L’anima vittimistica della carta igienica
Anima. Si chiama così il cilindro in cartone attorno al quale è avvolta la carta igienica. E non ditemi che lo sapevate da sempre. Io, per scoprirlo, sono appena stata su Wikipedia. Ho pure annaspato per far capire al saccentissimo Google che cosa stessi cercando. Rotolino, porta carta igienica, cartoncino… Non capiva. Così nel frattempo ho appreso un sacco di cose interessanti: per esempio che esistono feroci dibattiti aperti sull’asse di orientamento del rotolo. Riporto fedelmente da Wikipedia:
Considerando un portarotolo il cui asse orizzontale sia parallelo al muro, la carta può pendere sopra e davanti al rotolo stesso, con un approccio over, oppure sotto e dietro a esso, con un approccio under. La scelta, quando non è casuale, risponde in massima parte a esigenze dettate dalle abitudini.
(e comunque ne parla pure Nonciclopedia)
E dalle ossessioni, aggiungerei. Non so voi, ma io mi urto nel profondo quando il mio rotolo non ha un approccio over. Tra parentesi vi dico che mi sto trattenendo per contenere l’irrefrenabile impulso a ripetere questo termine. Approccio over (Ecco, l’ho fatto). Avete presente la soddisfazione di un malato quando trova un nome al suo morbo?
Eppure dovevo immaginarlo che c’entrava l’anima. Con la carta igienica, intendo. E specialmente con la fine della carta igienica che, detto tra noi, è sul podio delle cose peggiori nel campionato degli avvenimenti irrisori che ti rovinano la vita scatenando quella crisi di nervi latente.
Questa cosa della carta igienica che finisce mentre sono seduta sulla tazza del wc con gli slip abbassati – perdonate l’immagine triviale – tira fuori il peggio di me. Sì, il peggio più peggio della me che vede il rotolo in approccio under (e qui noterei lo sforzo nel non usare il suo contrario al negativo).
Insomma, inizio a borbottare, non come una pentola di fagioli, che sono pure buoni, ma proprio come una zanzara che ronza nella tua stanza con la finestra chiusa e appena accendi la luce per cercare di acchiapparla non la vedi. Sparita. Ma quando ritorna il buio e tu preghi solo di addormentarti perché cavolo l’indomani la sveglia suonerà, ecco che lei torna. La zanzara. Un rimuginio semi-verbale che darebbe fastidio anche a me se non fosse da me stessa prodotto.
Perché è proprio in quel momento, signore e signori, che il più autentico, il più genuino, il più profondo vittimismo s’impossessa della mia anima. E qui, secondo me, il termine adottato per indicare quel cartoncino c’entra qualcosa. Quando lo vedo, con quel suo colore tra il marrone e il grigio, quasi pixelato, inevitabilmente sporco di qualche residuo adesivo di carta igienica non strappata come si deve, apriti cielo. No: apriti porta. Spalancati e fa sì che tutti possano udire la mia ira funesta. O, senza scomodare Omero, che mia madre o mia sorella sentano il mio richiamo lamentosissimo e mi portino un nuovo rotolo.
Nella maggior parte dei casi, comunque, ciò non avviene. E quindi ho un motivo in più per invocare la mia solita sfortuna. Cioè. Non solo sono la gabbata di turno dal destino. Non solo sono sempre io a rimpinguare il rifornimento di carta in tutti i bagni di casa (che poi sia anche quella che non sopporta di trattenere nemmeno un vaghissimo accenno di stimolo corporale, vabbè, è un dettaglio ininfluente). Non solo sono l’unica in famiglia a preoccuparsi di mantenere un approccio over (qui ci stava, me lo dovete passare). Non solo…
Perché alla fine guarda che sfortuna si è pure messo a piovere. E la macchina l’ha presa mia sorella e a lavoro ci devo andare con i mezzi pubblici. E l’abbonamento alla metro è scaduto, dunque dovrei acquistare il biglietto. Ma la moneta l’ho finita (comprando le sigarette). Ecco lo vedete quanto sono sfortunata?
E comunque Tizio non si fa sentire da una vita. Ma guarda un po’ con che gente mi tocca avere a che fare. Io di certo non lo rincorrerò con il sacchettino del miele.
Per non parlare di Caia, che sicuramente, guardate ci scommetto, mi darà buca all’appuntamento di stasera. E così sarò uscita per niente. Ma soprattutto mi sarò messa inutilmente il mascara e dovrò fare l’enorme fatica di struccarmi senza che ce ne sia stata una più che valida ragione.
dovevo immaginarlo che c’entrava l’anima con la fine della carta igienica, che è sul podio delle cose peggiori nel campionato degli avvenimenti irrisori che ti rovinano la vita
Non solo, in definitiva, tutto questo. Ma anche il fatto che io debba trovare un modo il più discreto possibile (caratteristica che non mi si addice granché in questo momento) per arrivare allo sgabuzzino dei rifornimenti per il bagno, scoprire che anche lì le scorte di carta igienica sono finite, trovare altre mille ragioni per arrabbiarmi e inveire contro il mondo, scendere quindi le scale e raggiungere la cantina per attingere alle nuove scorte. Che, come al solito, porto io al piano superiore.
Nel frattempo, ovviamente, stanno suonando alla porta e, visto che sono l’unica in casa, devo aprire e accogliere un ospite. Mai così indesiderato (e sfortunato).
E se la prima parola che vi è venuta in mente leggendomi è vittimismo, beh, questi e altri scherzi giocano gli oggetti quotidiani. Come l’anima.