“Da domani si cambia musica!”
Mi scuso in anticipo, qui ci sono più pensieri che emozioni, ma se le seconde possono influenzare i primi è vero anche il contrario, e oggi mi sento di spingere sul versante opposto!
Quando ho ascoltato l’ultimo album degli Strokes, Comedown Machine, sono rimasto piacevolmente sorpreso dal cambio di rotta di questa capacissima rockband, sulla scena ormai da oltre quindici anni. Sarà rimasto probabilmente deluso chi si aspettava un album dai tipici toni rock della band, smorzati di molto rispetto agli album precedenti ma, a mio parere, a vantaggio di una composizione più “matura”, più complessa. Chiaramente non è su questo che voglio soffermarmi, pure perché trovo abbastanza inutili le recensioni dei dischi, o, meglio, utili più a chi le scrive che a chi le legge. Inoltre in nessun campo come in quello della musica i critici vengono spesso smentiti dal tempo e dalla storia.
Ad ogni modo, non molto tempo fa mi sono trovato a parlare con un amico di questo album; lui è uno di quelli che non hanno apprezzato molto questo cambio di direzione, preferendo la più spiccata vena rock dei lavori precedenti. Al di là del fatto che è sempre piacevole, per me, parlare in modo spassionato e appassionato di queste cose, quello di cui mi sono reso conto è che molto spesso i cambi di rotta delle band non sono ben visti dai fan. Su questo può esserci poco da rimproverare, alla fine un album può piacere o non piacere, e se mi appassiono a un gruppo perché suona in un certo modo è anche normale che io mi aspetti quel tipo di musica.
Tuttavia i cambiamenti esistono. Fermiamoci un secondo a pensare a quante cose sono cambiate nelle nostre vite negli ultimi dieci anni: sarà che dieci anni fa ero un adolescente, e guardandomi indietro a stento mi riconosco, ma penso che sia altrettanto facile per tutti immaginare quante cose cambiano in questo lasso di tempo, quanto noi stessi cambiamo. Perché i musicisti dovrebbero essere esentati da questo discorso? Anche loro sono persone, anche nelle loro vite i pensieri, le emozioni e i modi di esprimere questi pensieri e queste emozioni si modificano. In dieci anni un gruppo produce mediamente tre album, con le dovute eccezioni (allo stato attuale i Daft Punk – dopo oltre vent’anni di carriera – hanno all’attivo lo stesso numero di album in studio di Miley Cyrus, quattro, ma fortunatamente la differenza si nota); se pensiamo ad artisti sulla scena da venti, trent’anni, come possiamo aspettarci la stessa musica dal primo all’ultimo album?
Il fatto è che secondo me spesso non viene fatta una semplice e al tempo stesso complessa operazione: mettersi nei panni altrui, in questo caso quelli del nostro amato artista.
Cambiare è un atto di coraggio[… ]ed è anche un mettersi alla prova, un lasciarsi andare alla sperimentazione senza mettere le briglie alla propria creatività.
Per concludere un’altra cosa che mi ha dato tanto da riflettere, della quale mi sono reso conto soprattutto suonando, è il particolare collegamento in musica tra il fine e i mezzi, tra quello che vuoi dire e come scegli di dirlo. Mi spiego meglio: ti piace un gruppo, ami da morire tutti i loro dischi e non vedi l’ora che esca il prossimo, anche se, tra una cosa e un’altra, il cantante si è messo a fare un album solista (tipico). Le voci sull’uscita del nuovo album del gruppo stentano a farsi sentire, in compenso cominciano a girare le solite voci disfattiste riguardo lo scioglimento del suddetto gruppo, le quali suscitano in te notevole fastidio. Più che fastidio, disperazione. Ma il mio pensiero va al momento degli inizi: perché quella formazione si è configurata in quel modo? Perché con quelle persone e non altre? Perché con due chitarre e non con un violino? La risposta che mi do è questa: perché quello era il modo migliore per dire ciò che si voleva dire. Se cambia ciò che hai da dire, perché non può cambiare anche il modo in cui lo dici? A volte lo puoi inserire nello stesso contesto, reinventandolo e dandogli una nuova forza vitale, ma altre volte, considerando anche che c’è da tener conto della testa delle altre persone, semplicemente no.
Insomma, non ho dubbi che un album che vi ha fatto schifo continuerà a farvi schifo, com’è anche normale e giusto che sia, ma spero che il mio messaggio sia arrivato: la musica è come l’amore, se ami una persona il più grande gesto che tu possa fare è quello di lasciarla libera, libera di essere ciò che è, qualunque cosa essa sia, e penso che ciò valga anche per gli artisti che amiamo. E mo beccatevi sto pezzone!