Saccheggio o Ricatto? Storie di ordinaria corruzione in Africa Nera
Aeroporto di Bamako, Mali, ore 23.30
Penso di aver fatto la muffa sulla sedia, aspettando l’annuncio del volo che mi riporterà in Europa e che ormai è in ritardo più di quattro ore. Passare qualche ora in un aeroporto africano è un’esperienza “sui generis” già di per sè: la baraonda di persone che gridano, sgomitano, si calpestano perfino per raggiungere prima il gate di imbarco oppure l’uscita dall’aeroporto; il caldo scottante che incolla i vestiti alla pelle senza lasciar passare un filo d’aria e rendendo ancor più insopportabile l’attesa; le fiaccole artigianali che il piccolo operatore agita di fronte al bisonte aereo Air France appena atterrato, per poi correrci dietro e indicargli il luogo dove parcheggiarsi. Questo è solo un assaggio di ciò che può accadere in un aeroporto africano come quello di Dakar o questo di Bamako, dove mi trovo al momento.
Finalmente chiamano il mio volo per Parigi e così vado ad incolonnarmi insieme a tutti gli altri passeggeri. A dispetto di questo scomodo ritardo sono soddisfatto del viaggio che sta per concludersi e che mi permette di riportarmi indietro migliaia di immagini, riflessioni e emozioni che ho vissuto direttamente. A ricordarmele c’è pure la maschera Dogon (denominata Kanaga) acquistata in un villaggio, che ora spunta dal lembo superiore del mio zaino luccicando nel suo legno intarsiato.
La fila si screma e anche per me arriva il momento di presentarmi davanti a due poliziotti aeroportuali che, dopo aver controllato i miei documenti, mi ordinano di aprire lo zaino. Non appena vista la maschera i due uomini cominciano a parlottare tra loro in francese stretto. Dopo qualche istante uno dei due mi dice che la maschera non poteva uscire dal Mali in quanto parte del patrimonio culturale del paese. Io spiego loro che avevo acquistato il presunto oggetto proibito in un mercato Dogon organizzato legalmente in un villaggio.
Il secondo poliziotto mi chiede allora di esibire una ricevuta di acquisto. Io lo guardo in faccia e gli chiedo se secondo lui era possibile che un artigiano Dogon, nel mezzo della savana, mi avesse preparato una fattura o battuto uno scontrino. Quello si mette a ridere e dice altre due parole al compagno, in un francese ancora più stretto e forse misto a qualche altra lingua. Gli altri passeggeri, in fila dietro di me, cominciano a dare segni di impazienza per questa spiacevole interruzione nelle procedure di imbarco. I due poliziotti ritornano a me dicendo che ero già fortunato che non mi denunciavano come saccheggiatore e ricettatore di opere d’arte del Mali, di lasciare la maschera a loro e di tornarmene a casa mia. Io mi oppongo sostenendo che avevo regolarmente acquistato la maschera, e che era evidente da molti particolari che questa non fosse altro che un souvenir riprodotto per i turisti. I due poliziotti alzano la voce cercando di coprire la mia e soprattutto fanno indietreggiare il resto della coda. Sembra che non gradiscano che gli altri ascoltino la nostra conversazione dai toni già parecchio accesi. Uno dei due mi viene vicino e mi dice all’orecchio che se proprio volevo portare con me la maschera ci saremmo dovuti accordare in altro modo. Il suo collega mi fa cenno di seguirlo e mi porta in uno stanzino poco più grande di una cabina telefonica, separato dall’ambiente in cui eravamo prima solo da una sottile tenda di stoffa. Io mi aspetto il peggio: sono in arresto? La guardia vuole per caso cinghiarmi per averlo messo in imbarazzo di fronte agli altri passeggeri? No… niente di tutto questo… da quello che si legge chiaramente nei suoi occhi, eloquenti anche senza bisogno di proferire parola. A malincuore apro il portafoglio e gli metto in mano una banconota da venti euro. Quello se la intasca, riapre la tenda, e mi riconsegna lo zaino completo di maschera augurandomi buon viaggio.
Mentre l’aereo sta rullando sulla pista ripenso all’accaduto. Che in Africa qualcuno cerchi di estorcere denaro agli stranieri è una cosa risaputa. Ricordo di quando un amico mi raccontò che i genitori, al ritorno da una vacanza in Kenya, riuscirono a salire sull’aereo solo dopo aver consegnato più di cento euro all’agente di polizia addetto all’imbarco. L’uomo sosteneva che i loro passaporti, per qualche oscura ragione, non fossero in regola per il volo. Considerando questo a me è andata fin troppo bene. L’unica cosa che mi dispiace è di avere avuto solo tagli da venti nel portafoglio. Il poliziotto si sarebbe accontentato di molto meno, ma di certo non potevo chiedergli indietro il resto.