Le vite degli altri
Ogni tanto mi capita, anzi direi più di una volta, di immaginare la vita degli altri. Come quando vedi una vecchia casa con i vetri delle finestre rotte, i muri scrostati dal tempo e i balconi arrugginiti e ti domandi chi ci viveva tempo fa, se quel balcone aveva dei vasi di fiori e le pareti interne erano spoglie o piene di quadri. Se nella cucina c’era un divano e che viso avevano le persone che quella casa la abitavano.
Immagino spesso come sia fatta la vita degli altri, e cosa prova per esempio quell’uomo che vedo nella piazza del mio paese al mattino, o che musica ascolta quella ragazza che vedo spesso con le cuffie nelle orecchie, mentre cammina vicino al parco poco distante dalla piazza.
Penso se la sera prima di andare a dormire le paure bussino soltanto alla mia porta oppure no, e di cosa sono fatti tutti i giorni della vita degli altri che delle volte mi sembrano sempre splendenti. Questo immaginare chiamiamolo così, lo faccio certamente con discrezione, chiedendomi cosa si nasconde dietro quello schermo che ultimamente fissiamo troppo spesso come un gesto che appartiene alle nostre abitudini da sempre e che non ci permette quasi più guardarci negli occhi per davvero. Credo di domandarmi sulla vita degli altri anche per un altro motivo, per un pensiero che spesso mi accompagna e che va a braccetto con quel giudizio negativo che riserviamo troppo spesso a noi stessi, non consentendoci la possibilità di essere anche fragili, o spaesati e impauriti. C’è una strana credenza, quella di pensare che le nostre fragilità valgano meno di quelle degli altri ma soprattutto che gli altri, certamente, non hanno il cervello che frulla quanto il nostro tra mille pensieri, come se avere timore significasse valere meno, come se fosse sempre una gara di prestazione di apparenza, e non di sostanza. Tutto questo rimuginare credo ci porta spesso a rintanarci ancor più in noi stessi, mentre costruiamo mattoni di una fortezza che ci somiglia, che ci stringe ma non ci avvolge e che spesso lascia così poche fessure da non consentire nemmeno a un raggio di sole di entrare nel nostro giardino. Quali sono i fiori che vogliamo coltivare? Un petalo volando può arrivare lontano, una spina può cadere soltanto giù, è necessaria solamente per apprezzare il fiore, mentre la bellezza va cercata altrove. Quanti fiori potremo aver perso. Quanti ancora sicuramente potremo coglierne.
Forse abbiamo paura di sentire calore sul viso? Di scottarci? di apprezzare un nuovo profumo? Non lo so. Continuo a farmi domande, a chiedermi se i punti interrogativi siano solo i miei, se quell’uomo che vedo nella piazza del mio paese al mattino si è domandato le stesse cose, e se quelle stesse cose un giorno forse se le domanderà quella ragazza che vedo spesso camminare vicino al parco con le cuffie nelle orecchie.
Mi sembra che ultimamente ci travestiamo da sarcasmo, superficialità e sorrisi a metà, e che il pensiero delle nostre debolezze sia un mezzo che utilizziamo per costruire quella fortezza in cui abitiamo solo noi. Nella vita degli altri, proprio come nella mia, proprio come nella tua ci sono giorni belli e meno belli, paure e pensieri e un sole grande che basta davvero per tutti.
Guardiamoci, non siamo poi così diversi. Qual è il tuo fiore preferito?
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Jacek Dylag – Sabina Sturzu