Acqua e olio (terza parte)
Questo è un articolo a puntate, qui trovi la prima http://wp.me/p3X9A9-5UU
La vanità è sempre stata la tua forza. Una pietra angolare della tua vita, mai fine a se stessa, sempre adeguata, sempre consona. Una vanità di rossetti e libri. Divoravi entrambi. Un giorno non sei stata capace né di stendere il rossetto né di reggere quel sottile libro di Baricco. Era tanto che desideravi leggerlo, ma le braccia non ti aiutavano. Ridevi per il tuo attacco precoce di vecchiaia, il medico ti aveva detto che si trattava di una bella rogna di cervicale. Io tremavo all’idea, ma un consulto, a questo punto, era necessario.
Infermiera dov’è un bagno, mi dica subito, dov’è? Acqua, acqua, acqua, avevo bisogno di acqua. A litri, a secchiate, a vagoni, sulla faccia, sui capelli. Mi strappai quasi la maglietta. Acqua sul corpo. Immaginavo che fossero come un’edera sotto pelle, una pianta infestante che ti stritolava sempre di più fino a spezzarti respiro e sorriso.
Quel bagno del piano terra, che avrei presto imparato a conoscere bene, era ormai allagato. L’acqua aveva superato la sottile porta in laminato. Qualcuno bussò ma il mio pianto a dirotto fu più esplicativo di un discorso intero. Mi lasciarono nel mio rifugio con le scarpe inzuppate, immobile, terrorizzato, incredulo.
Smisi di piangere, di botto, avrei avuto tempo per farlo. Uscii in cerca di un’aiuola per asciugare le suole. Tutto in velocità. Presto, dovevo fare presto, farti uscire con una scusa ed affidarti a mio padre che ci aveva accompagnato. Il medico, dovevo parlare con lui. L’acqua non aveva lavato via nulla. Non mi restava che passare attraverso questa cosa. Tuffarmici dentro. Nuotare come il migliore dei campioni, contro corrente. Fino all’ultima cellula, con tutto me stesso. Amarti sarebbe stato anche questo, cercare di capire se potevo salvarti oppure semplicemente accompagnarti. Almeno questo, accompagnarti. Sì amore mio, accompagnarti, questo mi restava.
Me lo disse il medico senza girarci troppo intorno. Tre mesi ancora prima di diventare acqua e olio. Con un intervento forse avremmo allungato i tempi, ma poco, davvero ininfluente diceva il signore in camice bianco. Mi aggrappai a quell’idea ed ebbi ragione. Prima che il nostro amore diventasse liquido, trascorsero due anni.
Il cancro, avevi il cancro, cellule impazzite, svalvolate, felicissime di entrare in ogni spazio del tuo corpo. Metastasi, ne eri piena. Immaginavo che fossero come un’edera sotto pelle, una pianta infestante che ti stritolava sempre di più fino a spezzarti respiro e sorriso.
Negli anni insieme mi insegnasti molte cose, prima di tutto la determinazione. Fu una risorsa utile quando non mi arresi di fronte al fatto che ti aprissero dallo sterno fino al ventre. Il chirurgo voleva spaccare in due il tuo bellissimo ventre. Cosa ne sapeva che quella cicatrice ti avrebbe uccisa più del male? Mi piantai davanti a lui come un palo. Volevo la dimostrazione della sua fama. Doveva essere all’altezza del suo genio di cui tutti parlavano.
Doveva aprirti dalla schiena. Quella cicatrice, amore mio, non l’hai vista mai. In pochi mesi lasciasti la sedia a rotelle e una sera salisti di nuovo sui quei tacchi che erano diventati più alti di un muro di cinta. Avevamo stabilito che la mamma sarebbe andata a fare l’aiutante di Gesù perché la riteneva davvero brava a fare le cose. Lui ogni tanto chiamava qualcuno con sé quando il suo lavoro aumentava.
Quella sera sei stata di nuovo una donna qualunque, una madre come le altre, condizioni che ti facevano sentire un’eletta. Fu l’ultima sera che indossasti scarpe alte. Virasti verso altri interessi, soprattutto eri concentrata a farmi da insegnante. Ridevi ancora facendomi credere che le mie bugie fossero per te la verità. Ancora una volta tu che soccorrevi me. Tante cose da imparare, poco tempo per metabolizzarle.
La piccola sentiva il cambiamento, ed aveva bisogno di spiegazioni, la parte peggiore del percorso. Come si spiega ad una bimba che avrà un’infanzia senza madre, un’adolescenza senza confidenze al femminile, una giovinezza senza complicità tra donne. I bambini sorprendono tanto e quella piccola donna mi lasciava, e tutt’ora succede, senza parole.
Avevamo stabilito che la mamma sarebbe andata a fare l’aiutante di Gesù perché la riteneva davvero brava a fare le cose. Lui ogni tanto chiamava qualcuno con sé quando il suo lavoro aumentava. Nel frattempo l’avrebbe lasciata con noi, ma solo finché non ne avesse davvero avuto necessità. Amavi sempre essere elegante, a posto, in ordine. Soprattutto quando uscivi, e mi dicesti con naturalezza che non ti sarebbe piaciuto andare via per fare quel viaggio che qualcuno stava decidendo al tuo posto in condizioni pietose.
Mi insegnasti a truccarti, a sistemare la parrucca talmente bene che sembrava fosse i tuoi capelli. Dovevo farlo io, le tue mani tremavano, erano senza forza.
Una sera di primavera, quando il tepore della mezza stagione entrava dalla porta finestra semi aperta, iniziasti a non avere l’energia neppure per rimanere distesa a letto. Ti faceva male respirare, solo guardarti intorno ti provocava dolore, volevi dormire, dimenticare, ti stavi arrendendo alla conclusione del sogno.
Quella sera il tempo fini’. Guardai nel cassetto che mi avevi detto di aprire per l’occasione. Trovai un vestito, del tuo colore preferito, verde smeraldo, una piccola trousse, le scarpe. Ti cambiai d’abito, ridiedi colore a palpebre e bocca e ti sistemai i capelli. Eri bella anche prima, ma così somigliavi di più all’idea che avevi di te. Nostra figlia era di sopra.
Ti lasciai riposare. Andai a chiamarla. Gesù ha chiamato la mamma, scendi a salutarla. Ci adagiammo delicatamente sul letto e dormimmo insieme per l’ultima notte. Noi tre nel lettone. Ed ora, amore mio, siamo solo acqua e olio.
FINE