La bellezza dei bambini
Ricordi di scuola assortiti.
Vent’anni fa per gratificare una collega fidanzata con un percussionista e danzatore del Camerun, io e le altre maestre decidiamo di fare un percorso artistico coi ragazzini e lui in esibizioni di danze e canti popolari della sua terra. Con l’occasione potevo rispolverare le mie piccole percussioni e divertirmi come una pazza con la scusa della didattica. Un tempo la didattica era ancora importante, prima della scuola-azienda del profitto, dei test e dell’omologazione. Il giorno delle prove generali, il maestro Pierre si presenta in abito tradizionale e strumentazione varia. Un metro e novanta di ragazzo in un tripudio di colori e di tamburi. Elargisce regalando uno strumento a ogni maestra, a me, alla collega di classe e alla collega consorte, e ci posizioniamo ai suoi piedi come funghi infestanti; altrettanto inutili, ma decorative. Davanti a noi due classi di ragazzini indemoniati. I ritmi dei tamburi e i canti li scatenano ancora di più e a un certo punto il chiasso si fa ingestibile.
Pierre tenta di riprendere il controllo buttandola sull’ironia, si ferma di colpo e urla a voce stentorea:
“Ragazzi, ragazzi, se non fate silenzio non si può continuare! Adesso sì che sono incavolato nero!!!”
A questo punto si alza in piedi uno scricciolo della mia classe, punta il dito dritto verso il maestro, mentre gli si avvicina, scavalcando elegantemente due compagni che si azzuffano in terra:
“Eh no, maestro, tu non sei nero, sei marrone!”
Alunno di maestra pittrice, erano soddisfazioni. Gli schiocco un bacio sui capelli e riprendiamo, miracolosamente, le prove.
Più o meno nello stesso periodo, salgo in segreteria amministrativa con alunno al seguito come mamma oca, poco prima della pausa mensa. Devo mendicare i punti per la spillatrice. Trovo l’assistente amministrativa con gli occhi vitrei davanti allo schermo e l’espressione amletica. Mi dirigo verso l’armadietto della cartoleria e faccio finta di rovistare, col mio scudiero, alla ricerca della scatolina dei punti. C’è una scena da teatro in arrivo, me lo sento. La collega della dubbiosa alza il maestoso culo dalla sedia e si avvicina alla scrivania…
“Che è successo?”
E quella, affranta:
“Devo scrivere una lettera ad una scuola e non mi ricordo se si scrive ‘un’insegnante’ oppure ‘un insegnante’ senza apostrofo, mannaggia!”
Tocca alla culona:
“Verooo! Sai che non mi ricordo neanche io?”
Io e il mio alunno, quarta elementare, abbiamo sentito tutto, si mette in punta di piedi e mi sussurra nell’orecchio:
“Glielo diciamo noi, maestra? Mi fanno un po’ pena…”
Il cuore grande dei bambini. Ma io sono una vecchia strega, allora giovane, ma sempre strega… ho pena dei giovani disoccupati, certo non di queste due che usurpano un posto di lavoro. Lo trascino fuori dalla stanza un attimo prima che alzino lo sguardo implorante nella mia direzione. Le stesse che mi hanno sempre costretto a pagarmi fotocopie e caffè, all’epoca. Ma io sono mezza siciliana, perdono ma non dimentico. Il bimbo mi fa:
“E le puntine? Non le abbiamo prese!”
“Domani le compro in cartoleria, tesoro, tranquillo!”
“Ma tu sei sposata, maestra?”
Stavolta l’episodio ha meno di 6 anni. Sono già fuori dalla classe destinata a biblioteca, cartellonistica e laboratori. Rispondo, secca:
“Sì!”
Alzo il muso dal cartello che sto decorando e incontro gli occhi verdi e attenti di Irene, 8 anni, sotto il ciuffo biondo impertinente. Irene. Indagatrice e complice. Me lo voleva chiedere da giorni, lo so. L’ho vista, per giorni, fissare le mie mani sgombre imbrattate di colori, controllarmi quando ero al telefono, registrare un mio sorriso malinconico.
“E hai figli?”
“Sì, uno, un po’ più grande di te (e ugualmente rompiscatole, penso).
“Perché allora non porti il cerchietto d’oro al dito come mamma mia?”
“Fede, si chiama fede, quel cerchietto d’oro. Mi dà un po’ fastidio, diciamo, mentre lavoro. Vedi che non ho anelli, né bracciali… e poi è solo un simbolo esteriore, un anello. È il cuore che conta. E devi sapere che noi reali (scherziamo tanto, io e i suoi compagni, sul fatto che mi chiamino “principessa” come nelle nostre fiabe), non indossiamo la fede, di solito. E portiamo la corona solo durante le cerimonie ufficiali. Normalmente, mai”.
“Aaaah”
Ridacchia lei.
“In più lo sai che da maestra do’ una grande importanza alle parole. ‘Fede’ è uguale a ‘Fiducia’. Ne abbiamo parlato tante volte, grazie alle nostre fiabe”.
“Ho capito, maestra principessa, tu sei senza fiducia!”
“Esattamente, piccola mia”.