Se il pazzo ti dice “pazzo”? – Una casa di pazzi al teatro de’ Servi
“La faceva facile Basaglia!”, inveisce Attanasio fra i mobili antichi della sua casa di nobiltà decaduta. Una casa di sfarzo sterile e di oggetti divenuti obsoleti col tempo, una casa di genitori deceduti ma ancora troppo presenti nella quotidianità dei fratelli orfani. Attanasio e Remigio, quest’ultimo disabile mentale di cui Attanasio (Enzo Casertano) ha promesso di occuparsi, quando il padre era in punto di morte.
La scena si apre con la radio che racconta dell’ennesimo suicidio causa crisi. È l’Italia degli ultimi anni.
Guardando la tragicommedia del poliedrico artista Roberto d’Alessandro, che ha scritto il testo ed interpretato magistralmente il ruolo centrale di Remigio, viene da interpellare Basaglia, portarlo a processo. Da un lato, i favorevoli: quelli che la pazzia non è di uno ma di tutti, quelli che “la follia è condizione umana”, come diceva il noto psichiatra. Dall’altro, quelli che la pazzia di altri la devono vivere giorno per giorno sulla loro pelle e per i quali una visione capovolta delle cose si fa norma. Quelli che non vogliono arrendersi all’assurdo e che lottano per scapparne, come scappa la moglie di Attanasio, che non vuole lasciare Remigio solo e che cerca di conciliare le aspirazioni ad una serena vita di coppia con Maria Alberta (Maria Cristina Fioretti) con la protezione data al folle Remigio, vivendo continuamente nella scissione fra questi due estremi.
Solo quattro i personaggi in scena: Remigio, malato mentale appassionato film porno di seni allegorizzati in provole affumicate per cui nutre un’insana ossessione, il fratello Attanasio, ometto tradizionalista –per dei versi silenziosamente maschilista – tendenzialmente ottimista e mite che però, personaggio fulcro della commedia, si evolve drasticamente nel corso dell’opera; la moglie Maria Alberta, snobbina affezionata alla sua pianta e ai suoi raccontini salvati sul portatile, munita di amante segreto e di aspirazioni ad una tranquillità che sembra irraggiungibile con Remigio in casa, e Gina, la neoinquilina, vedova meridionale che si innamora di Attanasio e diventa presenza stabile ed intrusiva a casa sua.
Qui il video di un estratto dello spettacolo “Una Casa di Pazzi”
Quattro personaggi ed una presenza che aleggia costante: la pazzia. Che infesta, che passa di persona in persona. Pazzo è Remigio ma, quando Remigio dà del pazzo al fratello, chi è pazzo? La follia si relativizza, chi cerca di addomesticare il folle impazzisce, i desideri istintuali e senza filtro di Remigio scavalcano ogni forma di civilizzazione ed è un continuo rimando erotico a prendere piede nella scena, rimando a cui sono costretti a sottostare coloro che invece hanno imparato ad addomesticare l’istinto. La Follia che fa emulare parodisticamente a Remigio il rito della sigaretta dopo il caffè, il mito del giovane poeta maledetto, echi che percepisce dal mondo ma di cui non coglie il perché, forse soltanto perché sono un’altra forma di maniacalità, diversa dalla sua, collettiva e comunemente accettata.
“Una casa di pazzi” è la storia della follia di uno che dilaga nello spazio di molti, follia che provoca le risa del pubblico ma che, più avanza il pezzo e più fa riflettere ed amareggiare. Assurda è la follia che percepisce il folle Remigio quando urla, guardandosi attorno: “Questa è pazzia!”.
Nella forte comicità del pezzo, fanno riflettere tanti simboli scenici: il san Sebastiano martire appeso in salone, presente lungo tutto il corso dell’opera, unica prova del valore che un tempo la casata deve aver avuto. Prima della crisi, prima di Equitalia, prima del dramma personale e sociale di questa famiglia. E poi la Sound of Silence dei Simon & Garfunkel, cantata dai fratelli rimasti soli quando Maria Alberta decide di andarsene: soli nella follia, solo Remigio che, come poi dirà la stessa Maria Alberta, “non si accorge dell’incubo ripetitivo ed ossessivo che è la vita”, e solo Attanasio, che ha perso l’amore per avere accanto un fratello che non capisce a fondo la sua disperazione, la scissione interiore. Parallelamente a tutto ciò, il pubblico ride. Ride di Remigio che minaccia di farsi la cacca addosso se non si sottostà ai suoi desideri, ride della ripetizione estenuante di riti assurdi, recitazione di poesie, piccoli meccanismi e giochini folli che sono norma in casa di Attanasio. Se a tratti, soprattutto nella prima parte, la tematica della follia sembra presa forse alla leggera per suscitare l’effetto comico, si passa poco dopo al pirandelliano umorismo, perché Remigio non è il fenomeno da baraccone che sembra essere all’inizio, ma il portatore di semi di quella follia follia che risucchia il senso delle cose, semi che degenerano e celano fini drammatiche.
Importante la dipartita di Maria Alberta, che se ne va perché si sente portata a scegliere fra la pazzia “di questa casa, di Remigio” ed un’altra pazzia: la sua. Perché, se è vero quello che dice Basaglia, che la pazzia ci accomuna tutti, è vero anche che è legittimo scegliere di non lasciarsi sopraffare dalla pazzia altrui, ma farsi guidare dalla propria, anche se questo in fondo significa homo homini lupus, significa affermare la propria pazzia facendone oggetto chi si ha attorno, fino a che questa follia, nei casi più drastici, regna sovrana e spinge ad atti drammatici.
Interessante l’ambientazione nobiliare della tragicommedia: i panni sporchi lavati in casa, la bella apparenza esteriore ed i drammi interiori delle migliori casate.
Quella di d’Alessandro è per dei versi commedia à l’ancienne, che ricorda Molière per la divisione fissa dei ruoli – Gina, la paesana grossolana, personaggio comico, il pazzo Remigio – ma che lo tracende e supera quando lascia capire che pazzi lo sono tutti, che lieti fini con un deus ex machina non ne esistono.
Si lascia il teatro de’ Servi chiedendosi: è facendo fuori i pazzi che si evita davvero la follia? Se il pazzo incrimina il mondo di un’altra pazzia, quale è la norma da seguire?
Siamo tutti forse un po’ comicamente soli, martiri di altre follie e delle nostre, persi. Ma, con d’Alessandro, ci si può ridere su.
“Una Casa di pazzi” è al Teatro de’ Servi fino al 3 novembre 2013, alle 21.00 dal martedì al venerdì, il sabato alle 21.00 e alle 17.30 e la domenica soltanto in pomeridiana alle 17.30.