DiVino e di passione con Bato al Club Decrù
Bella, la serata al Club Decrù sabato sera, su via Urbana, a Roma. Quasi baudelairiana.
Bella anche per chi è di quelli che trovano odioso il film Midnight in Paris di Woody Allen.
A me, quel film di Allen, non è mai piaciuto. Artificialmente sognante, artefatto, carico di citazioni vuote e di trovate all’americana.
Sabato sera era una cosa analogamente magica, ibrida, piena di artisti provenienti da ogni campo espressivo… Ma genuina. Era la serata in cui un qualsiasi avventore scendendo le scale si trovava catapultato in un tempo altro, come in quel film, immerso in plurali forme d’arte: tango, declamazione di versi, degustazione di vino, pennellate artistiche. Fil rouge, appunto, il rosso vermiglio del vino, della passione. Passione nel tango zen della coppia che ha offerto una dimostrazione di ballo, passione nella lettura a due voci dei versi – Baudelaire, Neruda, Mallarmé, la Szymborska fra gli altri–, passione nei nudi femminili esposti per la prima volta da Bato, l’artista del jazz di cui ho già raccontato i particolari dipinti (qui) , da poco tornato a contatto con il pubblico dopo il brutto attacco di un pirata della strada.
A riprova del ritorno in campo in pompa magna di Bato rimane ancora visitabile, fino al 4 dicembre, l’esposizione pittorica dei suoi nudi artistici. Vale la pena andarci, vedere gli schizzi in mostra che ritraggono donne scomposte, disinibite, impudiche nell’offerta del loro corpo al tratto deciso dell’artista. Che, in una breve intervista, racconta di rifarsi a Degas, ma anche ad altri pittori del Cinquecento, quando dipinge con il caffè. Sempre Bato, spiega l’astio verso l’atmosfera rarefatta che si respira negli ambienti dei galleristi, e chi scrive lo capisce bene, capisce l’insofferenza ribelle e libertina che rende Bato e i suoi ritratti di donne molto vicini all’anticonformista Schiele. Bato che, per ironia della sorte, racconta di aver smesso di bere caffè proprio da quando lo usa per dipingere, che in fondo è come spiegare a qualcuno che non ci si mangia i propri acquerelli, che pittura e bevande non possono coincidere. Ci si chiede perché Bato non abbia tentato, in una serata dedicata al vino, di buttare giù uno schizzo con la bevanda etilica invece che usando il caffè. Chiaramente l’artista l’aveva preso in considerazione ma, spiega, il vino evapora facilmente e va via, si deteriora, non lascia quasi traccia. Allora eccolo improvvisare dalla sua postazione d’angolo mentre i versi etilici declamati da Barbara Gentile e Claudio Miani si impossessano della sala, gremita di avventori. Addirittura troppi, seduti uno accanto all’altro come adepti di una strana setta. Tutti con un bicchiere di rosso della Cantina Colle Picchioni in mano, vino sponsor della serata. Finita la dimostrazione e il live painting, la cerchia di gente riemerge al piano di sopra e si sposta al civico accanto: naso all’insù, tutti ammirano le opere di quel giovane artista che anni fa, finito di lavorare in pizzeria, a tarda notte, andava a bere qualcosa nel pub Smokers di San Lorenzo e, bevendo, buttava giù gli schizzi dei suonatori jazz che concludevano le serate suonando informalmente in quel piccolo club. Come capita per tutte le cose più belle, Bato si è trovato per caso reimmerso nel mondo dell’arte che aveva respinto: questa volta non più l’arte rigida, ferrea, convenzionalmente non convenzionale delle gallerie, ma l’arte schietta, di nicchia, l’arte del jazz improvvisato dopo le serate ufficiali, l’arte svincolata. E in queste condizioni Bato ha deciso che sì: valeva la pena ritentare. Il proprietario del pub lo ha apprezzato e, etilico mentore, l’ha guidato e spronato a continuare, gli ha offerto da bere in cambio della sua presenza e del suo lavoro artistico, l’ha invitato a tornare, si è fatto regalare i suoi dipinti, li ha ceduti ai musicisti. Gli schizzi alla caffeina di Bato si sono così ritagliati uno spazio sempre più grande e si sono offerti a un pubblico più vasto, animando vere e proprie serate di live painting in cui l’artista non era più un personaggio casuale ma il vero coprotagonista degli eventi musicali a cui prendeva parte. Questa ormai è quasi storia e Bato si è affermato nell’ambiente.
Eccolo, nella serata, lo sguardo concentrato di sempre. Scorrono le parole, riecheggia la Szymborska giurando che “una rosa bianca, se viene spruzzata di vino, canta”, risuona epico anche un sonetto di Borges in cui implora “Vino, insegnami come vedere la mia storia quasi fosse già fatta cenere di memoria”, parla anche Trilussa e, a chiudere, L’Ode al Vino di Neruda. Bottiglie su bottiglie di rosso stappate e degustate dal pubblico, un vino apprezzatissimo persino dal Gambero Rosso. Molto più genuino del film di un americano che guarda Parigi, molto più sentito e autentico questo evento, come anche la mostra curata da Alessandra Lenzi. Molto più profonda la sensibilità che ha spinto gli artisti presenti ad esprimersi su questa bevanda DiVina, a parlare di passione, di tutte le passioni che animano i corpi irrequieti di chi aspira all’arte.
Sì: è valsa la pena farci un salto e vale la pena farne uno alla mostra di Bato, “Nudi Femminili”, su via Urbana 146, a Roma. C’è tempo fino al 4 dicembre.