Narrami, oh Siwa!
Eccoci qua, si parla di viaggi e l’adrenalina mi sale a mille. E’ la stessa reazione che si scatena ogni volta che tengo un biglietto di sola andata in mano e realizzo che a partire questa volta sarò proprio io. Che poi, se è vero che di ogni viaggio l’andata è scontata, il ritorno lo è molto molto meno. Perché ad alcuni luoghi ci rimani letteralmente impigliato, e anche se ti divincoli tentando di liberarti qualche pezzo irrimediabilmente ce lo lasci. Solitamente di cuore.
In questi anni trascorsi saltando di qua e di là come una cavalletta di pezzi di cuore ne ho lasciati in giro parecchi al punto che credo sia arrivato il momento di fare l’inventario. Iniziamo con un’oasi, un’oasi lontana del deserto in cui ho imparato a tacere e ad ascoltare, a cogliere la valenza magica delle parole messe in fila a formare frasi, e le frasi una storia. Sentite ciò che ho da raccontare, giunge direttamente da Siwa, profuma ancora della sua sabbia e della sua magia…
“La strada si snoda argentea sotto un cielo di fuoco, mentre l’autobus in cui viaggio in cerca di materiali per le mie ricerche procede sobbalzando verso l’oasi di Siwa. Il mio volto riflesso nel finestrino si riempie dei colori del deserto egiziano, mentre la calura crea all’orizzonte forme non ben definite che risultano poi esser miraggi. Quando giungo a destinazione, il sole del tramonto tinge di rosso i palmeti mentre l’agile voce del muezzin riempie l’aria con il sollecito alla preghiera della sera. Pochi istanti e la notte stende silenziosa il suo manto di stelle su cose e persone: è il momento ideale per ascoltare una fiaba.
L’anziana Zeynab mi attende in casa. Nel cortile circondato da un recinto di canne mi accolgono i ragli degli asinelli e i risolini di bimbi dagli occhi di quarzo che fanno capolino dalle gonne delle madri. Vengo condotta in un vano semioscuro, dove Zeynab sta accovacciata su un cuscino un tempo coloratissimo. Il giallo dello scialle che le penzola dal capo contrasta con la pelle bruna del viso raggrinzito. Due occhietti vispi bucano come punte di spillo la semioscurità da sotto le palpebre flosce. Mentre mi siedo a ridosso del muro d’un turchese scalcinato una decina di paia di occhi mi rivolgono sguardi incuriositi. Estraggo il registratore dalla borsa, premo start e il racconto ha inizio.
“Tixarxareen, tibarbareen wa tiqettusheen” vale a dire “c’era una volta”… e vengo catapultata in una mondo in cui capretti, galli, topi e altre bestiole non solo parlano, ma usano tutta la loro astuzia per sfuggire alle fauci di creature voraci, giovani fanciulle conquistano figli di sultano facendo sfoggio di fascino e virtù, misteriosi viandanti hanno il potere di donare fortuna e felicità a chi riservi loro un po’ di accoglienza. L’atmosfera è concitata: Zeynab incede nella narrazione tra gli assensi delle nuore e le esclamazioni divertite dei nipoti che ascoltano con interesse i racconti, molti dei quali per la prima volta.
Tixarxareen, tibarbareen wa tiqettusheen” vale a dire “c’era una volta”…
L’appuntamento è per le dieci di sera in uno dei caffè del mercato, che nelle prime ore della notte vive i suoi attimi di maggior frenesia. Amran arriva in sella alla sua moto modello anteguerra, posteggia di fianco all’ingresso ed entra nel caffè salutando a voce alta i gestori. Il locale ha un terrazzo dal quale si gode una magnifica vista delle rovine della fortezza di Shali: c’è forse luogo più suggestivo per ascoltare una storia? Da un grazioso portacandele in argilla si diffonde una luce morbida che trapassa il rosso cupo del mio tè alla menta e fa rilucere i bottoni del registratore. Amran, seduto a gambe incrociate davanti al tavolo, si aggiusta il gilet ocra, stende le pieghe della candida veste in cotone e si schiarisce la voce: il racconto può cominciare. La bocca del barbuto cantastorie narra le gesta di siwani dalla vita eccezionale, miracolosa.. o semplicemente stramba. Il tono della voce, a volte pacato, altre stridulo dall’entusiasmo, mi cattura, sottraendomi al frastuono che sale dalla strada.
Dal terrazzo della camera contemplo in solitudine le rovine di Shali, che la luce dei lampioni fa somigliare a spettri usciti da qualche angolo remoto della memoria. Il candore lattiginoso della luna scende sui palmeti e crea bistri intervalli di spazio in cui la mia fantasia scorge movimenti furtivi di creature incantate nel brulicare della loro vita notturna. E la notte mi sorprende a respirare la magia di Siwa”.