Cisco: “Siamo anime di passaggio, rendiamocene conto”. L’intervista all’ex cantante dei Modena City Ramblers
Stefano Bellotti. In arte, Cisco. L’ex leader e voce dei Modena City Ramblers, che dal 2005 ha intrapreso la strada da solista, ha deciso di raccontare alcuni aspetti della vita a Facciunsalto. Non solo della sua. Abbiamo intrapreso una chiacchierata che saltellava sul piano personale e poi si rituffava nel mondo e nelle sue pieghe. Ecco quel che ci siamo detti.
Qual è il futuro della musica? E qual è, se c’è, la funzione degli artisti?
La musica intesa come creare suoni, condivisione, suonare insieme ad altre persone, continuerà sempre, all’infinito. La musica non morirà mai, andrà sempre avanti perché l’uomo da quando nasce, da quando è nato, ancora prima di parlare, comunica con i suoni.
Se la domanda è riferita al mercato musicale in generale… questo non lo so dire. So che l’uomo è nato per comunicare e la musica è un ottimo mezzo di comunicazione.
Non mi ricordo chi diceva che gli artisti riflettano la società con la propria arte. Io credo di no. Credo che l’artista debba essere un martello ed utilizzare questo martello per creare crepe nella società e far riflettere, per colpire. Quindi esistono due tipologie di artisti: quelli che non fanno altro che riflettere ciò che la società disegna e quelli che usano l’arte come un martello. Questi ultimi sono quelli che incidono sulla società e allora parliamo di grandi artisti, di quelli che hanno fatto la storia della musica ma anche del resto dell’arte. Penso a Picasso e alla sua Guernica, che ha spaccato la società, lanciando un messaggio universale. Penso al primo Dylan con le sue canzoni folk. Hanno usato l’arte come un martello, forse in maniera inconsapevole.Sta meglio il pensiero o la politica, in Italia?
Io direi che sono ammalati tutti e due. A me la politica interessa fino ad un certo punto perché non è lei che muove tutto. Essa deve essere qualcosa “al servizio di” e se la società non riesce ad incidere sulla politica con le proprie decisioni è un grave danno per la società stessa, per il Paese stesso.
Il pensiero va oltre. E’ qualcosa che ognuno ha a suo modo, è una visione. L’arte deve essere mossa dal pensiero, non dalla politica. La politica deve essere un mezzo per agevolare gli artisti, o qualsiasi tipo di attività al servizio del cittadino e del Paese.In Italia, poi, parliamo troppo di politica, ma ce ne occupiamo troppo poco. Troviamo difficoltà, da cittadini normali, a trovare la rappresentanza giusta se c’è una classe politica impresentabile.
Quali sono i diamanti e qual è il carbone?
I diamanti sono tanti. Sono quelle persone che in mezzo al carbone della società attuale cercano di farcela con le proprie forze, con la propria etica, la propria morale, rispettando gli altri, rispettando le regole e a fatica, magari lavorando il doppio di quelli che prendono le scorciatoie, quelle persone che alla fine ottengono dei risultati oppure no, facendo comunque questo tipo di percorso. Penso agli imprenditori del Nord-Est, penso agli operai di molte aziende italiane che devono lavorare sottopagati e in condizioni disumane, penso ad una svariata tipologia di persone che per spirito d’animo, per indole, non scende a compromessi, rispetta le regole. Questi sono i veri diamanti. Il carbone è tutto il resto, ciò che purtroppo vediamo spesso. La burocrazia è il più grande carbone che c’è in Italia.
Qual è la colonna sonora della tua vita?
Da bambino ascoltavo la musica che ascoltava mio fratello, che è più vecchio di me. Ascoltavo i cantautori italiani: Guccini, Vecchioni, De Andrè, De Gregori, Dalla, Jannacci. Poi sono passato per vari generi: dal rock all’heavy metal. I Doors, i Led Zeppelin, i Deep Purple. Con questi ho strutturato la mia sensibilità artistica fino ai miei vent’anni. Poi ho conosciuto un gruppo che mi ha cambiato la vita, i Pogues, e da lì ho iniziato ad apprezzare un mondo musicale diverso, dalla musica tradizionale, al rock, al folk… I Pogues hanno avuto la capacità di aprirmi la mente alla diversità. Prima, quando ero diciottenne, diciannovenne, ventenne ero molto più settario. In ogni caso, non rinnego ma rivendico quel patrimonio musicale che mi ha formato prima dei vent’anni.Parliamo di abbandono. Cosa ti è dispiaciuto di più lasciare del periodo dei Modena City Ramblers? E cosa ti dispiacerebbe lasciare in sospeso ora?
Per un primo periodo dopo i Modena, quel che più mi ha fatto male è stata l’assenza di rapporti umani che, con il mio abbandono, si è verificata con i componenti del gruppo, con parte di essi, e con buona parte della gente che ha lavorato, per il gruppo. Mi sono reso conto che quelli che io consideravo amici fraterni o, comunque, amici non lo erano fino in fondo. Forse erano solo rapporti lavorativi. Non ne dò colpa a nessuno, forse era una mia deviazione di pensiero. Questa è la cosa che mi ha rammaricato di più.
Devo dire che con gli ex componenti dei Modena un rapporto si è riallacciato con gli anni. E’ chiaro: non è che ci sentiamo tutti i giorni, tutt’altro, ci sentiremmo due o tre volte all’anno. Ma queste due o tre volte all’anno mi fanno pensare che quelle persone siano state una parte importante della mia vita.
Cosa mi dispiacerebbe di lasciare in sospeso di quel che faccio ora… Adesso non ho intenzione di lasciare in sospeso nulla, nel senso che mi piace pensare che quello che decido di fare lo faccio. Mi piacerebbe continuare a pensare in questa maniera. Ci sono molti percorsi da scoprire, per quanto riguarda la musica. Se dovessi abbandonare questo mestiere, questo lavoro, mi sentirei di lasciare a metà alcuni percorsi intrapresi.Cosa diresti ad un ragazzo triste?
Se per tristezza intendi la depressione… bè, la depressione è una malattia che va seguita. Io sono uno che ha abbastanza alti e bassi umorali, non so se sono mai stato un vero depresso per indole mia. La cosa che mi verrebbe da dire, forse banale, è che bisogna mettersi in gioco, in qualsiasi campo: artistico, lavorativo, personale, di relazioni umane. Perché c’è sempre da guadagnare, c’è sempre da imparare. Anche dalle batoste, che servono perché le sconfitte ti formano di più delle vittorie.Parliamo di posti. Qual è il tuo luogo preferito?
non siamo qui per sempre e l’unica cosa che possiamo fare, in questo nostro peregrinare per il mondo, è raccogliere ed imparare e lasciare a chi verrà.
Ti prego di riportare nella risposta la data di oggi. Perché potrebbe essere che tra un mese la cambio, tra un anno la cambio ancora di più. Oggi ti dico: se potessi chiudere le valigie e partire andrei in 3 posti. Uno è il Sud America, ci tornerei per l’ennesima volta. Ci sono posti, lì, che mi affascinano tantissimo. Poi in Sud Africa. E poi in Australia, un posto dove non son mai stato. Quello che accomuna questi tre luoghi è che sono il Sud del Mondo… forse sono attratto più dall’altro polo.
Ti potei dare anche un altro tipo di risposta: se non fossi sposato, se non avessi tre figli… se fossi un giovane senza troppe radici chiuderei la valigia ed andrei a Berlino a costruirmi una vita. Penso che la Germania sia un posto molto vivo, che possa regalare ancora tante cose. Forse tornerei per l’ennesima volta anche in Irlanda, ma non son così convinto.
Quali sono, ora, le anime di passaggio?
Le anime di passaggio siamo noi. Le anime di passaggio è uno stato di fatto e dobbiamo prenderne conoscenza: non siamo qui per sempre e l’unica cosa che possiamo fare, in questo nostro peregrinare per il mondo, è raccogliere ed imparare e lasciare a chi verrà. Però continuare a viaggiare. Questa cosa continuerà all’infinito, continuerà per i nostri figli, per i nostri nipoti… finché non si romperà magicamente il giocattolo. Quella canzone è la mia filosofia di vita, hai toccato un filo molto importante per me: Anime di passaggio è uno dei brani a cui sono più legato.Ultima domanda, Cisco. Quanti amori ci sono in una vita?
Mi trovi in difficoltà a parlare di questo perché, ovviamente, è infinita questa cosa. Mi rifaccio ad uno dei più grandi scrittori di canzoni dei nostri tempi che è Giovanni Lindo Ferretti. Lui dice in una canzone: canto la tua terra, canto i rapporti umani, canto i viaggi, canto quel che vedo… l’amore non lo canto perché è un canto di per sé. In quella frase lì c’è l’universalità dell’amore. Parlare di amore per me è come svilirne il concetto, vorrei parlarne il meno possibile. Credo di non scrivere canzoni d’amore nella maniera classicamente intesa ma tutte le mie canzoni, in maniera trasversale, sono canzoni d’amore.