#SalvemosErasmus!
#SalvemosErasmus!
Negli ultimi giorni in giro per le strade di Barcellona la parola “Erasmus” mi è balzata alle orecchie più del solito. Non che non la senta pronunciare più di una volta al giorno, in media, di solito associata a: tandem, meeting, estudiante, descuento, fiesta e trip.
Ma stavolta era diverso, l’ho intercettata in battibecchi accesi, con la a accentata che traboccava di enfasi; e l’ho vista composta dal nero vernice sui cartelli.
Perché? Ignacio Wert, ministro dell’Istruzione del governo conservatore spagnolo, ha reso pubblica l’annunciata soppressione degli aiuti agli studenti Erasmus. Scatenando una tormenta.
Un taglio epico che ha sconvolto migliaia di studenti spagnoli già all’estero nelle loro università d’arrivo.
Non oso immaginare come ci si deve sentire nel leggere dal portatile poggiato sulla minuscola scrivania della stanza in affitto nella città straniera: “Hey caro studente Erasmus, ricordi i 230 euro che ti avevamo promesso per aiutarti a rimanere lì dove sei? Bene, scordateli perché non te li diamo più”.
Sappiamo che vivere in una città europea prevede una spesa mensile che supera di gran lunga l’ammontare elargito dalla borsa Erasmus. È per questo che ogni studente che abbraccia il sogno di partire prende per mano anche l’idea di lavoretti pre-partenza, pianificazioni familiari seduti al tavolo della cucina e salvadanai mezzi vuoti che urlano fame.
Ma se è vero che con 200 euro al mese non ci si paga nemmeno l’affitto, d’altra parte l’idea di ricevere una minima integrazione è perlomeno confortante, forse a volte costituisce perfino la goccia che rende l’Erasmus attuabile.
E ora tantissimi universitari iberici in giro per l’Europa e la Spagna si son riuniti manifestando per strada, scrivendo ai quotidiani,girando silenziosi video di protesta come questo:
Fra i pro dell’Eramus i giovani hanno elencato: “Superar miedos / Abrirme puertas / Aprender idiomas / Ampliar fronteras / Enriquecer mi formación / Descubrir culturas / Luchar por los sueños”.
Eccoli qui ai piedi della Tour Eiffel:
Non solo fiesta, l’Erasmus non è (solo) questo, e leggendomi ogni lunedì saprete bene quanto io sposi questa opinione.
Qui le parole di Carlitos, uno studente spagnolo in Olanda: “Quería explicarles que en un Erasmus no todo es fiesta, como algunos creen. Es aprender. Es crecer como persona”; nel suo blog leggiamo di rabbia e di sentito apprezzamento per l’esperienza che l’ha messo per la prima volta ai fornelli, che lo ha catapultato nel mondo delle lavatrici, che gli ha fatto capire la differenza fra i prezzi negli scaffali al supermercato, che gli sta insegnando a vivere.
Carlitos dice che gli viene difficile esprimere a parole quanto ogni giorno di Erasmus gli stia dando una lezione di vita (ah, quanto lo capisco) ed esorta il governo a fare appello all’immaginazione per intentare un’idea. Ma già prevede i limiti della cosa.
Gli studenti si interrogano:“¿Y si somos los últimos en disfrutar del Erasmus?”; l’idea li fa tremare, a buon ragione.
E si incazzano, sbraitano, scrivono, urlano, marciano. Perché è giusto urlare vergüenza quando si parla di tagli all’educazione.
È giusto escandalizarse, indignarse.
È legittimo protestar.