Lettura n. 43 Brevemente risplendiamo sulla terra di Ocean Vuong
Little dog, giovane vietnamita scrive una lunga lettera alla madre, Rose, che ha portato con sé i traumi della guerra, una lettera che libera ogni tipo di emozione dal tumulto interiore del protagonista ma pare non arriverà mai alla madre. Little dog è un soprannome datogli per sopravvivere in un mondo difficile dove la propria identità è minacciata perché “diverso” dagli altri, in un contesto di una cittadina del Connecticut, in cui i gialli non sono ben visti, il giovane si aggrappa perciò a qualsiasi cosa possa portare bellezza nel suo mondo. Vive con la madre, che lavora in un centro estetico, questa donna è abituata ad ascoltare i guai delle persone, a cui fa pedicure e manicure. Con loro due anche la nonna Lan, il cui nome significa Orchidea, la nonna orchidea condivide con sua figlia il trauma della guerra.
Posso dire con sincerità che ho incontrato passi bellissimi, strazianti e commoventi nella narrazione in cui la cifra dello stile poetico si avverte moltissimo, ma ho incrociato anche parti in cui mi sembra che l’autore abbia perso un poco il focus, rendendo la tensione molle e deviando rispetto al potente nucleo centrale. Forse lo ha fatto volutamente, forse Vuong non aveva intenzione di fare un memoir, una storia autobiografica nel modo in cui siamo abituati a pensare e a leggere.
Vuong urla in un modo soffocato la sua diversità, il suo legame simbiotico con la madre ma soprattutto il suo sentirsi immigrato nel mondo americano di cui non riesce a far parte e da cui deve anche difendersi “non facendosi troppo notare in quanto vietnamita”. Questa la parte della storia che mi è sembrata più notevole delle altre, la questione dei nuovi immigrati, di come questa situazione sia vissuta attualmente e di quanto sia necessario e importante parlare di inclusione nei giusti termini. Certo c’è anche il tema dell’omosessualità, del trauma post bellico vissuto dalla madre e dalla nonna, della malattia di quest’ultima ( qui ci sono passi che mi hanno fatto tremare d’emozione), il tema del disfacimento del corpo, e dell’ardore della scoperta del sesso, ma anche i temi delle origini e del valore dei sogni infranti, delle generazioni precedenti , cadute in frantumi contro il muro della realtà della guerra e poi c’è la nostalgia della terra natìa ormai lontana. Tanta roba insomma, in certi passi ci si perde un po’ e il racconto, a mio parere, sfuma in tanti temi perdendo leggermente di intensità e di concentrazione.
Vuong ha un enorme punto di forza nella voce narrante, probabilmente questo aspetto gli viene dalla poesia, gli rende una voce vibrante ed emotiva nella sua espressione, e questo sicuramente mi induce a leggere il suo precedente libro di poesie, dello stesso editore (Cielo notturno con fori d’uscita, La nave di Teseo, 2017).
Little Dog disattende ai consigli della madre simbiotica e anche un po’ violenta, non scompare, non si nasconde per paura di non essere accettato, e si manifesta a noi in tutta la sua luce bianca, come quella del latte che gli è dato a bere da bambino, un latte simbolo di purezza. Vuong si rende al lettore visibile attraverso le sue parole in cui tanti invisibili potranno riconoscersi.
Un bel libro, con riflessioni che ti restano addosso dopo aver terminato ma di una bellezza inconsueta per me di cui non so bene dire. “Perché l’unica cosa da dire sulla bellezza è che è bella solo fuori da sé stessa.”