Verdi al Massimo
Ogni tanto mi soffermo a guardare le copertine variopinte dei libri che compongono la libreria di casa. L’occhio è caduto su un libro illustrato. La copertina riproduce il bozzetto del primo atto di Vespri Siciliani e questo tomo ricco di immagini e scene teatrali è a cura del Teatro Massimo; è il ricco catalogo di una mostra del 2013 in occasione del bicentenario della nascita di Verdi.
“Verdi al Massimo”… Verdi e il Massimo.
Giuseppe Verdi e il Teatro Massimo di Palermo è certo un’occasione irripetibile per un’appassionata di musica lirica. La prefazione è a cura del Sovrintendente dell’epoca: il professore Fabio Carapezza Guttuso recentemente scomparso.
Al capitolo ‘Sintonia di Note e Colori’ la pronipote del compositore ci racconta cosa avvenne il 16 maggio 1897.
“Mentre Giuseppe Verdi scriveva lo Stabat Mater, il Falstaff inaugurava il grandioso edificio costruito con tufo calcareo degli architetti Basile: il Teatro Massimo di Palermo.”
Falstaff fu l’ultima opera del cigno di Busseto, quella della vecchiaia e del disincanto. La terza tratta dai drammi di Shakespeare ma, a differenza del romanzo del drammaturgo inglese Sir John, nell’opera di Verdi, come indicazione dello stesso titolo, Falstaff è il protagonista assoluto.
È l’opera lirica che esprime al massimo la concezione teatrale e musicale del compositore: recitar cantando.
Il Teatro palermitano scelse di inaugurare proprio con questa opera verdiana.
Sfogliando il libro la mia attenzione cade sul capitolo ‘Verdi al Massimo e non solo’. Lo leggo tutto d’un fiato, lo sottolineo nei tratti, molti, più avvincenti e alla fine, solo alla fine, ne scopro l’autore: Gioacchino Lanza Tomasi.
Musicologo italiano, considerato fra i massimi studiosi del teatro d’opera ed erede di quel Tomasi scrittore del Gattopardo. Sorrido per la stima all’uomo e per il simbolo per noi siciliani del suo illustre cognome.
L’opera verdiana giunse a Palermo quattro anni dopo la prima rappresentazione, ciò dimostra, scrive l’illustre professore, che il consenso iniziale per la partitura era stato tiepido e di routine.
Casa Ricordi, che manterrà il dominio dei cartelloni nel teatro siciliano fino alla fine del secondo conflitto mondiale. Nel 1895 al Politeama il pubblico palermitano aveva decretato il successo di Bohème dopo il fiasco torinese, così per inaugurare il suntuoso e immenso teatro palermitano si pensò di ricorrere alla bacchetta di Leopoldo Mugnone, già direttore della succitata opera pucciniana.
Spulciando gli aneddoti a distanza di centosedici anni (in riferimento alla data della pubblicazione 2013) risaliamo all’origine della costruzione dell’edificio.
Il Teatro Massimo era sorto su un’area di chiese e conventi, ciò causò lo sdegno della Sicilia clericale e invocò la maledizione sui responsabili del sacrilegio. Il vero sacrilegio fu la vendita a privati di tutto ciò che era negli istituti religiosi, perfino lo scalone rosso di Castelvetrano.
Lo stesso Umberto Primo, che si sentiva snobbato dalla nobiltà palermitana, con stupore e disappunto non riteneva opportuno che Palermo avesse un teatro così grande. Questo ed altro sicuramente stimolò invece la “casa regnante palermitana” dei Florio che con ostinazione vollero la fine dei lavori del teatro.
La critica non fu clemente e insinuò che quella sera del 16 maggio si volle inaugurare ad ogni costo anche se i lavori non erano finiti.
Strana coincidenza che si verificò anche nel 1997 in occasione della riapertura dopo ventitré lunghi e oscuri anni!
Già da subito il Massimo diede segni di fragilità, con in cartellone due delle opere verdiane più rappresentate allora come oggi: Aida e Traviata. Ciò comunque non fu sufficiente e nei due anni successivi il teatro rimase chiuso. La riapertura del 1901 avvenne con il supporto di Ignazio Florio.
Negli anni successivi le opere verdiane si alternano in ogni stagione fino al 1930, anno nel quale viene riproposto il Falstaff con e per il baritono palermitano Mariano Stabile, nipote dello statista al quale è stata intitolata una strada cittadina.
Il cantante aveva studiato il ruolo a Milano con Toscanini e rimase il Sir John di riferimento per moltissimi anni per averlo interpretato più di milleduecento volte nel mondo.
Dopo anni di oblio per la scelta dei teatri di rappresentare altri autori la Verdi Renaissance nel mondo tornò dopo gli anni venti.
Palermo al Massimo ebbe il suo Verdi nel 1960 con una produzione di grande rilievo artistico.
Macbeth (ancora Verdi e Shakespeare) con la direzione di Gui cantarono Giuseppe Taddei e la sultana Leila Gencer la quale ritornò a Palermo per ‘La Traviata’.
Anni d’oro per la lirica e per il teatro siciliano, grandi artisti si alternavano ad altrettanto bravi registi e direttori d’orchestra.
“Come si cantava bene allora in Italia quando i palchi di primo e secondo ordine erano venduti ai melomani più sfegatati anziché alle SpA per i loro ospiti di rappresentanza… la gente se ne intendeva e gli artisti erano felici di essere compresi” scrive Gioacchino Lanza Tomasi.
Verdi al Massimo per la riapertura è ritornato con Aida e nelle stagioni successive è stato presente nei cartelloni del grande teatro palermitano, secondo per palcoscenico in Europa solo al quello di Parigi, e terzo per grandezza.
I titoli verdiani sono sempre di grande attrazione per il pubblico.
Onore alla musica di Verdi e al Teatro della mia città che mi auguro vada sempre al massimo.
Ringrazio il libro/catalogo per gli spunti e in particolare gli scritti di Gioacchino Lanza Tomasi.
Foto di Giota Sakellariou: https://www.pexels.com/it-it/foto/citta-soleggiato-arte-punto-di-riferimento-4089286/