La triste storia di Jackson C. Frank; musicista sfigato!
I Want To Be Alone (Dialogue)–Jackson C. Frank (From Vinyl) (1) ← download
La sfiga è una cosa seria. Tutti noi ci ritroviamo a confrontarci con lei di tanto in tanto, ma è una sfida persa in partenza. A volte, chiacchierando con gli amici, capita che uno racconti la sfiga del giorno, chessò: “ragazzi oggi a lavoro mi sono cadute le chiavi della grotta… nella grotta!”, e da lì tutti a ricordare quelle accadute a loro. Si sommano storie di disastri, figure di merda, eventi più rari di una nevicata ad agosto (cosa plausibile solo nelle canzoni di Gigi d’Alessio) e chi più ne ha più ne metta. Come dicevo, però, la sfiga è una cosa seria. Ci sono alcune persone a cui si affeziona particolarmente, e questo in un modo molto strano riguarda anche noi. Ne è la prova il caso di Jackson C. Frank, cantautore americano degli anni ’60 che ho conosciuto solo per uno di quei casi fortuiti che di tanto in tanto riportano al centro l’ago della bilancia.
Di lui potrei dire che è uomo conosciuto più per la sua sfigatissima storia personale che per le sue canzoni, ma la verità è che non è affatto conosciuto e basta. Penso che se i Daft Punk non avessero incluso un suo pezzo nella colonna sonora del film Electroma (2006), da loro diretto e che li vede protagonisti (in forma robotica e nonostante ciò comunque interpretati da altri attori, i soliti timidoni!), oggi non sapremmo davvero niente di lui, e sarebbe un vero peccato. Questa è la sua storia:
All’età di 11 anni, mentre si trovava a scuola (durante la lezione di musica, particolare non di poco conto), la caldaia esplose uccidendo 15 dei suoi compagni di classe e costringendolo a 6 mesi di ricovero con ustioni sul 50% del corpo. Durante il ricovero, il suo professore che doveva avere uno strano senso dell’umorismo, va a trovarlo e gli regala una chitarra. Nella realtà psichica di una persona ciò può avere due conseguenze opposte: a) la sola vista della chitarra ti fa vedere i mostri, ricordandoti la traumatica scena dei tuoi poveri compagni morti stecchiti, oppure b) diventa un veicolo per superare il trauma. Per Jackson fu la seconda, anche se non del tutto. Si dice infatti che quando nel 1965 registrò il suo unico disco, utilizzò dei pannelli per isolarsi dai produttori e dai tecnici. Questa timidezza, anche se è improprio definirla così visto che con molta probabilità era più dovuta al trauma dell’esplosione che al suo naturale modo di essere, di sicuro non gli avrà reso facile la carriera da musicista.
Ad ogni modo, all’età di 21 anni Jackson riceve un cospicuo risarcimento per le ustioni (100.000 dollari) e vola a Londra,dove conosce Paul Simon (Simon & Garfunkel) all’epoca non ancora famoso, il quale gli produce il disco. Il disco non se lo fila nessuno. Jackson smette di scrivere, sposa una modella che dà alla luce due figli. Purtroppo, uno di loro muore di fibrosi cistica. I soldi dell’assicurazione finiscono, Jackson ritorna a casa della madre in America, cade in depressione e viene internato. Nell’84, mentre la madre è sotto i ferri per un intervento al cuore, decide di fuggire a New York per cercare nuovamente Paul Simon che nel frattempo aveva raggiunto fama mondiale e aveva fatto anche delle cover delle sue canzoni. Tuttavia, lo fa alla cieca e senza lasciare nessun recapito; finisce a fare il mendicante, dormire sotto i ponti, insomma, diventa un barbone (trovo la parola clochard di una finezza inadeguata alla poco raggiante situazione di un senza tetto) e di tanto in tanto viene pure internato per schizofrenia. Ad un certo punto, negli anni ’90, in un negozietto di dischi, un professore universitario di provincia scopre il suo disco, su cui c’erano anche diverse dediche di artisti all’epoca molto conosciuti. Indagando un po’ viene a sapere che Jackson si trova a New York e decide di aiutarlo dandogli dei soldi e cercando di rimetterlo in contatto con i suoi vecchi amici. Le cose sembrano andare meglio, Jackson è pronto per registrare il suo secondo disco a Woodstock, dove nel frattempo è andato ad abitare. Sembrano. Un pomeriggio, nei giorni che lo separano dal ritorno a casa e dalla registrazione, viene colpito all’occhio da un proiettile vagante, probabilmente a causa di alcuni bambini che giocavano allegramente sul molo di New York con fucili ad aria compressa. Rimane accecato! Il professore che ha cercato di aiutarlo lo riporta a Woodstock, dove nel 1999 muore all’età di 56 anni, senza aver registrato un secondo disco. A me alcune sue canzoni piacciono molto, come questa:
Ho riletto questa storia nel tempo diverse volte, principalmente perché mi fa ridere e sentire meno sfigato, anche se nel tempo ha assunto un significato diverso. Penso a quanti ce ne saranno come lui, magari con una vita meno sfigata ma senza comunque aver avuto la fortuna di raggiungerci con la loro musica. Se al posto della sfortuna mettiamo le difficoltà pratiche, tecniche, economiche, di quanto aumenta il numero? Io temo di una cifra spaventosa. Chiunque cerchi di fare musica lo sa, tra il pensare una cosa e il realizzarla così come suona già nella tua testa ci vogliono diversi zeri dopo il primo numeretto. Purtroppo non tutti nascono Mozart che iniziò a comporre all’età di 5 anni e a neanche a 6 anni suonò per la corte del Principe elettore bavarese Massimiliano III. Non tutti nascono Tim Buckley che a 18 anni ha fatto uno dei live più belli che abbia mai sentito e che se lo senti cantare in mezzo alla strada solo con la sua chitarra ti metti a piangere (e t’ha fatto pure un figlio come Jeff). Non tutti nascono Jimi Hendrix che se gli davi in mano un manico di scopa te lo faceva suonare come una Stratocaster e magari pure meglio. A noi altri le idee non bastano. Questa cosa non ha rimedi facili (quando mai ci sono rimedi facili per le cose che contano?), ma nonostante ciò c’è una vena positiva. Chi fa musica lo fa con e per amore. Per quanto possa essere desiderabile avere un riconoscimento, e lo è, ancora più fondamentale è che quello rimanga il proprio canale per esprimere sé stessi. È una spinta che viene dall’interno e che nonostante tutte le difficoltà non ti fa rimpiangere nemmeno per un giorno di fare quello che fai. E infatti ora, con tutto l’amore, vado a lottare con quel dannato mixer di quattro soldi e quelle casse che non suonano, e si lamentano.