Il centrocampo debole
Don Andrea Falsino è sempre stato amato, specie dai ragazzi. Perché ha sempre dedicato loro un sacco di tempo, e non solo a illustrare le meraviglie dei Vangeli, ma soprattutto le ragioni del centrocampo. «Lo sport – non fa che ripetere negli spogliatoi del campetto che è riuscito a farsi realizzare con i contributi del comune di sinistra, ma il calcio non ha partiti – è un po’ come la fede, cuore e cervello. Nel calcio ancora di più, che il Signore mi perdoni».
Don Andrea non ha la caratteristica del vecchio prete che gioca a pallone nel cortile della parrocchia con tanto di tonaca. No, lui si comporta come un allenatore direttore tecnico, non gioca, dirige, convoca, seleziona e, non avendo procuratori con cui trattare, se la fa con i padri (le mamme no, perché secondo don Andrea, sono troppo aggressive quelle dei mini divi del calcio e spesso lui è costretto a riprenderle quando le sente urlare parole tipo «ammazzalo» oppure «segagli le gambe». Non vede la cosa sotto una buona luce educativa).
Convince tutti a fare le alzatacce la mattina della domenica per le trasferte delle frazioni vicine. Non solo. Fa le lezioni teoriche di calcio, quelle con la lavagna. Fa rivedere anche i filmati orribili, che un parrocchiano volenteroso riprende durante le partite, non quelle in “trasferta” perché la moglie dell’improvvisato operatore televisivo lo ha diffidato dal buttare via tutte le domeniche mattina. Lezioni che vengono impartite collettivamente in una saletta della parrocchia. Per i più zucconi anche qualcosa di privato, in orari diversi. Una passione comunicativa, fatta di partecipazione continua. E i genitori tutti, o quasi, contenti. Figli sempre vigilati, una passione in fondo sana, anche se un po’ maniacale. Solo qualcuno non mostra di gradire, soprattutto perché vede i figli un troppo affranti, sfiniti qualche volta e troppo stanchi e irritabili per socializzare in casa. Ma i più passano oltre, la vita semplificata è un gran dono, quando anche altri si preoccupano di occupare i tempi morti dei ragazzi. Meglio in parrocchia che sulla strada o in cattiva compagnia.
Ma da qualche giorno il ritmo degli allenamenti è stato rallentato, anzi molti ragazzi non sono venuti. Tutta colpa di inutili chiacchiere, si sa come sono i paesi: un caffè tra due pettegoli, una comare vestita di nero che vede nero ovunque, qualche genitore con i nervi troppo sottili e ecco che nel giro di poco uno si ritrova a dover rispondere alle domande del maresciallo. Il maresciallo è gentile, sorride e mostra di capire, poi dopo qualche giorno uno si trova a sentire le stesse domande da un giovanotto dall’aria molto presuntuosa che, con il titolo di sostituto procuratore, pensa di conoscere il mondo e di poter indagare più nell’animo umano che sui fatti. Dove era quel giorno? A che ora ha visto questo o quel ragazzo? E dove è avvenuto l’incontro? Che cosa avete fatto? E così via in una sequenza assurda di concatenazioni inesistenti.
Sinite pargulos ad me: sanno che cosa vuol dire, sanno cosa vuol dire amare i ragazzi? Lo sanno che proprio perché sono il futuro i giovani hanno bisogno di un presente di grande attenzione umana, quasi fisica? Questo mondo è sempre più cinico. Ma don Andrea ha fiducia, e soprattutto sa di poter contare sul vescovo. Anche lui sa quanto è difficile oggi trasmettere amore alla gioventù.