Bomboclat
Almeno fino alla metà degli anni ’90, il turismo di massa all inclusive praticamente non esisteva in Giamaica; solo gli Inaccessibili potevano permettersi un pacchetto tuttocompreso, volo, alloggio di lusso, e mangiare e bere da morirci sopra, stile Conte Tacchia; dentro Super Hotels quali lo Swept Away, che, per l’appunto, fa parte della catena dei Super Clubs di John Issa, il Paperon dè Berlusconi di stirpe siriana trapiantato in Giamaica, il quale, oltre a possedere decine di albergoni sparsi lungo l’isola, detiene anche le proprietà del Gleaner, la prima testata nazionale, e di altri colossi a livello alimentare e assicurativo.
Quelle che vanno allo Swept Away, sono coppie “per bene”.
Quelle “per male”, dal canto loro, si rifugiano da sempre all’Hedonism II, comunque parte della famiglia Issa.
Primo hotel nei Caraibi a praticare il naturismo, la libertà sessuale e gli scambi di coppie, oltre a varianti sul tema, tipo matrimoni nudisti, e via di questo passo, sfida le leggi puritane dell’isola, le quali proibiscono la nudità pubblica su spiagge e parchi, ma ovviamente non sono applicabili all’interno dei sancta sanctorum privati dei pezzi grossi.
Ma noi, no, noi no, proprio non potevamo permettercelo, perché allora gli alti costi di manutenzione e la finanza speculativa, non avevano ancora prosciugato i loro introiti, costringendo solo in un secondo tempo gli altezzosi proprietari ad aprire i cancelli a noi cafoni, per non finire sul lastrico.
07 Agosto 1990 – il Giro del Mondo in 80 ore
Il primo giro di ricognizione in Terra di Bob lo programmiamo con la compagnia più cheap in assoluto nel panorama aereo: la gloriosa Aeroflot modello U.R.S.S. Solo 500.000 lirette A/R! Reduce da numerose missioni militari, durante la II Guerra Mondiale, la compagnia di bandiera sovietica si era riciclata come servizio civile subito dopo la guerra; siamo agli sgoccioli dell’Impero Sovietico, ma il nostro Tupolev Tu-124 ci aspetta comunque a Fiumicino, partenza mattutina, sulla carta.
Lui ci aspetta, ma noi non sappiamo ancora COSA ci aspetta:
h. 8.00 – FCO airport : attesa 3 ore – Volo Roma /Shannon 3 ore
Il volo è previsto per le 8.15, ma ci avvertono che ci sarà un ritardo di circa un’ora, che si protrae per oltre tre. Alle 11.30 saliamo la fatidica scaletta, e ci accomodiamo (si fa per dire) sulle micro compagne poltrone: davanti a noi, un gruppo di russi già ubriachi per l’attesa, si diverte a gonfiare i salvagenti sotto il sedile, durante il solito briefing del personale di bordo sulle misure di sicurezza prevolo…la farsa degenera in tragedia e i comrades sono minacciati di espulsione, quando due di loro iniziano a fare pernacchie con la bocca indossando la mascherina di ossigeno; contagiati dai buontemponi, ci scompisciamo dal ridere, fino a che il capo servizio indica la exit way anche a noi; alla fine l’ordine è ristabilito, il tipo gallonato scruta tutti con la faccia schifata di chi ha visto insetti repellenti passeggiare sulle poltrone, e tira impettito la tendina che separa noi dannati dell’economy dai Divi della Prima, soprattutto burocrati di medio livello e imprenditori rampanti, ante-capitalismo stile Yukos, solo in scala minore però, che i pezzi grossi veri già viaggiano a bordo di jets privati. Dopo tre ore atterriamo a Shannon in Irlanda; confinati in uno pseudo gift shop per altre tre. Alla fine si decolla per Mosca: 4 ore e 45 minuti, la durata del volo. Atterriamo all’aeroporto Seremet’evo alle 22, complice il fuso orario, due ore in più dell’Italia.
Totale: circa 11 ore, tra ritardi, scali e volo.
Permanenza a Mosca 21 ore – Hotel Kafka
Abbiamo mangiato un panino alla gomma a Shannon, è stato l’ultimo pasto, niente a bordo, neanche un pacchetto di noccioline. Zero. Niet. Quando arriviamo alla reception del pseudo hotel convenzionato con la compagnia, un palazzone in rovina che sembra uscito dagli incubi di Franz Kafka, con l’insegna illeggibile, le simpatiche impiegate con un ghigno sadico ci avvertono che da mangiare non c’è un bel nulla, la cucina chiude alle 21. Saliamo in camera, una minuscola cella per frati, letto duro come il marmo, un forno crematorio, non avrei mai pensato di soffrire il caldo in Russia, ma in fondo siamo ad Agosto.
La lista delle restrizioni è lunga, nell’ordine:
Abbiamo fame, dateci da mangiare…”NIET!”
Abbiamo sete, dateci da bere…” “NIET!”
Fa un caldo boia, c’è l’aria condizionata?” “NIET!”
Ma fa caldo, posso avere un ventilatore?“ “NIET!”
Il cuscino è piatto come una sogliola…” “NIET!”
l’asciugamano è grande come un fazzoletto…. “NIET”
Presi dalla disperazione, decidiamo di avventurarci nella notte buia e tempestosa per comprare qualcosa da mangiare e una bottiglia d’acqua, ma quando facciamo per uscire, le porte girevoli non girano…spingiamo, fino ad accorgerci che sono le nostre amiche a tenerle bloccate..
“Dopo le 23, per motivi di sicurezza, è severamente proibito uscire agli ospiti della compagnia…”
“Abbiamo fame, sete, bastarde, aprite sta c…zo di porta…”
E’ proprio quello che aspettavano, per vincere la noia, cosa c’è di meglio di far morire ‘sti barboni dell’economy? Se la ridono a crepapelle, ma quando i primi “Vaffan..” cominciano a salire dalle nostre ugole inaridite, la più anziana ci avverte, con cipiglio Ghepeù, che hanno capito tutto, e che se non la finiamo di rompere, chiamano la polizia e la nostra vacanza è bella che andata.
Ci spartiamo come fossimo al fronte, il pacco di crackers dell’unico previdente, attaccandoci al rubinetto nella stanza, l’acqua ha un sapore di ferro arrugginito, se mai vi fosse capitato di succhiarne uno…
La mattina dopo, visto che il volo con destino finale Kingston, capitale della Giamaica, è previsto per le 19, schizziamo fuori dal Gulag, accorgendoci che siamo a due passi dalla Piazza Rossa, per cui almeno ci possiamo fare un giro turistico extra, compreso nella tariffa.
Dopo aver divorato una mezza dozzina di hot dog a cranio, ci sparpagliamo sulla piazza immensa, letale per chi dovesse soffrire di agorafobia…sempre preferibile però alla claustrofobia della cella all’hotel Kafka.
La Chiesa di San Basilio è affascinante, siamo nel primo anno dell’insediamento del Presidente Mikhail Gorbachev alla guida del Paese, l’Impero ha già perso pezzi importanti, il Muro è caduto l’anno prima, e la gente vive la Grande Illusione della Perestroika, che finisce nel 1991 con il colpo di Stato che fa ruzzolare Gorby, sostituito alla Presidenza da Boris Eltsin fino al 1999. Preludi della Restaurazione Putiniana, ancora in corso. Ma questa è un’altra storia.
I Magazzini del Popolo GUM, che fronteggiano la Piazza, sono imponenti, due ali di marmo lunghe come la fame, infatti gli scaffali sono vuoti; non troviamo neanche una trattoria, le strade laterali sono piene di gente, parecchi già ubriachi a mezzogiorno, sarà l’euforia del New Deal. Quelle che non mancano mai in Russia, sono le Orsoline(*), le vediamo sorriderci ovunque, nei magazzini, nei bar, per le strade. In Russia, così come in Ucraina, fanno parte dell’arredamento, anche se oggi la Montagna si muove e va a trovare Maometto sempre più spesso fuori dai confini nazionali, passando soprattutto dagli accessi virtuali del pc casalingo.
Rientriamo nell’hotel verso le 16; la sorpresa finale è che manca l’acqua in camera, per cui l’Odissea continua senza poterci lavare, dopo una giornata a sudare nella Piazza Rossa a 38°.
Lasciamo la struttura verso l’imbrunire, con un presagio che ci porta a dirigere la mano verso i favoriti sotto cintura; uno stormo di corvi frulla nel cielo rannuvolato, in contemporanea a la sfilata di un folto gruppo di rabbini ortodossi, con i loro abiti neri e i cappelli dello stesso colore; nero per aria, nero in terra, e dobbiamo fare ancora tre voli; Gratta Gratta, Gratta&Vinci, fino a consumare il cavallo dei calzoni!
(*) Orsoline = soprannome affibbiato alle prostitute; aldilà dell’aspetto erotico della professione, risultano sempre inquadrate in una routine ferrea, paragonabile a quella delle suore di clausura… piacere da vendere, ligie al dovere della loro Missione.
Mosca – Managua 16 ore; 4 ore di sosta. Managua – L’Havana, tre ore di volo; e tre di sosta nella capitale cubana. L’Havana – Kingston: due ore di volo. Siamo in Giamaica, l’incubo è finito…sicuri?
Allora, facciamo un po’ di conti:
3 ore di attesa a FCO +
3 ore di volo per Shannon +
3 ore di scalo in Irlanda +
5 ore Shannon – Mosca +
21 ore sosta a Mosca +
16 ore volo Mosca-Managua +
4 ore scalo in Nicaragua +
3 ore volo Managua-Havana +
3 ore di scalo a Cuba +
2 ore di volo Havana-Kingston =
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63 ore per arrivare in Giamaica!!
Potremmo scrivere un libro sulle orme del romanzo di Julies Verne, sintetizzando a livello temporale gli 80 giorni impiegati dal protagonista del libro, nelle quasi 80 ore che ci abbiamo messo noi per girare il mondo…se no, che Progresso sarebbe?
Quando sbuchiamo dall’uscita dell’aeroporto Norman Manley di Kingston, noto che i “mad man” e i barboni che ciondolano nei dintorni dell’hub ci guardano disgustati…puzziamo talmente tanto, che riusciamo a far schifo pure a loro!
Però non tutto il male vien per nuocere; partiamo in direzione Sav-la Mar, (ultimo scalo, prima di arrivare a Negril) a bordo di un minibus Toyota da 24 posti.
Per la prima volta nella storia giamaicana, il trasporto dei passeggeri su gomma registra degli spazi vuoti tra un gruppo e il resto dei viaggiatori…i pulmini giamaicani non hanno orari da rispettare, sullo stile di quelli africani, partono solo quando sono pieni zeppi, con la gente che deve sporgersi dai finestrini, per trovare un po’ di spazio… mezzi con limiti fissati a 24 persone, che ne caricano da 40 a 50. Stavolta i finestrini rimangono aperti solo per non morire asfissiati, malgrado la distanza concessa ai fini della sopravvivenza olfattiva, consentendo a noi di viaggiare belli larghi, un lusso inusuale da queste parti… a scapito del guadagno del conducente.
Negril, bomboclat!
(1 – continua)