L’Afghanistan (parte prima): La città di Mazar-e Sharif e le sue genti
L’Afghanistan è un paese che già dai primi contatti con i locali sulla via verso la rimessa dei taxi del villaggo di Hairatan risulta sensazionale per il senso di ospitalità che le genti d’origine persiana hanno nell’animo.
Prima di raggiungere i taxi io e Filippo ci fermiamo presso un piccolo rivenditore di bevande e generi alimentari proprio a ridosso dell’uscita dal”area doganale. Dopo avere cambiato gli ultimi sum uzbeki e qualche dollaro in Afghani (moneta afghana), un ragazzo incuriosito dalla nostra presenza ci chiede da dove provenissimo, dando inizio ad una simpatica conversazione in un grandioso mix tra dari, russo con qualche accenno d’ inglese.
Dopo qualche minuto di conversazione ci invita a seguirlo per recarsi a Mazar I Sharif dove abita con la propria famiglia da quando è nato. Camminiamo in direzione sud con un sole cocente che rende faticoso ogni piccolo passo, senza però riuscire a smorzare l’entusiasmo di essere entrati in territorio afghano. La voglia di raggiungere la splendida città sacra ai musulmani sciiti è tanta, così dopo avere contrattato la corsa verso Mazar-e Sharif partiamo alla volta della città Afghana. Il viaggio dalla zona di confine a Mazar-e Sharif durerà non più di una mezz’ora e sarà contornato da sorrisi, tentativi di parlare il dari e l’italiano oltre ad un’interessante conversazione in russo con il ragazzo, che ci fornirà alcune informazioni in merito alla situazione del paese negli ultimi dieci anni.
Mentre cerco di fare alcune domande al ragazzo sul passato e sul presente del paese, il suo sguardo non si stacca mai dal mio, come in una sfida continua tra chi cerca di tastare l’argomento della guerra e dei rapporti con le nuove truppe di occupazione e chi racconta con fervore la brutalità utilizzata dalle milizie americane durante la prima occupazione, come se il tutto fosse ordinaria quotidianità.
Con il mio russo stentato riesco comunque a capire che gran parte della popolazione di Mazar e- Sharif, oltre ad avere allontanato con la forza e con l’aiuto del governo locale le milizie talebane rimaste, non apprezza il governo nazionale di Karzai che ha lasciato libero arbitrio alle truppe americane e della Nato per dettare legge sul territorio, continuando a perpetuare violenze senza che nessuno muova bocca. Spiego al ragazzo che dopo Mazar-e Sharif mi voglio recare ad Herat per poi passare il confine “Islam Qala” ed entrare in Iran, chiedendo delucidazioni sulla situazione della città nord occidentale. La risposta sarà un po’ confusa ma mi fornirà importanti informazioni sulla situazione odierna del paese.
Il ragazzo ci consiglia infatti di non recarci via terra verso Herat, data la radicata presenza di milizie talebane su tutto l’arco del tragitto tra le due città, oltre ad un notevole numero di rapitori che possono risultare un problema per chiunque transiti nella zona. Alla mia richiesta sulla presenza dei Talebani in Afghanistan e nella città, il ragazzo spiega che dopo essere stati cacciati dalla città, non se n’è più vista traccia per lunghi periodi, nonostante la simpatia nutrita nei loro confronti da parte di molti abitanti della zona. Negli anni, mi spiega, sono stati fatti alcuni tentativi d’ingresso nel centro con scontri a fuoco con la polizia afghana nelle periferie, ma la città rimane saldamente sotto il controllo governativo con l’aiuto delle milizie internazionali d’occupazione ISAF.
Il viaggio prosegue tranquillo in mezzo ad un singolare panorama desertico nel quale l’uniche tracce di presenza umana s’individuano nel passaggio della nostra macchina su di una strada finalmente asfaltata e in qualche traliccio delle nuove linee cellulari afghane; di tanto in tanto si notano nuove costruzioni e progetti portati avanti da aziende tedesche ed americane (la zona è controllata dalle milizie ISAF Americane e Tedesche) che, dopo la terribile guerra, hanno approfittato della distruzione più totale per fare opere di ricostruzione ed impiantare nuove multinazionali su tutto il territorio. Durante il tragitto molto spesso siamo superati da carovane di tank e jeep militari americane ed afghane che si muovono direzione Kabul cariche di mitragliatori e soldati con fucili puntati direttamente sulla strada; questo è uno dei più interessanti benvenuti che si possano dare al visitatore straniero, lasciandogli intendere che s’è appena inoltrato in una zona ancora per gran parte ad alto conflitto; una sorta di avviso latente che si può tastare osservando la realtà circostante appena superato il confine.
Arriviamo durante il tardo pomeriggio a Mazar-e Sharif, ringraziamo il ragazzo per le sue attenzioni nei nostri confronti ed i consigli per la nostra permanenza in Afghanistan e ci facciamo lasciare dal taxi di fronte ad un albergo che è spesso utilizzato da stranieri di passaggio in questa città afghana; riusciremo a contrattare il prezzo di una stanza per meno di trenta dollari.
Uscendo dal taxi il mio sguardo si volta verso la splendente bellezza di una parte della sfarzosa moschea blu circondata dall’onnipresente ed inspiegabile presenza di centinaia di colombe bianche che volano verso la mia direzione distogliendo per un attimo l’immobilità del mio sguardo affascinato dalla splendida vista.
Dopo una breve ora di riposo, siamo svegliati dal richiamo alla preghiera della moschea che torno a sentire dopo molti giorni di assenza; indossiamo in fretta gli abiti comprati a Termiz ed iniziamo la nostra prima passeggiata per questa meravigliosa città afghana.
Neanche il tempo di girare l’angolo sulla via che conduce al parco intorno alla moschea che siamo fermati da un venditore di tappeti che ci chiede di soffermarci a bere un tè con lui ed il suo collega.
Il ragazzo, sui trentacinque anni, parla un ottimo inglese e c’informa di conoscere altre sei lingue, tra le quali uno spagnolo che colpisce per la cadenza molto simile al castigliano di Madrid; la pausa tè si prolunga per più di due ore tra racconti di vita quotidiana nella città afghana ed aneddoti del passato e presente di guerra. Sono molto attirato dal pathos delle lunghe riflessioni immerse nei racconti di questo ragazzo, così dopo aver preso un po’ più di confidenza, entro lentamente nel merito dell’ultima guerra e dell’argomento talebani. Il modo con cui questo ragazzo ci racconta del passato talebano e del presente sotto occupazione ha dello straordinario: i racconti si susseguono l’un l’altro senza il benché minimo scrupolo di tralasciare i particolari crudeli di ogni conflitto. Non c’è miglior cosa nel viaggiare che riuscire a mescolarsi tra la vita dei locali, essere fermato di tanto in tanto da un rivenditore per bere un tè insieme, ed essere scambiato per locale quando una persona ti chiede indicazioni per un negozio in lingua Dari
L’arrivo degli americani ha cambiato le carte in gioco, e l’assetto della società afghana, oggi, sta notevolmente cambiando; la città fu bombardata pesantemente per più di quattro giorni dall’Alleanza del Nord, con forti perdite di soldati uzbeki e tajiki e perdite assai maggiori tra la popolazione civile e i talebani, che si aggira intorno alle tremila persone.
Il ragazzo racconta con voce soffocata che si ricorda perfettamente l’ingresso repentino delle milizie alleate dentro le case dei civili, nel bel mezzo del centro della città, mediante l’uso di modalità tipicamente terroristiche: fucili puntati alla testa dei membri di alcune famiglie, e torce elettriche orientate pesantemente sul viso di bambini e madri, con grida di attenzione. Ci viene spiegato che, seppur quella di Mazar-e Sharif sia stata una delle battaglie “meno cruente” e più brevi dell’avanzata americana contro i talebani, non si potrà mai scordare il suono dei bombardieri ed il frastuono della distruzione delle bombe sulle case, le grida di terrore e l’ingresso trionfale degli americani tra la distruzione e la morte circostante, o dimenticarsi del massacro perpetuato dall’Alleanza del Nord in una scuola coranica gestita in passato da Talebani, con fucilazioni di centinaia di studenti pro talebani, lasciati soli dalle stesse milizie islamiche.
Ebbene sì, sono in Afganistan, uno dei posti più splendidi e cordiali mai visitati sino ad ora
Prenotiamo due biglietti aerei per Herat per due giorni dopo e successivamente cominciamo ad aggirarci per la città, prima di recarci a dormire e riposare. Ci inoltriamo nella zona intorno alla splendida moschea, girovagando per le vie prossime al parco, e notando una serie di piccoli punti di ristoro al chiuso ed un consistente numero di rivenditori di semi di girasole e spezie di vario tipo, banane dall’aspetto terrificante e piccoli mercati all’aperto di vestiti d’ogni varietà. Dopo questa piccola escursione torniamo indietro, seguiti dal canto del muezzin che richiama i fedeli all’ultima preghiera della giornata; sono le dieci e mezzo e per noi è invece l’ora di tornare all’albergo ed entrare nel mondo dei sogni.
Ci svegliamo la mattina in direzione parco della moschea per visitarne il piazzale interno ricoperto da mattonelle lucide e bianchissime che riflettono il calore del sole rovente di maggio, dando la sensazione di trovarsi in un forno all’aerea aperta.
Lo sguardo si perde nella maestosità di quella perfezione architettonica; le piccole maioliche diligentemente incastonate che formano uno splendido intreccio di segni verde turchese, intramezzati da piccole tracce dorate che rendono unica quest’antica moschea del XV secolo. Cammino intorno alla moschea immergendomi nella strana atmosfera che ogni luogo religioso mi regala, nonostante il mio agnosticismo; mi perdo tra le scritte arabe incastonate nelle decorazioni e mi metto ad osservare un gruppo di donne che entrano nel cortile da un ingresso non distante dalla mia postazione; alla vista di qualche burqa tipico e di veli scuri mi rendo conto davvero di essere arrivato in Afghanistan.
Dopo un poco di riposo all’interno del cortile all’ombra di un minareto, decidiamo di addentrarci nel caotico bazar locale, un labirinto fatto di bancarelle di variopinti vestiti, frutta e spezie di ogni tipo, tradizionalmente simile ad ogni bazar centrasiatico, ma con un tocco in più di fascino dato dalla presenza di abiti tradizionali e da un’occidentalizzazione dei costumi ridotta ai minimi termini, per non dire assente.
Come sempre amo perdermi tra i vicoli del bazar, senza alcuna fretta, e neanche voglia di trovare un punto di riferimento da cui ripartire; mi lascio guidare dai sensi, che si perdono tra centinaia di profumi e sguardi incuriositi dei venditori e dei passanti che talvolta accennano ad un rispettoso saluto, disinteressandosi completamente del nostro luogo di provenienza.
Non c’è miglior cosa nel viaggiare che riuscire a mescolarsi tra la vita dei locali, essere fermato di tanto in tanto da un rivenditore per bere un tè insieme, ed essere scambiato per locale quando una persona ti chiede indicazioni per un negozio in lingua Dari.
Credo che i vicoli attorno ai viali principali della città e le strette vie del bazar siano state una delle migliori esperienze d’immersione nella vita locale di una grande città di tutta la mia vita, grazie alla naturalezza in gran parte preservata dei luoghi, ed alle usanze locali che scorrono invariate nel tempo, mai spezzate da nessun conflitto o cambiamento.
Dopo esserci piacevolmente perduti nella vita frenetica dell’allegra città del nord afghano ed esser tornati a salutare il ragazzo del negozio di tappeti, torniamo verso il parco della moschea rientrando per l’ultima volta dentro al cortile, e trascorrendovi un paio d’ore immersi in riflessioni.
Ripensiamo a tutto l’arco del viaggio sino a quel momento e alle esperienze attraversate in questi territori così poco visitati, ponderando sullo straordinario senso di quiete che questo immenso spazio bianco offre al visitatore. Un gigantesco stormo di colombe bianche sorvola uno dei minareti poco prima che l’inizio del canto malinconico del muezzin regali a tutta la piazza un’aria di surreale magia che nessun altro luogo sacro al mondo mi aveva mai offerto prima d’ora. Eppure siamo in Afghanistan, quella terra considerata dai più luogo di barbari e d’incivili ai quali dobbiamo insegnare la civiltà esportando guerra ed incrementando odio tra gruppi. Eppure siamo in Afghanistan, quella terra conosciuta solamente per i Talebani e per i conflitti susseguitisi negli anni. Ebbene sì, sono in Afghanistan, una terra fatta di genti ospitali, una terra ricca di tesori naturali ed umani nascosti tra deserti e montagne inesplorati, preservati come centinaia di anni fa e non ancora distrutti dall’avidità e dalla violenza; una terra che ti lascia il segno con la sua gentilezza e genuinità, una terra da conoscere e non da disprezzare e distruggere. Ebbene sì, sono in Afganistan, uno dei posti più splendidi e cordiali mai visitati sino ad ora.
Ci addormentiamo presto, siamo molto stanchi ed il giorno seguente abbiamo l’aereo per Herat con scalo a Kabul, nome d’una città che evoca terribili ricordi di bombardamenti americani, violenze sui civili, regimi talebani ed odio continuo.
Buona notte, Mazar-e Sharif.