Lettura n. 39 Fame d’aria di Daniele Mencarelli
La semplicità è una conquista, lo credo da sempre, è un punto di arrivo, per poi ripartire più leggeri per il nostro viaggio, qualunque esso sia. In questa storia bellissima e assolutamente “normale” nel dichiarare apertamente quanto sia difficile essere genitori di fronte alle complessità che la vita ci dà, incontriamo un padre cinquantenne e suo figlio diciottenne in auto, durante un viaggio in Italia, in cammino verso la Puglia per festeggiare l’anniversario di matrimonio ma qualcosa va storta, l’automobile, un po’ datata e malandata, si ferma all’improvviso e con lei devono fermarsi genitore e figlio. Si ritrovano così in un paesino sperduto e dimenticato dalla civiltà, in Molise, dove tutto sembra essersi fermato al passato: poche botteghe, poche persone, ritmi lentissimi. Il primo abitante che Pietro e suo figlio Jacopo incontrano è il meccanico che deve riparare l’auto, e che gli comunica la necessità di dovere aspettare due giorni un pezzo di ricambio, consigliando un luogo nei dintorni, una sorta di locanda-pensione dove potrebbero alloggiare, dormire e mangiare. Il meccanico è il primo che si accorge di qualcosa che non va nel figlio di Pietro, un ragazzo dinoccolato che dondola e non parla, mugugna. Suo padre risponde in modo lapidario a chiunque chieda cosa abbia: “è autistico a basso funzionamento, bassissimo”. Mica tutti però sanno cosa significhi questa affermazione, così lui chiosa in maniera decisa e perentoria “significa che non parla, non sa fare nulla, si piscia e caga addosso”. Chiunque zittisce di fronte a una frase così, le parole vengono a mancare, l’immagine del padre che trascina sotto al braccio il povero Jacopo dice il resto. Una vita tutta condizionata e dedicata ai bisogni basici di questo figlio, una vita di stenti in cui si sa sempre quanti soldi esattamente si hanno nelle tasche, perché a fine mese le carte si bloccano e lo stipendio arriverà nel mese successivo. Ci sono i pannoloni da comprare, e c’è questo ragazzo che sa solo mugugnare per chiamare il padre, che non è libero neppure di fare una doccia. Non vive più Pietro, sembra invecchiato prima del tempo, ha chiuso ogni comunicazione con il mondo esterno, nessuno entra nella sua dimensione di prigione emotiva, ha congelato le emozioni, non gli occorrono. Forse Gaia, la giovane donna che lavora alla pensione riesce a scalfire la corazza, tocca con un dito il cuore e l’anima ma non sappiamo se sarà sufficiente ad aprire di nuovo Pietro alla vita. Ci si dimentica della bellezza quando ci si annulla nei bisogni di un altro essere umano, anche se questo è nostro figlio. Mencarelli con una lingua precisa, nuda, senza orpelli, ci consegna la libertà di urlare il sacrificio quando l’amore genitoriale non basta, di scardinare ogni giudizio perché alla fine il peso di certe vite è inconfutabilmente doloroso, tanto da non farci più vivere. Eppure aprire gli occhi sul mondo e sulla bellezza, a volte dimenticata, è ancora e sempre possibile.