Il marito della signora
Lo specchio restituisce un’immagine notevole. Un metro e settanta, e sessanta chili di geometrie divine. E perché l’effetto di tachicardia sia una certezza, il tutto è delicatamente arrampicato su sei centimetri di sandali. Il tailleur rosa cipria, con cornice di passamaneria di pizzo grigio, ha le spalle leggermente larghe, corto, ben stretto in vita e chiaramente sopra il ginocchio. Il volto di lei è regolare, non bellissimo ma carico di personalità, assistito da una massa di capelli appena sul collo di un castano molto, molto scuro. Non ha gran voglia di uscire, ma è anche stufa di stare in casa. La ragazza polacca è brava e volenterosa, ma il suo italiano stenta a progredire. Diciamo che come dama di compagnia non è granché, e non solo perché ha difficoltà di lingua. Decide perciò di usare un vecchio espediente: portare fuori il cane. Nemmeno lui è di grande compagnia – almeno quanto a conversazione – ma è una buona scusa per fare un po’ di movimento. E’ un terrier (non se ne vedono quasi più in giro) di nome Dustin, in onore dell’attore Hoffman che la signora Annalisa, coniugata Maremmi, molto adora. Da sempre si rivede nella mente, o sullo schermo della tv, la scena di lui che urla alla vetrata della chiesa per impedire che la figlia della signora Robinson si sposi, e poi via la fuga in abito bianco. Quello sì sarebbe stato un folgorante inizio di vita in comune. Si avvia per strada, cammina come una modella, attira gli sguardi e le fa piacere essere ammirata. Dustin corre avanti e indietro, almeno per quel po’ che il guinzaglio retrattile gli permette. Abbaia inutilmente, ma fa da ulteriore richiamo per gli sguardi dei passanti verso la sua padrona.
I pensieri di Annalisa sono quasi sempre sullo stesso tema. Si chiede se abbia fatto bene a sposare Augusto Maremmi, uomo dabbene, anche ricco, niente male a vedersi e appassionato all’occorrenza. Ma troppo legato alle sue origini. Da ortolano aveva costruito un piccolo impero della frutta, un ingrosso che domina la scena del mercato ortofrutticolo: tanto di cappello. Ma nulla aveva ed ha, come dire, dell’uomo di mondo. Al momento la cosa non era sembrata rilevante; attivo e focoso, le aveva dato un senso di virilità e sicurezza. Ora invece si sente, già da diverso tempo, spaesata, al posto sbagliato. D’altra parte, sua madre non ha mai cessato di dirglielo: «E’ un bravissimo uomo, ti adora, ma non è del nostro stampo. In fondo tuo padre è stato un luminare della chirurgia toracica e tu sei stata educata dalle suore di Nevers. Noi la frutta la mangiamo e basta». Annalisa si sente anche un po’ in colpa. Ma non riesce a reprimere un pensiero, quasi molesto: «Io sono una signora, lui invece…». Mentre medita, dalla curva spunta un giovanotto in bici che interrompe la canzone fischiettata e urla: «Addio schiantoooo…».
Annalisa sente un brivido: la volgarità è una specie di maledizione per lei e non riesce a liberarsene. Guarda Dustin e lo vede immobile. Guarda altrove, uno sguardo penetrante, ma oltre l’orizzonte. Qualche attimo dopo il terrier si muove, e così la sua padrona. Esce dal numero 39 la portiera inferocita: «Ehi, questa cacca è sua, tiri fuori il sacchetto…» La signora Annalisa allunga il passo, non ce la fa più, c’è troppa volgarità e nessuno distingue più una signora.