Miguel Bonnefoy e Octavio. Un’intervista dal FFF2015
Caffè Pedrocchi, 10 novembre 2015, h.17.30.
Anche quest’anno non mi sono fatta sfuggire il Festival de la Fiction Française. Appuntamento annuale che richiama sempre i miei entusiasmi.
Ho incontrato ed intervistato Miguel Bonnefoy, giovane autore di padre cileno e madre venezuelana ma nato a Parigi. Personaggio intrigante già soltanto per questa mescolanza, ha scritto un libro dal titolo altrettanto intrigante Il meraviglioso viaggio di Octavio (66th&2nd).
Romanzo che parla della vita di un uomo, di un paese, di una nazione, della natura e dei suoi linguaggi. Lascio che a raccontarlo siano le parole dell’autore.
LK. Buonasera e grazie anzitutto della disponibilità. Nel romanzo Il meraviglioso viaggio di Octavio parli di un periodo in cui, invece di parlare di conquista dell’America, si parlava di scoperta, sottintendendo una visione eurocentrica. In altre pagine c’è la critica della povertà in Venezuela. Volevo sapere se queste critiche le fai come sudamericano quindi come “vittima” o come occidentale che protegge un popolo che i suoi stessi antenati hanno a lungo oppresso.
MB. Certamente la mia doppia cultura mi fa percepire le cose in maniera più complessa. Anzitutto io non sono uno storico né un economista, lascio a loro gli studi analitici, ma è importante vedere che oggi il Venezuela, poco a poco, tenta di tornare alla sua storia, ai suoi miti, alle sue origini. Alla base c’è un lavoro linguistico, ad esempio il 12 ottobre è stato a lungo definito giorno dell’incontro fra due mondi, quello in cui gli spagnoli incontravano gli americani, ma oggi lo definiamo il giorno della resistenza indigena. Ogni rivoluzione inizia dalla lingua: la prima cosa che si tende a cambiare sono i nomi delle piazze, delle strade. Io non sono antropologo ma guardo questo cambiamento, guardo quello che è successo ieri per aprire la porta al domani.
LK. Sempre riguardo il linguaggio c’è una lunga riflessione a riguardo, nel corso di tutto il romanzo. Il passaggio di Octavio dall’analfabetismo alla padronanza del linguaggio. Il passaggio da un linguaggio a molteplici linguaggi. Il linguaggio dell’amore, che è diverso dall’amore stesso perché Octavio ad esempio dà un bacio pieno di passione nonostante ignori cosa sia l’amore e come si scriva di amore, ma dopo afferma che aver imparato a scrivere gli è servito a lasciare una traccia della passione che ha dentro. Poi c’è il linguaggio degli oggetti, della casa di Octavio, della Natura con il suo impetuoso fiume che urla. C’è il linguaggio di Octavio stesso.
Che importanza dai al linguaggio? Peraltro ammetti di ispirarti a G.G.Marquez: non si può non citare il momento in cui gli abitanti danno nome agli oggetti che non lo hanno, e questo è forse come un passaggio dal puro, dall’incontaminato, all’artificio. Queste sono le mie riflessioni… a te la parola.
MB. Trovo che hai analizzato molto bene questo discorso sul linguaggio. Octavio è un analfabeta, illetterato, non sa usare la parola orale né scritta ma rendersi conto che gli oggetti attorno a lui parlano, che ogni cosa ha un suo dialetto, ci fa capire che forse lui è l’uomo della Quarta Repubblica, e il passaggio ad essere un uomo più conquistatore passa attraverso il linguaggio, l’amore stesso, ma anche le sue azioni sono un passaggio, quando passa il fiume è un passaggio da una parte all’altra. Anche la letteratura americana ha tentato di resistere e di dare voce al suo passato. Dire ciò che siamo di fronte alla parola degli altri. Ricordiamo poi che la letteratura americana è nata con la lingua dei dominatori: la lingua è stata trapiantata, l’America non ha un passato in spagnolo.
LK. Come la francofonia.
MB. Sì, come Senghor, Césaire. Hanno tentato di ramificare una lingua per produrre nuovi frutti. E spero che poco a poco questa lingua possa essere arricchita di nuovi sentimenti.
LK. L’analfabetismo permette di sviluppare una maggiore sensibilità? Octavio fa caso a più particolari e forse nel suo analfabetismo si sviluppa la sua libertà. Nel romanzo dici che Octavio ha una quantità di libertà talmente grande che non si può trasmettere alle generazioni successive e che questa qualità appartiene soltanto a mostri o geni. Parleremo anche di questo, ma intanto: l’analfabetismo è uno spazio di libertà?
MB. No, è una ferita, un dolore. Non può essere uno spazio di libertà ma obbliga la persona ad alfabetizzarsi, a usare la scrittura per diventare padroni della propria vita. È fondamentale. Il Venezuela ha vissuto la piaga dell’analfabetismo contro la quale si è lottato a lungo ma il problema è che si è lottato sempre con la lingua dei conquistatori ovvero lo spagnolo, nessuno ha pensato che si potesse alfabetizzare in lingua indigena. L’alfabetizzazione UNESCO si fa con la lingua del potere, ma in fondo è così: è la lingua che si ha a disposizione.
LK. Eppure l’immagine dell’analfabetismo di Octavio è sì immagine di dolore, pensiamo al gesto quasi rituale con cui si ferisce la mano per giustificare la sua impossibilità a scrivere e nascondere l’analfabetismo, ma è anche uno spazio di purezza quando invece la parola è usata per giustificare e legittimare il male, le ingiustizie, il furto. La parola è inganno, anche nel romanzo. In assemblea, una votazione politica sancisce il diritto a commettere un furto solo perché la maggioranza si è espressa in favore, ad esempio. Tutto ciò è in contrasto con l’ingenuità pulita di Octavio, che non sa maneggiare queste armi linguistiche e retoriche.
MB. Certo, Octavio è l’anonimo, l’ignorante, il semplice. Si contrappone al personaggio di Venezuela, attrice che adora chiacchierare, a Guerra, ladro più simile però all’artista, e a tutti gli altri personaggi. Octavio però si avvicina lentamente a loro, in modo particolare, come vedremo: con la metamorfosi.
LK. Octavio è il protagonista del libro ma anche una volta conclusa la lettura ci si chiede: chi è Octavio? Martire? Santo? Si parla di purezza, di devozione. Però è anche mostro, gigante, eroe mitico e al contempo miserabile.
MB. Octavio anzitutto è pretesto narrativo per mostrare la storia del Venezuela, la sua storia e i suoi miti. Octavio è parabola di San Cristoforo, la leggenda. Porta sulle sue spalle il peso per portarlo verso una nuova coscienza. Lascio ai lettori la cura di capire dove va, di capire il suo carattere. I lettori, come te, parlano del libro meglio di me stesso. È perché se ne appropriano ognuno a modo suo.
LK. Nel tuo romanzo la descrizione del Venezuela è precisa e dettagliata. Hai fatto ricerche o hai soltanto parlato della tua esperienza?
MB. Ho letto tantissimo sul Venezuela, sull’analfabetismo, sulla frutta e i prodotti venezuelani. Credo sia una forma di sincerità verso il lettore, mi sembra etico e morale verso il lettore. Come diceva Flaubert ho voluto radere al suolo una foresta per avere una scatoletta di fiammiferi ma spero che così poco a poco sarà possibile, con un po’ di fortuna, capire meglio come stanno le cose.
LK. Grazie, penso sia tutto.
MB. Grazie a te, grazie.
Spengo il registratore, spiego a Bonnefoy che vorrei sottoporgli un articolo che riguarda la ricezione della letteratura ispano-americana. Mi interessa il suo parere di francese di nascita ma sudamericano di origini. Mi interessa forse anche provocarlo attraverso la lettura di questo articolo critico ed intelligente che ho potuto leggere su suggerimento di mia sorella. Mi interessa porlo di fronte ad un confronto che ha coinvolto anche me. Prendiamo accordi, gli invierò tutto al più presto, non mancherà di rispondermi.
Intanto io rifletto su quanto questo ragazzotto abbia le idee ben chiare. Io ho proposto una lettura letteraria dell’opera, ma continuamente lui mi ha riportato sul piano politico-sociale. Ed io glielo ho lasciato fare, ho lasciato che emergesse ciò che il ragazzo riteneva urgente comunicarmi. Si è preso a cuore questa rivoluzione, questo fervore che il grembo materno ha lasciato crescere insieme al suo corpo bambino. E ha fatto di Octavio un personaggio che, benché richiami la poetica di Marquez e benché viva una vita “meravigliosa” che suona un po’ alla Amélie Poulain, ha un’identità propria che è quella del Venezuela intero e che capiamo soltanto alla fine, in quella metamorfosi che richiama un panismo osmotico, animali piante e minerali. Il linguaggio non è più ad appannaggio unicamente umano: tutto parla, tutto sussurra parole che sfuggono a chi è concentrato soltanto sul verbo umano e sui suoi
inganni.