Soffitta sul mare – prima parte
Mi hanno affidato una russa. Cercavano una stanza tranquilla dove alloggiarla, e così Mario del Circolino dei Poeti ha chiesto a me.
–E’ una poetessa che prende parte ad uno scambio culturale. Non parla una parola della nostra lingua. Puoi ospitarla?
Volevo dire subito di no. Non è il momento guarda Mario, ho altro per la testa…
Ho aperto la bocca per dirlo ed è uscito un sibilo involontario che sembrava davvero un sì.
–Grazie, ha detto Mario, sapevo di poter contare su di te: quando si tratta di cultura, sei sempre disponibile.
Mi sono preso alla sprovvista da solo. Non ho detto altro.
Tre giorni dopo mi hanno telefonato dal circolino: E’ arrivata la russa, la portiamo da te tra circa un’ora.
Sono salito in soffitta, ho tolto un po’ di carte dalla scrivania, ho buttato un piumino sul futon. Ho pensato che a una russa servisse la trapunta, anche se qui al sud si affaccia la primavera e sono venti gradi fuori. Mi sono sporto dalla finestra del tetto, non lo facevo da tempo immemore, da quando conosco lei. Venivamo qua a fare l’amore, ci interessava solo il materasso, e il nostro ardore. Mi ha tolto ogni altro interesse, persino l’orizzonte, il blu del mare. Se li guardo adesso, sono lei.
Io ho solo lei davanti, ogni altra è incomprensibile, delebile.
Sono giorni che cerco di chiamarla e non risponde. Io guardo il telefono, come se fosse di lui la colpa, riformulo il numero, niente.
Arriva una telefonata di lavoro, mi danno un incarico.
–Non so se ce la faccio, sono molto preso.
Non ho detto una bugia, sono preso di lei, non posso fare niente sin che non mi risponderà di nuovo al telefono o la incontrerò mentre scende dalla redazione, e potrò vederla.
L’ultima volta che l’ho vista era alla riunione dell’Associazione, l’avevamo fatta in un locale e alla fine un collega si è messo al piano per spicciolare qualche nota di Jazz. Noi tutti lì un po’ bevuti, dopo esserci dati scadenze inutili e aver sparlato dei colleghi della provincia limitrofa, noi, che l’unica cosa oramai che ci interessa del nostro lavoro, è lamentarci di farlo. Neanche andassimo a spaccar pietre in miniera.
–Tu mi hai rubato la notizia…
-Ma che dici era una cagata mi hanno obbligato a scriverne…
-Non sei mai obiettivo…
-Tu non sei mai tempestivo, arrivi tardi, e mandano me.
-Chissenefotte di questa minchia di notizie, o non c’è niente di cui parlare, o c’è ma è vietato parlarne…
Lei ad un certo punto se n’è andata, è venuto il marito a prenderla, io me ne sono accorto ma ero lì inchiodato, volevo andarle a dire la buonanotte e intanto il collega mi vomitava addosso le sue importantissime idee sulla professione più ipocrita che c’è.
–Tanto prima o poi me ne vado da qua, ho la valigia già fatta…
-E allora vai ma chi ti trattiene…
Chi mi trattiene, lei! Ma non potevo dirlo. Ho alzato il braccio per mandarlo a quel paese il collega, e me ne sono uscito. Mi hanno affidato questa russa, non so come parlarci, mi fa pena, non possiamo certo farci compagnia. La mattina trovo i resti della sua colazione, e una tazza per me sul tavolo. So che è sveglia ma mi muovo piano per dare l’impressione di non volerla disturbare. Non faccio mai colazione a casa, ma non posso dirglielo, si offenderebbe. Allora butto un po’ di latte nella tazza e ci spengo dentro la sigaretta. Appoggio la tazza sul bordo dell’acquaio, esco.
Forse una sera dovrei per gentilezza portarmela dietro, ma ha quello sguardo senza pretese, non sembra chiedere niente. Come si fa, con uno come me che pensa tutto il giorno solo a incontrare un’altra donna e convincerla a restare qualche minuto da soli, dirle del mio desiderio di stringerla, con forza, magari per poco.
Dovrei prodigarmi con una poetessa muta, una che non rimane impressa, che sta qui nella mia soffitta, sale le scale strascicando i passi e si mette a scrivere su un taccuino dalla copertina blu chiaro. Di quelli che mia nonna ci appuntava la spesa. Non posso immaginarmi neppure che apra la finestra e guardi fuori il sole sull’acqua e la notte sulle case, tutte cose che non puoi descrivere in russo, a me pare.
Vorrei dirle: rendimi la mia finestra, ho bisogno di gridare fuori dai vetri, contro la risacca, devo ridere di me stesso col vento, lui mi conosce, sa che sono un idiota, se mi umilio per amore non mi giudica.
-Sai scrivere poesie passionali tu? Le chiedo.
Lei prende il suo vocabolarietto. ripete: poivssionaoili…? Guarda dentro.
Poi mi prende per mano, mi porta alla scrivania, estrae dal cassetto un antidiluviano walkman, stacca le cuffiette e fa girare un nastro…. mi mette l’altoparlante all’orecchio, pronuncia una serie di monosillabi e dice: slushat’ Glazunov! mope…
Ascolto quella musica, mi sorprende, è così potente, calda.
– passionale sì! le rispondo. Hai capito. Brava la mia russa…
Chissà perché la vita ti ha negato un colore addosso, qualcosa che rimanga in mente quando uno ti pensa.
–Vuoi uscire una sera, ti piace il cous-cous?
Si immerge di nuovo nel dizionario, lo sfoglia velocissima avanti, indietro e poi avanti… si ferma.
–Da! da! sì… mi dice, sorridendo.
Ha acconsentito! E adesso devo portarcela davvero.
Ride, la russa ride, ha capito ociciornia.
–Nero! il cavvè, nero come uocchi…
–Non bevo il tè io, vuoi provarlo il caffè della moka? E’ troppo scuro per te, è troppo ociciornia?
Ride, la russa ride, ha capito ociciornia.
–Nero! il cavvè, nero come uocchi…
Parla! Oh cazzo ha imparato qualche parola.
–Dai andiamo a dormire, ma ce l’hai tu un nome… come ti chiami Olga?
Mi guarda, sorride ancora: da! da! Olga!
Si chiama proprio Olga! Credo che mi prenda in giro, l’avrà detto per farmi contento.
–Andiamo a dormire, dai Olga, sapessi come mi sento io. Con oggi sono ventidue giorni che non la vedo, ventidue! Ma ti rendi conto tu Olga?
Sfoglia il vocabolario, su e giù.
–Qvuesto non capuire, qvuesto divvicuile, sorry.
–Tu vai in soffitta Olga, e io mi butto sul letto con la tv accesa, magari mi addormento subito, sai? Altrimenti esco di nuovo lungo la marina, e mi fumo una stecca davanti alla scia della luna.
Appena il pasticcere sforna i primi cornetti ne vado a prendere, e ne porto uno anche a te ok, russa?
Così, come se avesse capito tutto, sale la sua scaletta, e mi fa un saluto con la testa.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=q3Rm68rKf1w]