L’eterna seconda
Ristorante chic, due giovani fidanzati al tavolo. Lui è felicissimo, ha appena concluso un film da aiuto-regista col suo maestro-mito.
“Senti che poeta, il mio capo. A fine lavoro ha voluto registrarmi una lettera di ringraziamento!”
“Come, una lettera? Una registrazione sarebbe una lettera?”
“Sere, amore, non ti ricordi, lui non ci vede… ha una brutta malattia degenerativa agli occhi… è il motivo per cui mi ha preso come assistente. Io sono stato i suoi occhi e il suo obiettivo per tutta la durata delle riprese. Che figata, e che onore, per me!”
Ha gli occhi umidi adesso, nota lei. Le iridi verdeazzurre che l’avevano incantata, all’inizio della loro storia. Ha gli occhi umidi. E lei ha capito davvero di occupare saldamente il posto di eterna seconda. Prima per lui veniva il suo lavoro, il cinema, e quindi quel cazzo di regista semicieco. È ancora immersa nei suoi pensieri, quando il ragazzo spinge il tasto “play” della registrazione, e le infila un auricolare tra i capelli. L’altro lo tiene nel suo orecchio.
“Si sente…? Riesci a sentire bene, amore?”
Le chiede, premuroso. Le scappa una smorfia sarcastica. Quando fanno l’amore tutto questo interesse per le sue sensazioni non lo manifesta. L’eterna seconda… ma poi decide di non rovinargli la felicità, perché lei sì che lo ama, fessa, e finge interesse e partecipazione.
Per concentrarsi meglio sulle parole, la ragazza chiude gli occhi. E assapora la voce profonda e falsamente rassicurante, come acqua di lago, del “maestro”. Ferma e senza esitazioni, accenti, modulata alla perfezione come uno strumento ad arco.
“Angelo mio, amico mio e compagno… si è appena concluso un volo a cui tenevo particolarmente e ora, di nuovo sulla Terra, godiamo insieme il risultato del nostro lungo viaggio. Come in una festa con due soli invitati. Tu ed io. Perchè solo noi due sappiamo la nostra fatica e la paura. La paura dell’inizio e della fine. Ho trovato il coraggio di realizzare questa storia tenuta in mente da anni, da ancora prima della malattia, solo e unicamente dopo aver incontrato te. Il tuo entusiasmo, la passione, l’amore puro per questa arte maledetta e seducente come una droga… mi hanno restituito alla vita, mi hanno fatto innamorare ancora del mio mestiere. Che a dispetto di tutto, l’età, il male, la depressione rimane la mia ragione. Il mio mestiere, che diventerà il tuo. E mi supererai, anche, come accade ai grandi maestri. Mi consola molto sapere che se ci sei tu, al mondo, in grado di perpetuarmi. Se Dio ha mai visto il tempo, lo ha fatto attraverso i tuoi occhi. E la mia anima. Grazie”.
Commovente, davvero, sorride lei. A Serena, del cinema, importa relativamente. Lei studia Psicologia, e ha sviluppato negli anni una sua teoria che classifica in modo inesorabile i tipi umani. Si dividono in 4 categorie, dal più comune al meno presente in natura.
Alla categoria 1, molto diffusa, appartiene lo STRONZO-IDIOTA, di cui il fidanzato è fiero esponente. Subito dopo il BUONO-IDIOTA, e qui le viene in mente la sua amica del cuore Camilla; la conosce da quindici anni, ormai. Decisamente più rara la categoria dello STRONZO-INTELLIGENTE, come il grande regista. Poi ci sono i rarissimi, quelli che hanno vita dura, costretti a splendere tra la merda come i diamanti, come lei, continuo bersaglio di tutte le altre categorie. I pochi appartenenti al gruppo BUONO-INTELLIGENTE. Il o la NARCISISTA può appartenere alla categoria 1, e lì diventa una pericolosa mina vagante: chi si sente infallibile e continua a fallire senza un minimo di esame di coscienza e della situazione. Opportunismo sregolato. Altrimenti, può appartenere alla categoria 3, diciamo alla sua evoluzione. Almeno lo stronzo narciso intelligente capisce da sé quando è il caso di abbandonare il campo (sa autoregolarsi).
“Amore, amore… “
La voce la raggiunge fino agli spazi siderali dove era in compagnia dei suoi pensieri.
“Torniamo a casa, dai, ci vediamo in anteprima il film”.
Non vedo l’ora, pensa lei, mentre si lascia trascinare in macchina.
Arrivati a casa, eccitato come un bambino si butta per terra davanti al divano e allo schermo. la dolce Serena gli si accuccia accanto come un cane quieto. Parte la prima scena: Esterno. Fine del giorno. Una giovane donna sui 25 anni, capelli neri e lisci, occhi scuri, lineamenti orientali, cammina nel suo kimono dorato; il sole del tramonto si ferma sul suo abito, facendola splendere come una piccola dea. È snella e minuta, sembra una statuina votiva. I suoi piccoli piedi sono nudi, le unghie laccate di rosso, anche quelle delle mani. Non indossa gioielli. Si trova in un prato, sembra una pineta vicino al mare, che si intravede in lontananza. Ai suoi piedi, rumoroso e ostile, un carlino anche lui dorato; sta abbaiando a qualcosa nell’erba, mentre la ragazza è silenziosa e sorridente. Lei e il carlino stanno cercando pinoli caduti dai rami. Entrambi i musi concentrati e bassi sul tappeto erboso. Appoggiato a un albero poco distante, in terra, un uomo. Molto diverso, molto più grande. Barba e capelli di un antico biondo diventato argento, gambe lunghe, occhi grigi, trasparenti. Indossa un elegantissimo completo grigio. La donna d’oro e l’uomo d’argento, si direbbe, a osservarli da lontano. “Non si conoscono”, spiega il ragazzo, non si sono mai incontrati. Eppure alloggiano nello stesso hotel sul mare!” Serena annuisce, ebete. L’uomo elegante ascolta musica in cuffia, seduto, la schiena appoggiata ad un pino secolare. A un certo punto della sua ricerca, la damina in kimono entra nel campo visivo dell’uomo, e a lui esce, a voce altissima per via delle cuffie ottundenti, una domanda:
“Deve preparare una torta? Oggi compio 52 anni!”
E lei:
“No, una collana commestibile!”
E si allontana, visibilmente turbata. trascinando il suo carlino in piena crisi di nervi.
“Che capolavoro, questa scena, e tutta in presa diretta!”, esulta lui.
Serena si alza, distrutta dal sonno e dalla noia. Una scena lentissima, e dialoghi inesistenti. Ma lei non è “artista”, che ne può capire, lei …
“Vai a fare una tisana, amore?”
“No, vado a fare pipì”.