A scuola di casherut, le regole alimentari ebraiche
Meno tre settimane allo spostamento. Il destino è perfido: proprio quando decidi di partire e cercare nuovi orizzonti, iniziano ad arrivarti proposte da ogni dove, anche abbastanza interessanti; chi mi conosce lo sa, io quando decido di fare una cosa, la faccio e basta e non c’è nulla che tenga, quindi si parte.
Nel frattempo, vi racconto che, oggi, ultimo giorno di lavoro per questa settimana, con la ditta di catering che gestisce, produce e segue in tutto e per tutto la cucina ebraica per gli ebrei di Melbourne che hanno conferenze, ricorrenze, cene, eventi, e così via, il capo donna entra mentre io e una collega stiamo preparando per la cena dello Shabbat e dice: “Hi my favorite girls! A. is amazing, she has been with us for years now, and Laura? Laura is fantastic but we do not like her because she is leaving us!” Il tutto corredato da una smorfia a metà tra la finta stizza e il dispiacere reale. Per capirci, dice che è arrabbiata con me perché ho deciso di lasciarli anche se dopo solo pochi giorni di lavoro ormai ho appreso e messo in pratica tantissime conoscenze. Tra me e me penso, certo, metterò pure in pratica gli insegnamenti di letteratura e cultura ebraiche dell’università? O non mi è proprio servita a nulla? Basta dirmi le cose una volta e le imparo. Invece dico: “mi dispiace S., ma devo partire”.
Il lavoro che ho trovato appena due settimane fa mi sta colmando di conoscenze di ogni genere. Ho il modo di osservare ed imparare non solo le tradizioni, ma anche i comportamenti, le personalità, e le azioni delle persone – deformazione “professionale” da ex studentessa di psicologia – il tutto svolgendo esattamente quello che mi viene detto di fare. Breve parentesi, se fossi stata una persona limitata e di corte vedute, con il paraocchi e i preconcetti, sarei qui ora a lamentarmi di come le persone altolocate e di una certa “razza” maltrattino quelle che lavorano per loro… fortunatamente non è così! Per spiegarmi correttamente, dovrei affrontare il discorso con calma, quindi magari un’altra volta. Dico solo grazie a chiunque abbia contribuito a farmi crescere diversa dalle persone descritte qui sopra dopo il “se fossi stata”.
Io mi sento decorata, adornata ed arricchita da tutto ciò che ho potuto catalogare nella mia tasca con etichetta “esperienze di vita ed informazioni acquisite”, tanto da voler condividere con voi alcune nozioni che non serve siano utili, basta conoscerle anche solo per curiosità. Chi se ne frega se il popolo ebraico ha delle specifiche tradizioni culinarie? Beh, se lo avete pensato, vi rispondo che, eventualmente, è solo per il piacere del conoscere. Io, ne sono affascinata.
Cominciamo: le regole culinarie sono chiamate kashrùt, insegnate anche e soprattutto fin da bambini per abituare tutti alla disciplina. Per poter comprendere le regole che seguiranno c’è da ricordare il concetto per cui “il sangue è anima”. Secondo il kashrùt c’è una distinzione basilare da fare per tutto il cibo: ci sono cibi a base di carne, quelli a base di latte e quelli che non contengono né carne né latte (frutta e verdure per esempio) e sono considerati neutri. Ciò nonostante, se questi cibi vengono cotti nel latte, o con carne, e derivati, entrano a far parte della categoria con cui sono legati o miscelati. Per essere considerato un animale kosher – da kashrut, l’animale deve avere lo zoccolo – credo si dica – libero, quindi mucca, capra e pecora. Non sono kosher: il maiale, il coniglio, il cammello, il cavallo. Ergo non si mangiano. Il latte e i suoi derivati sono kosher se derivati da animali kosher; non possono essere consumati insieme a carne e pollame. I rabbini hanno deciso che la loro produzione deve essere controllata dalla mungitura fino al suo confezionamento quindi viene controllato da autorità competenti e poi recapitato dove serve. La legge del kashrùt è severa nella separazione fra carne e latte. Per poter consumare latticini dopo aver mangiato carne o derivati si devono aspettare almeno sei ore. Lo stesso vale per il pesce che non deve essere consumato assieme alla carne.
Il divieto è applicato anche a tutti gli utensili impiegati per la conservazione, preparazione e consumazione dei suddetti cibi. E’ previsto il possesso e l’uso di posate, piatti, utensili e lavandini doppi, uno per i latticini, uno per il resto. Anche la lavastoviglie può essere impiegata o per la carne o per il latte, ma non per entrambi. Il cibo e gli utensili neutri, come bicchieri o insalatiere possono accompagnare sia i pasti di latte che quelli di carne. Il vetro è neutro. Noi del catering, quando arriviamo in una location, dobbiamo ricoprire tutte le cucine con plastica o tovaglie o stoffe, perché nessun oggetto, non solo l’alimento, può toccare un luogo in cui non si sa se prima ci sia stato uno del suo “opposto”. Il pane deve sempre essere neutro, senza burro o latte. Stasera, dopo aver lavorato durante lo Shabbat, che ricordiamo inizia il venerdì sera al tramonto e termina al tramonto del sabato sera, ho fatto amicizia con il pane Challah, specifico per lo Shabbat, buonissimo e fatto con il succo e non l’acqua, così anche se lo si mangia con le mani (per toccare il pane si devono avere le mani lavate) non è un problema. Durante lo shabbat, ossia il periodo di riposo, ci sono una quarantina di azioni che non si possono svolgere, tra cui lavare, cuocere, tagliare, accendere e spegnere il fuoco, o la luce, eccetera, ecco perché la nostra presenza di comuni mortali è di vitale importanza. Le luci a casa vengono accese prima del tramonto e spente il sabato sera, il cibo viene cotto la mattina, e il tempo deve essere passato a riposare, pregare, mangiare, e studiare la Torah. Tornando al cibo, la carne e il pesce non vanno consumati assieme. Il motivo è molto semplice: è una sorta di tradizione, poiché i saggi consideravano tale mescolanza nociva alla salute. Così, anche se nello stesso pasto si mangia sia carne che pesce, dopo aver mangiato del pane o bevendo qualcosa, si può passare alla pietanza diversa. Il vino e il succo d’uva devono essere esclusivamente di origine approvata dai rabbini e sono kosher solo se la produzione viene effettuata da un ebreo osservante.
Ultimo ma non meno importante, la kasherizzazione: il cibo kosher prodotto con utensili precedentemente impiegati per la cottura di cibo non kosher, diventa a sua volta non kosher, quindi deve essere effettuata sotto la scrupolosa osservazione di un rabbino esperto. In particolare, per evitare che tutti gli ospiti di una cena restino senza cena (perché si rifiutano di mangiare se le regole non sono state osservate, come è già successo) la prima fiamma del fornello utilizzato per cuocere i cibi deve essere accesa da un ebreo, altrimenti il cibo passa ad essere non kosher.
Tranquilli, all’inizio il primo giorno, ero confusa anch’io… poi si prende la mano e via, tutti kasherizzati.
Shabbat Shalom mates!