Ti presento un mestiere: il programmatore
E se il lavoro dovesse andare a braccetto con la tecnologia?
Dopo aver raccontato il correttore di bozze, l’intervistatrice telefonica, l’assistente di volo, eccoci finalmente a parlare di programmatori. Questi sconosciuti, viene da dire, per fare una batutta originale.
Enrico C., giovincello di qualche anno più di me, ci racconta come è giunto a questa professione. Sempre avuta, chiaramente, la passione per la tecnologia e computer, ha deciso di optare in università per Ingegneria Informatica. “Già prima di finire “lavoricchiavo” con un amico facendo qualche sito per la sua società o lo aiutavo in lavori di grafica; oppure facendo applicazioni Android”: già qui ad un profano verrebbe da storcere gli occhi. Per la sottoscritta, ad esempio, le applicazioni Android sono ancora una sorta di magica connessione fra il cellulare ed il resto del mondo, alla quale è quasi impensabile presupporre un meccanismo logico. Ma Enrico continua: “Il lavoro vero e proprio è arrivato dopo la laurea” : come per tanti, lo stage ha dato il via a tutto. A Londra, però, ché l’Italia non è un paese per programmatori, per fare un’altra citazione-battuta poco originale. Lo stage era retribuito, anche se poco, ed era comunque per una società italiana. La sorpresa però è stata tornare e dover fare un colloquio con la stessa, in Italia, e finire per essere assunto, smentendo quanto detto poc’anzi circa il paese per programmatori!
“Nello specifico lavoro come consulente, quindi vengo “prestato” ad altre società, abbastanza grosse di solito, per dei lavori. Il tempo di “prestito” dipende da varie cose, di solito il minimo è di un paio di mesi, ma conosco persone rimaste anni.”
Spaventata chiedo ad Enrico cosa fa quando sta “in prestito”, mentre lo immagino contenuto in un grosso scatolone consegnato da un postino particolarmente preparato.
“Un programmatore si occupa di sviluppare applicazioni, che possono variare dalle applicazioni per cellulari a sistemi bancari a complessi, ma anche sistemi come quello di SKY (al momento stiamo facendo una cosa simile). Nel pratico si tratta di scrivere migliaia di righe di codice per poter dire al computer come comportarsi in determinati casi e cosa fare!”
Lascio stare ogni tentativo di comprendere razionalmente e decido di fidarmi di quello che dice, stupefatta.
Ma… La giornata tipo di un ragazzo che dà gli ordini ai computer?
“L’orario è abbastanza snello e gestibile, si comincia alle nove e mezza circa,dopo un’obbligatoria pausa caffè: senza caffè nessuno lavora decentemente. Poi qualche chiacchiera, dove vige tra noi l’obbligo di non parlare di lavoro, e si comincia. Il lavoro si alterna a momenti dove i responsabili chiedono di sistemare alcuni problemi riscontrati dai tester oppure a nuovi sviluppi. Pausa di nuovo a metà mattina, lavoro di nuovo e poi dall’una alle due circa pausa pranzo alla ottima mensa – troppo ottima, mi sono dovuto rimettere a dieta. Stesso ritmo fino alle sei-sette di sera, anche a seconda dell’ora alla quale uno è entrato.”
Bene: un lavoro a me incomprensibile ma soddisfacente. Chi l’ha detto che i lavori dei giovani non possono lasciar un bel sorriso ed un po’ di soddisfazione? Ma, spirito curioso, chiedo ancora ad Enrico: cos’è del tuo lavoro che da fuori pochi sanno?
“La cosa che molti non sanno è che in un lavoro come il nostro ci troviamo ogni tanto a lavorare fino a tardi, mezzanotte o giù di lì, e anche sabati e domeniche. Questo in casi di problemi “gravi” o periodi particolari, certo. Se ci pensi il momento migliore per cambiare un sistema è la notte o durante le festività. Non puoi di certo buttare giù un servizio durante il giorno mentre la gente lo usa!”
Ecco che quando un sito non va, c’è dietro un programmatore che semplicemente ha scelto il momento sbagliato! Zan! Beccato! Il computer inizia ad umanizzarsi e l’immagine di questo aggeggio divino che funziona da sé per poteri celesti mi si va scomponendo piano piano.
Ma Enrico… Fra tutti questi computer, applicazioni, internet e Android… I rapporti umani?
“Bellissimi. Davvero. Una delle cose belle del fare il consulente è la quantità di persone che incontri. Girando per società ne conosci sempre di più e non so se sono stato fortunato – credo di sì – ma in ogni posto dove ho lavorato sono stato con persone che mi hanno lasciato qualcosa; e di riflesso spero di aver fatto altrettanto. A partire da Londra, dove il mio responsabile mi ha “iniziato” a questo lavoro e mi ha insegnato praticamente tutto, fino ad arrivare a Roma dove con i colleghi ci vediamo spesso per una birra e due chiacchiere, per confidarci le nostre storie andate bene o finite, i nostri problemi. Amici insomma, non colleghi. Di episodi singoli ce ne sono molti. Uno è quello di quando lavoravo vicino a Fiumicino ed il venerdì andavamo a pranzare in riva al mare, con un cartoccio di fritto ed una bottiglia di vino. O di quando, poche settimane fa, alcuni colleghi mi hanno fatto una serata a sorpresa per il mio compleanno.”
Bello. Pare un lavoro di quelli che faresti a vita, raccontato così. Tutto sta nel saperlo fare, certo, e non è una passeggiata. Come si sente Enrico a fare un lavoro che ama davvero e che lo soddisfa?
“Credo che la cosa più bella sia fare il lavoro che piace. Per fortuna nel mio caso è così. Vado a lavoro con piacere e senza forzature. Anzi, a volte continuo il mio lavoro a casa, sviluppando per conto mio. Penso proprio che sia il mio lavoro, non so se la modalità continuerà ad essere questa – quindi fare il consulente – ma sicuramente l’ambiente rimarrà questo. Magari un giorno mi troverò ad aprire una mia startup, o ad essere assunto alla Google. La cosa di certo non mi dispiacerebbe.”
Con un sorriso impacciato per la mia incapacità di capire anche soltanto un centesimo di quello che di computer e simili capisce lui, lascio Enrico ed i suoi auspici per il futuro, facendogli i miei auguri, felice di aver trovato un ragazzo che del suo lavoro non è “felice per adesso”, ma felice, e basta.
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