“Mettici la mano”, istruzioni per uscire dai nostri scantinati e rivedere la luce della speranza
Un bagno di umanità in un umile scantinato nel cuore antico di Napoli, sotto lo sguardo misericordioso di una Madonna Addolorata che tutto sa, tutto comprende e tutto perdona. È la primavera del 1943, fuori piovono le bombe sganciate dalla contraerea americana annunciate dal suono ossessivo delle sirene che intimano alla popolazione di riparare nelle viscere della città. Dentro, qualche gradino appena sotto il livello della strada, un integerrimo uomo in divisa, una guaglioncella strappata troppo presto alla spensieratezza della sua età, e un femminiello che si guadagna il pane vendendo amore scardinano giudizi e pregiudizi, disegnando una giustizia più giusta, non miope ma in grado di guardare oltre e al di là di ciò che viene definito delitto.
Il brigadiere Raffaele Maione (Antonio Milo), Bambinella (Adriano Falivene) e Melina (Elisabetta Mirra) valicano il perimetro narrativo del commissario Ricciardi e, sempre grazie alla penna di Maurizio de Giovanni e alla regia del compianto Alessandro D’Alatri, si trasferiscono sulle tavole del palcoscenico portando in scena per la terza stagione consecutiva la pièce teatrale “Mettici la mano”. Quasi due ore di racconto che mi inchiodano alla poltrona e che, riaccese le luci in sala e calato il sipario, mi fanno venire subito voglia di rivederlo, ancora e ancora. Noi di Fus raccontiamo – o almeno ci proviamo – emozioni, e quelle vissute in questa domenica pomeriggio da poco trascorsa hanno tanti nomi e tanti volti. Ma ce n’è una, di emozione, che per me le abbraccia tutte e che si chiama Napoli.
Lo scantinato diventa un confessionale per Melina che, grazie alla dolcezza di Bambinella, dà finalmente voce allo schifo che ha dovuto subire e di cui – per sua fortuna – non conosce fino in fondo la verità. Le tre virtù teologali trovano abiti su misura nel solo apparentemente burbero Maione, che con Carità lascia libera Melina; in Bambinella, che nutre e semina Fede aggrappandosi alla statua della Madonna e pregandola di salvarla dai bombardamenti; in Melina, che ha sgozzato il suo uomo nero per dare Speranza a sé e alla bambina che porta in grembo.
Un inno alla vita mentre tutto intorno puzza di morte, distruzione e disperazione. Una lezione di accoglienza in quel melting pot che Napoli rappresenta da sempre, abituata come è da secoli a non respingere la diversità e a farne, invece, tesoro. Una città Madre come nessun’altra, che da uno scantinato partorisce tre vite rinate dalle macerie della guerra che è fuori e dentro ognuno di noi.
Grazie, dunque, alla terra mia per aver ispirato questa storia.
Grazie alle “maschere” di Maione e Bambinella, sguardi magnetici, “uocchie ca me parlate”, per le risate e gli occhi lucidi.
Grazie al Teatro per la mano che ci ha messo nella mia vita.
Abbiamo visto “Mettici la mano”
Produzione: Diana or.l.S
Regia: Alessandro D’Alatri
Autore: Maurizio de Giovanni
Interpreti: Antonio Milo, Adriano Falivene, Elisabetta Mirra
SI ringrazia l’ufficio stampa del teatro Parioli di Roma Maya Amenduni