“Dhivehi Rajie”: il regno delle isole
“ …E guardo il mondo da un oblò, mi annoio un po’…”. Così recitava una canzone di Gianni Togni all’inizio degli anni ottanta, quando ero ancora una bambina. Mia madre l’ascoltava spesso. Appena partiva il 45 giri, io iniziavo a sognare di mari lontani. La chiglia della barca taglia l’onda lunga come fosse burro. Il cielo grigio non promette niente di buono. L’attrezzatura subacquea è stata assicurata con delle cime a poppa. La cuscineria di bordo ritirata.
Stiamo attraversando il canale che separa l’atollo di Malè Sud da quello di Felidhoo. Un vento teso spazza la superficie del mare. Spruzzi d’acqua si sollevano e frustano la murata. Il Capitano è stato perentorio: “state sotto coperta”. Ho il naso spiaccicato a uno dei tanti oblò della mia luminosissima cabina sul secondo ponte. Più che un oblò è una finestra e, guardandovi il mondo attraverso, non mi annoio di certo! Sono alle Maldive, nel “Dhivehi Rajie”: il “Regno delle Isole”, dove annoiarsi è peccato! Molte volte ho visitato questo paese e mi sono immersa lungo i suoi reef, ma questa è la mia prima crociera. A detta di molti, è il modo migliore per visitare uno dei paesaggi sottomarini più spettacolari al mondo.
Nel 2006, nel solo atollo di Malè Nord, si sono immersi contemporaneamente 958 subacquei. Una cifra da record, che farebbe supporre che alle Maldive vi sia un’inflazione di subacquei, eppure, nessun’altra imbarcazione si delinea all’orizzonte. Godiamo dell’esclusiva assoluta, sui reef e lungo le tante lingue di sabbia bianca che offrono la possibilità di sgranchirsi le gambe sulla terra ferma. Continuo a guardare fuori dal mio oblò, questa lunga traversata lascia il tempo per pensare. Le onde s’inseguono l’una all’altra, così come i miei pensieri.
Mi faccio domande e mi dò le risposte. Mi rendo conto che poco si conosce di questo paese, considerato alla stregua di un mero prodotto turistico. D’altra parte, come biasimare chi lo fa? Quando si parla di Maldive, tutti abbiamo le visioni: sabbia bianca, acqua cristallina turchese, pesci colarti, sole, relax, lussi… che tristezza! E’ come se uno straniero pensasse all’Italia solo ed esclusivamente come al paese della pizza e della mafia! E così potrebbe anche essere, se non fosse che la nostra storia è ben conosciuta e documentata a livello internazionale! Quella maldivense no! Il Presidente della Repubblica delle Maldive da tempo, infatti, chiede a gran voce di non considerare queste 1120 isole solo come “l’industria delle vacanze”, anche se di turismo vivono.
Chi sono i Maldiviani? Gente come noi: chi lavora e sbarca il lunario, chi non rinuncia al telefonino e chi ama gli “status symbol”. La maggior parte vive nella capitale più piccola del mondo: Malè. Sarà anche piccola, ma soffre dei grandi problemi di tutte le metropoli occidentali: strade malmesse e congestionate (ci sono più auto che anime), delinquenza giovanile legata alla droga, mancanza di lavoro. Ma questa è un’altra storia, alle Maldive si va in vacanza! Navigare tra gli atolli aiuta ad aprire gli occhi: ci sono isole penitenziario, isole discarica e isole fabbrica. C’è persino quella della coca-cola. Alle Maldive si prega Maometto, si mangia il tonno e si balla il “bodubero” ma solo tra uomini! Dove sono le donne? Ho voglia di scoprirlo, di dare una risposta alle mie tante domande. Mi hanno detto di andare a Felidhoo, l’atollo “vergine” dove ancora si respira aria di Maldive, è lì che sono diretta. Rispetto agli altri atolli aperti al turismo, quello di Felidhoo (detto anche Vaavu), è il meno sviluppato. Dall’insolita forma a stivale, è una destinazione primaria per i safari subacquei grazie alle meraviglie che le sue acque custodiscono e alla presenza d’isole remote e disabitate. Delle 15 isole presenti solo 2 sono adibite a resort e 5 abitate dai locali: gente gentile e ospitale. Mi piace la fiera pacatezza dei maldiviani. Le donne, di una bellezza disarmante, cucinano e si prendono cura dei bebè. Per le vie si respira ancora il profumo del “bonito”, il pesce affumicato, considerato una prelibatezza. Che bella la semplicità della gente di mare. Scopro che tutto il mondo è paese: seduta al centro del villaggio con i pescatori e le famiglie mi sento raccontare storie di pesca e di mare. Narrano di un luogo magico: la grotta sommersa di Fotteyo.
Dondolando sdraiata su un’esotica altalena in fibra di cocco, osservo la varietà di toni del blu che colorano le lagune. La linea dell’orizzonte è appena percettibile. Sospesa nel tempo e nello spazio cerco di immaginare la vita che si cela sotto il pelo dell’acqua a “Fotteyo caves”. Inizio a sentirmi come una sirena in un catino, devo tornare in mare, mi devo immergere e vedere con i miei occhi se le storie raccontate sono reali o sono solo esagerazioni da pescatore. Ecco che allora il Dhoni (tipica barca maldiviana) ci porta in prossimità del gomito esterno di Dhiggaru Falhu, così si chiama il reef custode del paradiso di Fotteyo. Dopo che la mia guida ha controllato il verso della corrente, con un passo da gigante sono in acqua. Mantenendo la coloratissima parete sulla destra, sprofondo subito a quota -20m: molti pesci chirurgo ci accompagnano, tanto vicini da poter essere toccati con mano. Nel blu intenso del mare aperto, piccoli tonni perlustrano l’area in cerca di cibo, un primo squalo pinna bianca compie una fugace incursione verso di noi, ma si allontana altrettanto velocemente. Scendendo ancora, la parete si colora ulteriormente. Fragili alcionari (coralli molli) resi turgidi dalla corrente, ondeggiano come fiori al vento. A circa 30m di profondità, l’apoteosi della bellezza ci attende appena voltata una sporgenza del reef. Un’ampia grotta, o meglio un tunnel passante, si apre nella barriera. Dal soffitto centinaia di alcionari pendono come succose ciliegie da un albero: un arcobaleno giallo, arancio, rosa, verde fosforescente. Dal fondo, rigogliosi rami di corallo frusta, di un rosso carminio, tentano di raggiungere la volta. All’ingresso del tunnel, cespugli di corallo nero, offrono rifugio a una quantità indefinita di pesci di barriera. Mi muovo cauta all’interno della grotta, non voglio sollevare la sabbia, fine come borotalco. Uscita dalla cavità, lo spettacolo non finisce: archi e balconate continuano ad essere ricoperte di alcionari. Un branco di carangidi mi sorprende alle spalle: si infila all’interno delle “grotte dei ciliegi”, li seguo. Trascorro gli ultimi attimi d’immersione tra i coralli duri che tappezzano un pianoro profondo solo 14m. Nuvole di fucilieri vivacizzano l’ambiente.
Grugnitori orientali si spostano all’unisono con la corrente tenendoci sotto controllo. Una timida tartaruga verde bruca qua e la: tento di avvicinarmi, ma scompare nella luce del giorno che avanza.
La prima giornata d’immersioni nell’atollo di Felidhoo è ormai terminata, mi concedo una passeggiata lungo una lingua di sabbia, i piedi affondano dolcemente, il calore che sale dalla battigia è piacevolmente mitigato dalla carezza di deboli onde, osservo il cielo nella luce del tramonto. Non l’ho mai osservato con così tanta intensità. Un sorriso m’illumina il volto: domani sarà un altro giorno a Felidhoo.