La città del tuo Erasmus, destinazioni di vita
Vivere la città del proprio Erasmus è affascinante, è forse una delle prime cose alle quali un aspirante Erasmus pensa. Prima ancora di controllare se quella città abbia o meno un’università o se la si è scelta semplicemente perché una volta “ho letto un articolo, visto un film, ci è stato un mio amico e penso sia fantastica”.
Aggiungete all’essere giovani il vivere da soli all’estero (che per noi italiani mammoni è già una gran cosa) e l’avere una dorata etichetta che recita “studente Erasmus” stampata sulla vostra fronte. Ad alcuni farà storcere il naso (vedi proprietari di casa, professori universitari e poliziotti), ad altri farà partire un sorrisino di chi la sa lunga (ex-Eramus, futuri Erasmus e in generale tutti quelli che hanno visto il film “L’appartamento spagnolo”, quindi essenzialmente tutto il mondo europeo di adulti e non che pensa di aver capito com’è l’esperienza Erasmus dopo aver visto le avventure di quel francese sfigatello che girando in tondo per Barcellona, facendo esperienze sessuali e vomitando all’angolo di Plaça Reial, matura tutto d’un colpo e si trasforma in un uomo di carattere).
Comunque, quella della città di destinazione è un dilemma che inizia mesi e mesi prima, da casa. Selezionare un nome o un altro in una lista in bianco e nero al momento della compilazione della domanda è un po’ come scegliersi il destino, avere fra le dita non una penna, ma una bacchetta magica.
“Sarà la città giusta per me? Questa università ha la piscina, che figata! Ma non mi coincide nemmeno un esame, cazzo. No, questa città è troppo piccola, non la conosce nessuno, sarà di sicuro una noia. Ma tanto mi hanno detto che tutte le città sono belle se vissute da Erasmus. Però questa è una capitale, di sicuro sarà mille volte più figa. Però gli affitti sono alle stelle. Qui invece la borsa è di soli tre mesi, io voglio starci di più. In questa nevica troppo. Mi hanno sconsigliato le metropoli, troppo non-personali per un’esperienza verace. Però questa mi attira, forse solo per il suono del nome. Vediamo su Google Immagini che impressione mi fa!”.
Nel mio caso si tratta di una città grande e infiammata, Barcellona, e anche se so che imparare a conoscerla per i nomi delle strade e gli odori dei quartieri sarà una sfida impossibile, per ora incontrare al semaforo qualcuno che conosco mi rallegra abbastanza perché in fondo #tuttoilMondoèPaese .
Dicono non si possa calcolare un periodo di tempo necessario per sentire davvero tua una città; per conoscerne i vari e lunatici umori giornalieri o i grigi riflessi nelle pozzanghere, per individuare la panchina più comoda e la panetteria aperta di domenica, per imparare le traiettorie delle gocce di pioggia e il miglior bar dove prendere il caffè. Per sapere esattamente in che punto si apriranno le porte della metropolitana o su quale marciapiede camminare in base al sole o alle raffiche di vento.
Potrebbe non bastare una vita per conoscerla davvero, per sentirla tua. Pensateci, pensate un attimo alle città dove avete vissuto: è vero.
Io mi trovo d’accordo con questa idea se solo penso a quanto della mia Napoli mi sia ancora sconosciuto e nascosto. Ed è come una sveglia che scuote mentre ci si sta riaddormentando, mantenendo l’interesse acceso con uno squillo di tromba. Succede alle città magiche e misteriose, come se volessero sedurti dicendo: “credevi di conoscermi, vero? Guarda invece come ti stupisco…”. Per esempio solo ieri, a chilometri di distanza, ho scoperto la leggenda dei maccheroni al pomodoro e del napoletano mago Chico, ma questa è un’altra storia, e ve ne parlerò in seguito.
Quindi, quanto possiamo dire di appartenere alla nostra città d’origine o di trasferimento?
Nascerci e sapere dove trovare parcheggio gratuito è davvero conoscerla? Gli apparteniamo o ci appartiene?
Un mio amico mi ha detto che alla fine del mio Erasmus sentirò Barcellona mia. Ho immaginato che accarezzando con le mie suole le sue strade sentirò di esserne un tutt’uno; sgusciando dentro e fuori le viscere dei suoi locali sotterranei, sfrecciando nei cunicoli della metro che la trapassa di parte in parte e bagnandomi nelle sue acque sentirò di esserne davvero parte.
Ma non potrò mai davvero conoscerla tutta, e lei non conoscerà che la me di una decina di mesi.
A volte penso che una vita sia troppo poca per viaggiare e vivere i luoghi quanto vorrei, e mi viene il magone.
Ma a pensarci, forse, nessuno conosce davvero nessuna città. Si tratta solo di temporanei scenari delle nostre vite, di destinazioni di viaggi, di location cinematografiche, di un cumulo nuvoloso di idee nostre su quella città. E se le sue strade e le sue mura fossero solo il risultato del nostro sentirle, dell’aver incrociato le sue genti? Se tutti i paesaggi si riducessero al grado di appartenenza che percepiamo in relazione alle sue luci o alle sue aiuole fiorite? E se questa pila di cartoline mentali costituisse la città stessa? Se non ci fosse una sola Barcellona, ma magazzini pieni di cartoline confuse di migliaia di cittadini e viaggiatori?
Non lo so, ma nonostante tutto sono abbastanza convinta che per ora un briciolo di Barcellona sia proprio mio. Mio mio. A lo mejor.