Afghanistan (seconda parte) verso l’aeroporto di Mazar-e Sharif e l’arrivo a Kabul
Nota dell’autore: In questa parte del viaggio ho avuto solo l’occasione di produrre un breve video in allegato nell’articolo. Non è stato possibile effettuare fotografie.
Durante l’ultima notte a Mazar-e Sharif, veniamo improvvisamente svegliati da alcuni colpi; inizialmente si pensa possa trattarsi di saracinesche che vengono chiuse o piccole rampe di camion che vengono sbattute sul terreno con violenza. Dopo qualche minuto mi rendo conto che i suddetti colpi hanno la caratteristica tipica di ripetersi in piccoli periodi l’uno dall’altro, come il frastuono di un tipico AK-47 od una semplice mitraglietta possono provocare.
Passano svariati minuti ed ai piccoli colpi seguono rumorosi frastuoni, ci rendiamo così conto che ad una distanza di al massimo 10 km si sta svolgendo molto probabilmente uno scontro a fuoco. Non siamo gli unici ad essere svegliati dai colpi, anche qualcuno sopra la nostra camera ed alcune case di fronte all’albergo, seppur abituate a queste situazioni, sembrano essere preoccupate da questi rumori sinistri.
La sparatoria va avanti per almeno due ore, i colpi si susseguono sempre più spesso fino a che un potente frastuono, che lascia vibrare la camera ed i vetri della finestra, elimina ogni dubbio: è stata una sparatoria,conclusasi con una forte esplosione di granata.
Decidiamo di recarci il prima possibile all’aeroporto, sono ancora le cinque meno venti e la nostra sveglia sarebbe suonata un ora più tardi; facciamo gli zaini ed optiamo ugualmente per la partenza anticipata, mentre ancora si odono alcuni colpi in lontananza, adesso più vicini.
Prendiamo un taxi chiamatoci dall’albergo in direzione aeroporto e durante il tragitto ci accorgiamo che il drone americano si è spostato verso i monti in direzione est. Le strade sono piene di carovane di tank e di jeep armate che controllano attentamente la strada, i posti di blocco sulla via per l’aeroporto aumentano vertiginosamente ed i nostri dubbi su quanto accaduto durante la notte cominciano a sopirsi lentamente, capendo che vi è stato uno scontro a fuoco non troppo distante dall’aeroporto.
Arriviamo all’aeroporto e veniamo controllati da capo a piedi da tre guardie militari, il panorama che ci circonda è lugubre: tanks fermi agli angoli della strada con un militare ciascuno sopra, torrette di guardia con fucili puntati dritti sulla via e sul passaggio pedoni ed una serie innumerevole di piccole jeep e moto cariche di armi e personale militare.
Non possiamo proseguire da soli, così un bus di linea, protetto da vetri antiproiettile e rivestimento di un materiale resistente ci porta all’ingresso dell’aeroporto che ha tutto fuorché l’aspetto di un aeroporto civile; i controlli si susseguono passo dopo passo, veniamo messi in fila e controllati uno per uno bagaglio e corpo.
Dopo avere passato questi controlli lenti e scrupolosi ci vengono dati i biglietti stampati da un piccolo chiosco di legno della compagnia, circondato da materiale militare e da caricatori.
L’ambiente ha dell’inquietante, ma dovevamo immaginarci qualcosa di simile, siamo ben consci di trovarci in una zona considerata ancora di guerra e cerchiamo di rimanere tranquilli.
Dopo avere preso il biglietto passiamo per il controllo antidroga eseguito da un cane della polizia afghana per essere nuovamente controllati in tutto il corpo, uno per uno e per svariati minuti ciascuno.
Intorno a noi una seria di caccia americani si alzano in volo dirigendosi verso le montagne non distanti dall’aeroporto, zona che a nostro avviso è stata il teatro degli scontri del mattino e della notte. La pista è completamente riservata ad aerei militari, rifornitori di benzina e caccia, oltre ad una serie innumerevole di droni bianchi appostati molto lontani dalla nostra postazione.
Superiamo tutti i controlli ed affrontiamo l’ultimo gestito da polizia e compagnia aerea in prossimità di una nuova sala d’attesa costruita come in ogni aeroporto internazionale ma desolatamente vuota e senza indicazioni.
Dopo qualche ora saliamo su di un aereo di linea che ci porta in direzione Kabul, atterrando tra aerei militari e soldati in assetto di guerra in ogni dove. Il panorama dall’aereo è meraviglioso: sorvoliamo altissime montagne innevate e piccoli villaggi. Il traffico è quasi inesistente e durante la maggior parte del tempo siamo sopra monti o deserti sconfinati, un qualcosa di realmente splendido.
Atterriamo a Kabul ed il traffico nell’aeroporto non è consistente. La presenza di militari dell’esercito Afghano è notevole ed i controlli si susseguono di passo in passo.
Esco fuori dall’aeroporto per recarmi in una piccola piazza vicino alla struttura. Il caotico frastuono delle auto e dei piccoli bus si confonde tra l’esplosione di colori dei vestiti di alcuni passanti. La gente mi guarda, mi scruta. Qualcuno abbozza un sorriso, ma il caos che mi circonda non mi tranquillizza. Decido così di fumare una sigaretta e rientrare nella struttura in attesa del volo per Herat.
Ripenso ai ragazzi incontrati a Mazar, alla bellezza delle sue vie, ai profumi del bazar e m’innamoro d’ogni attimo che scivola tra i miei ricordi.
L’Afghanistan mi ha conquistato, sarà difficile abbandonarlo