Canzone contro la paura
La mia amica scrittrice abita in un appartamento all’ultimo piano di un palazzo molto antico in zona Crocetta.
È una casa buia, ma piena di fascino. Ci sono degli arazzi orientali alle pareti, cicche di sigarette e fazzoletti ovunque, fotografie di lei insieme a diverse persone nei posti più affascinanti e remoti del pianeta.
Ci eravamo conosciute qualche tempo prima a un corso di scrittura creativa che seguiva lei in persona.
All’inizio mi era sembrata un’ottima idea iscrivermi per il semplice motivo di amare la lettura ma appena dopo la prima lezione, il corso si era trasformato in una specie di terapia di cui avevo bisogno per riuscire a superare alcuni ostacoli presenti nella mia vita, dei quali non ero a conoscenza.
Vorrei che pensaste alla vostra vita, scavate nell’infanzia, dissotterrate quel qualcosa che vi blocca, ci ha detto la prima lezione, scrivete.
Pensate alla vostra infanzia, ci aveva detto, a una storia della vostra vita, a un aspetto che ritenete una porta chiusa, il punto che vi ha fermato all’inizio di un cammino mai intrapreso.
E se all’inizio sembrava tutto senza senso, mentre guardavo lo schermo con la mente svuotata, dopo un po’ qualcosa aveva preso una forma inaspettata, potrei dire come di verità rivelata.
Ho letto il tuo racconto, brava, molto profondo, interessante.
Sappi che la roccia gigante che non ti permette di muoverti, mi aveva detto, è la paura.
Insegno lettere in una scuola superiore da un po’ di anni ormai e mi ritengo una docente molto energetica; nonostante con il passare del tempo la distanza tra me e i ragazzi si vada ad ampliare in maniera esponenziale mantengo la fama di essere una che tutto sommato li capisce, direi comprensiva e attenta alle loro necessità nonostante io insegni una materia piuttosto fumosa, diciamo, per molti di loro. Al lavoro sono alla mano, sorridente, la persona alla quale i colleghi si affidano per ricordare le incombenze e spesso per risolvere i problemi.
Faccio lezione, torno a casa e continuo a fare progetti, a scrivere relazioni, a studiare e a correggere verifiche.
E faccio poco oltre al lavoro perché a meno che io non sia a scuola o a casa non vado quasi da nessun’altra parte.
Compro quasi tutto online, vedo alcuni amici su Zoom, viaggio pochissimo.
Non è stato sempre così, quindi che storia posso raccontare con sincerità in questo momento? Nessuna. Quindi ho scavato, come ha detto la mia amica.
Dopo la fine del corso abbiamo continuato a frequentarci ed è nata una bella amicizia.
Le pochissime volte che esco vado da lei che si è presa a cuore questa lettrice ansiogena.
Ci versiamo un po’ di vino, scambiamo notizie sul lavoro, la aggiorno riguardo alle ultime parole di slang giovanile, ridiamo.
Finirai per non uscire più nemmeno per andare a lavorare, mi ha detto una volta che sono andata a trovarla.
Da quell’incontro in cui stabilì il verdetto sulla mia paura le cose sono un po’ peggiorate.
Non riesco più a guardare un telegiornale con tranquillità, ad affrontare la realtà in maniera equilibrata, tutto mi sembra vano, terrorizzante, fragile.
Serve più coraggio per stare a questo mondo e compassione dei propri limiti, mi aveva risposto.
Dove si trova il coraggio? Insegno a degli adolescenti raccontando loro l’origine dell’ispirazione, il pensiero letterario e ora grazie al ministero devo anche parlare costantemente di educazione civica per crescere cittadini consapevoli; poi però io accendo la TV e loro quelle app nelle quali si perdono per ore e tutto ciò che avviene nel mondo è un inquietante contrapposizione a ogni parola che esce dalla mia bocca. Vorrei smettere di raccontare menzogne sia a loro che a me.
Non puoi farti carico del mondo, mi ha detto la mia amica scrittrice, per certi versi è andata sempre allo stesso modo. Da una parte la totale mancanza di amore, dall’altra il suo contrario, eros e thanatos. Stai, in un certo senso, mettendo da parte la tua sofferenza per riempirla con quella del mondo intero e così facendo non risolvi niente su te stessa e sicuramente niente su quella del mondo.
Ti serve una canzone contro la paura, mi ha detto.
Leggo con molta attenzione gli scritti degli alunni del mio corso di scrittura, mi ha detto, e devo dirti che sono quasi tutti pieni di paura. Di questi tempi non lo trovo strano. Gli ultimi anni sono stati una sfida per chiunque; in realtà la questione è più complicata di così, te l’ho detto. Vorremmo tutti non soffrire, non vedere soffrire gli altri. Chi più chi meno…nel senso che quelli ipersensibili soffrono per tutto il male del mondo, tu sei così. Io invece soffro per me, voglio e devo risolvere prima questo punto; altrimenti non riesco ad aiutare gli altri, mi ha detto.
Tu hai una canzone contro la paura? Le ho chiesto.
Ho una canzone, ma per ognuno è diverso, mi ha risposto. Potrebbe anche essere altro, non necessariamente una canzone: una preghiera, una nenia, una danza, un rito. In Congo ma anche in Salvador de Bahia per esempio, ho visto tante persone fuggire dalla paura nei modi più diversi, mi ha detto.
Non voglio avere paura o almeno vorrei che smettesse di sabotarmi.
Oltre ai miei progetti ci sono questi ragazzi che vedo crescere e ai quali auguro sempre una buona vita. Ripongo tonnellate di speranza e ottimismo su di loro ma temo di non risultare sincera se per prima non credo a una parola di quello che dico.
I loro genitori spesso miei coetanei, hanno un aspetto smarrito, affaticato, indolente; sono sempre sulla difensiva, hanno questioni irrisolte; e non lavoro in una scuola difficile. Noto a grandi ondate l’apatia, il disinteresse, la mancanza d’amore; anche io sono diventata così.
Guardo il telegiornale e quella sensazione di vuoto si amplia fino a lasciarmi senza respiro.
Mi sembra che questo mondo sia rotto, le ho detto.
Bisogna ricomporre prima noi stessi, mi ha risposto.
Nell’ultimo anno c’era stato questo alunno, con un carattere terribile; mi sfidava, tirava la corda per cercare di capire fino a dove poteva spingersi. Non serve a niente la scuola, diceva, odiava tutti. All’inizio perdevo la pazienza velocemente, scrivevo note, mi dilungavo in discorsi infiniti ma senza successo.
Bisogna ricomporre prima noi stessi.
La consapevolezza della mia paura mi aveva portato ad ascoltare un po’ di più. Ho cercato di capire le sue motivazioni, ho discusso a lungo con i suoi genitori, avevo intuito l’origine di tutta la sua fragilità; e anche se continuava a comunicare pochissimo e lavorava spesso male e poco, ho dato spazio ad altre sue capacità osservandolo mentre disegnava. Faceva delle illustrazioni bellissime piene di ragnatele, disegnava tratti sicuri con la china. Nelle ragnatele si delineavano volti, a volte sembravano specchi rotti, labirinti.
Guardavo i suoi disegni e avrei voluto dirgli, tutti abbiamo paura. Volevo dirgli che lo capivo, passerà, pensavo.
Negli ultimi tempi in più di una occasione qualcuno aveva suonato e poi al citofono non aveva risposto nessuno; avevo visto soltanto sfrecciare una bici e poi niente.
Forse è quella la mia canzone contro la paura, ho detto alla mia amica scrittrice.
Il suono di un citofono? Mi ha chiesto.
Non te lo so spiegare, qualche volta quando stavo per perdermi di nuovo in certi pensieri il citofono ha suonato. Ho visto una bici sfrecciare. Mi è sembrato per un attimo che le cose potessero davvero andare meglio.