Il tassista ci spiega inoltre che Herat è sì un’altra piccola oasi di pace dell’Afghanistan, ma saltuariamente si verificano sparatorie tra gruppi talebani e milizie occupanti e sporadici rapimenti, differenziandosi così dalla zona ad ormai bassissima attività conflittuale di Mazar-e Sharif.
Sono ormai totalmente tranquillo e comincio a pensare alla stupidità dell’essermi fatto prendere un poco dal panico e dal nervosismo senza riflettere a fondo sulla situazione. Adesso ho voglia solamente di tornare indietro per mettermi alla scoperta di Herat per tastarne a pieno la meravigliosa realtà, senza soffermarmi per ore nell’anonima periferia cittadina.
Ormai è troppo tardi ed il danno è fatto, la città si allontana alle mie spalle così come gli sfavillanti minareti ed i tetti piatti delle case color sabbia si fanno sempre più piccoli e distanti.
Siamo fuori dalla città ed il panorama che ci si presenta agli occhi ha del formidabile, davanti a noi si apre un territorio fatto di sabbia che va a perdersi tra imponenti alture tortuose che si confondono nel profondo blu del cielo.
Di tanto in tanto si scorgono villaggi interamente costruiti in terracotta dove la vita sembra essersi fermata a vari secoli prima. Persone vestite in abiti tradizionali si aggirano tra le dune accompagnando piccoli greggi di capre seguite da bambini attenti ad osservare ogni mossa del pastore. Di tanto in tanto il taxi supera dei grossi camion dai colori sgargianti stipati di merci di ogni tipo e genti d’ogni età che alle volte salutano il tuo passaggio con un sorriso o con un cenno della mano.
Passiamo attraverso una serie di villaggi dall’aspetto remoto e desolante che attraggono la nostra attenzione, vorremmo fermarci ma il tassista ci sconsiglia di scendere; sono stanco ma non riesco proprio a chiudere gli occhi, non ho mai visto così tanti villaggi costruiti interamente in terra cotta susseguirsi in modo persistente ognuno con le proprie peculiarità.
Di tanto in tanto si notano le carcasse di tank americani ed addirittura sovietici lasciati lì a deteriorarsi, simbolo di una zona che non ha conosciuto negli ultimi decenni periodi di totale tranquillità e quiete. La distruzione delle ultime guerre è passata anche da qui, alcune case ed interi villaggi sono stati abbandonati e lasciati deperire nella loro desolazione, lasciando vivo solamente il triste ricordo di una ferita distruttiva che non potrà mai rimarginarsi.
Dopo svariate ore di straordinaria bellezza ci accorgiamo di essere in prossimità del confine con l’Iran per la presenza di lunghe file di camion; un lungo filo spinato che percorre in lungo e largo una zona desertica fa da spartiacque tra alcuni edifici con la bandiera afghana su di un lato e quella Iraniana sull’altro.
Nell’entrare nella zona di confine ci accorgiamo che non troppo distante vi sono delle fiamme nere che si innalzano verso il cielo ed un qualche edificio o camion che prende fuoco. Pensiamo subito ad un attentato ma la situazione delle guardie di frontiera sembra esser sin troppo tranquilla per tale avvenimento, quindi nonostante l’estrema pericolosità di un incendio presso una fila innumerevole di camion contenenti materiale per lo più infiammabile, veniamo a conoscenza di un incidente avvenuto poco prima che ha fatto esplodere una cisterna di petrolio. Ecco il benvenuto al confine tra Iran ed Afghanistan.
Le faccende burocratiche sulla sponda afghana proseguono con lentezza ma senza intoppi di estrema gravità; veniamo fotografati da una piccola web cam posta all’interno di un piccolo casottino di controllo, ci vengono fatte semplici domande sulle nostre intenzioni di visita in Iran e ci viene offerta anche una sigaretta tra un gentile sorriso ed una stretta di mano.
Superiamo il casottino e lasciamo al nostro sguardo l’ultimo saluto all’Afghanistan. Tra le lande desertiche dinnanzi ai nostri occhi si perdono i ricordi dei profumi e dei colori d’una terra ormai dimenticata dal mondo che ci ha conquistati con il suo fascino unico.
La zona di confine afghana è stata superata senza alcun problema. Arrivederci Afghanistan.
I problemi arriveranno ben presto sulla sponda iraniana dopo che la prima guardia di frontiera ci stamperà il timbro d’ entrata sul visto, finendo poi per essere fermati al secondo controllo per alcuni sospetti nei nostri confronti sul nostro passaggio dall’Afghanistan.
Qua il link alla seconda parte (https://www.facciunsalto.it/archives/4680)