Come mi vorrei… me!
Se volete eliminare la trasmissione Come mi vorrei dalla faccia della terra, c’è una petizione su Change.org.
Nel programma Belen Rodriguez insegna alla maggioranza di noi, donne normali e non strafighe-argentine-spaziali, che la vita sentimentale funziona se ci si adatta a uno standard uguale per tutti. Lei spiega a noi e alla nostra straordinaria unicità, le regole generali e infallibili per rimorchiare uno.
La prima (implicita) è: non cominciare neanche a parlare con un uomo finché c’è Belen nella stessa stanza. La seconda è: lasciala stare, ‘sta unicità che non serve a nessuno, mantieni sempre un profilo basso e il più possibile indifeso, passa per povera cretina, così lui ti troverà irresistibile e sarai sua per tutta la vita. Perché è quello che vuoi, no, essere di proprietà di qualcuno per tutta la vita?
Non sono riuscita a vederne una puntata intera. Ne ho capito il senso attraverso mini-somministrazioni di un minuto e mezzo, che è il limite massimo della mia soglia di sopportazione davanti alle buffonate. E credo che il motivo per cui la trasmissione comunque chiuderà non saranno le quaranta mila firme raccolte su un sito web, ma il fatto che, da un mese, non riesca a sfondare il 4% di share.
Ma perché programmi tipo Ma come ti vesti, che trasformavano comunque gli anatroccoli in cigni, hanno funzionato?
Enzo e Carla, i due fashion-vattelappesca-consulting, sono tutto fuorché due soggetti che avrei mai sognato di prendere a esempio. Primo, perché hanno imposto nel linguaggio comune la parola “outfit”, che non ci ha arricchito affatto, sappiatelo. E poi perché sono due convintoni secondo i quali una, quando esce il pomeriggio con le amiche, non può rinunciare al tacco dodici.
Il tacco dodici ti permette di fare allegramente la strada che separa il posto dove hai parcheggiato la tua macchina e l’ingresso al centro commerciale. Sempre che tu sia riuscita a guidare. Dopo aver camminato quei cinque minuti, non fai più davvero niente allegramente. Ti lamenti come una condannata a morte, finché le tue amiche in converse non ti lasciano su una panchina per andarsi a comprare splendidi tacchi dodici da usare nei momenti più opportuni, tipo i matrimoni (e basta!).
Però lo stereotipo di Real Time, è diverso. Oltre a scovare delle vere racchie indecenti (con tutta l’apertura mentale che, giuro, ho), si spacciava per un “ti faccio vedere come dovresti andare nella società”. Intendevano dire che le regole per l’outfit erano basate sulla società di Enzo e Carla.Il programma di Belen la dice peggio: devi essere così perché sennò nessuno te se piglia (alla romana).
E questo nasce da una serie di convinzioni mentali delle quali mi sono illusa avremmo presto fatto a meno. E invece, queste tematiche vengono fuori quando meno te l’aspetti, nella vita di tutti i giorni.
Un mese fa mi sono tagliata i capelli. Li ho portati a metà schiena per più o meno tutta la vita. E poi, come avevo predetto un po’ di anni fa, alla soglia dei trenta ho deciso che era il momento di tagliarli. La storia dello strettissimo rapporto tra le donne e i loro capelli è vecchia quanto il mondo, credo. O forse anche questa è stata inventata dagli americani per spingere col marketing i parrucchieri e i balsami liscianti.
Quando ti tagli i capelli chi ti rivede passa tutto il tempo a osservarti stralunato. Sul serio, ha lo sguardo di chi è tutto preso a modificare a malincuore l’immagine che ha avuto di te fino a quel momento
La cosa meno buffa, è lo stereotipo. Tutte le conversazioni che la gente intraprende con me, ormai, iniziano con una domanda: “Ma l’hai fatto perché hai cambiato lavoro/città/uomo/ritmo circadiano/alimentazione?”. E io cerco di rispondere che no, non c’entra niente tutto questo, forse c’entrano i trenta, forse sono tutte cose insieme o, forse, semplicemente, ero pronta per tagliarmi i capelli.
E ho ricordato di quando il mio migliore amico è passato da metallaro con capelli più lunghi dei miei, a versione bimbo della Kinder. Così, da un giorno all’altro. Mi ricordo che quando si sedeva, per i primi mesi, aveva mantenuto quel tic di portare un po’ avanti la testa per non schiacciare la sua chioma inesistente sullo schienale della sedia.
Nessuno, dico nessuno, si è mai sognato di dirgli: oh, ma allora, che è successo, ti sei lasciato con la ragazza, hai trovato una nuova ragazza, hai un lavoro, ti sei dato al narcotraffico e così sembri meno sospetto o avevi finito lo shampoo e non ti andava di ricomprarlo?
Tutti l’hanno solo preso in giro perché, davvero, sembrava il bambino della Kinder.
Mentre io, a pasquetta, mi sono scontrata per almeno la terza volta in un mese con una conversazione. Ho incontrato per caso un amico che non vedevo da due anni, che ha praticato la ginnastica oculare di cui sopra per tutto il tempo dei miei aggiornamenti, in religioso silenzio, finché non ho detto questa frase:
“E poi sai, c’è questo ragazzo…”
“Ah, ecco!”
“Ecco, cosa ecco?”
“Ecco perché ti sei tagliata i capelli!”
Ecco perché firmo le petizioni contro Come mi vorrei. Perché nella testa di molte persone, una donna si taglia i capelli per colpa, o merito, di un uomo. E il titolo di quel programma, è tutto sbagliato. Dovrebbe chiamarsi Come mi vorresti.
Il Come mi vorrei, è molto più bello e vero. E’ lì, dove un taglio di capelli vuol dire libertà di poter fare con se stesse quello che ci diverte, senza dover essere per forza devastate dalla vita o dover piacere all’uomo che abbiamo, se c’è.
Perché quell’uomo ci amerà comunque, anche rasate a zero. E se ti rasi a zero e lui non ti ama comunque, allora è l’uomo sbagliato.
Perché non fare una trasmissione su questo, Belen?