Punto e Virgola – Io non ho paura di Virginia Woolf
“Io non ho paura di Virginia Woolf” è il commovente e intimo capolavoro di Claudileia Lemes Dias, scrittrice affermata che ha prestato la sua parola per supportare la rassegna “Punto e Virgola”. Questa volta è il momento di sentire la voce di una madre. Che non ha paura di Virginia Woolf.
Io non ho paura di Virginia Woolf, di Claudileia Lemes Dias
Ai tempi miei queste cose non si facevano. Nossignori.
Dormire a casa della tua amichetta a dieci anni? Ma per favore! Vai a lavare i piatti piuttosto! E i compiti?! Per i compiti mica hai tutta questa disponibilità!
Perciò, quando le due piccole creature salgono i tre piani di scale che conducono a casa mia, con i loro zainetti imbottiti di mattoni e calcestruzzo, sole solette e sprovviste di genitori a carico, mi sembra di vedere due piccoli angeli che arrivano senza strombettare da chissà quale angolo del Creato.
La biondina attraversa la soglia con un balzo, svelta e curiosa, mentre la mora rimane sulla soglia, sospettosa e affaticata.
Guardo la mia, di creatura: è euforica! Non vedeva l’ora di fare il suo pigiama party. Da quando la sua stanza è stata ultimata se la tira a scuola raccontando della carta da parati rosa damascata e del nuovo puffo tutto rosso, dove si butta, con l’aria imbronciata, quando la noia picchia giù duro.
«Ciao ragazze! Datemi questi zaini, porto io sul soppalco! Accipicchia, ma quanto pesano!» dico sorridendo.
«Mamma mi ha chiesto di salutarti, non è riuscita a trovare parcheggio!» spiega Ramona, la biondina.
«Anche la mia ha chiesto di salutarti!» rincorre Stella, la mora.
Stella la conosco un po’ meglio. Era già venuta qualche volta, per dei lavoretti fatti in gruppo. Durante i cinque anni dell’elementare avevo preso qualche caffè assieme alla sua mamma. Subito dopo aver lasciate le piccole a scuola, era quasi consuetudine per molti genitori fermarsi qualche minuto al bar. Lei ed io, tuttavia, non avevamo quasi mai il tempo di farlo, perciò quando capitava di incontrarci parlavamo di banalità oppure avanzavamo delle lamentele sulle problematiche inerenti ai troppi compiti assegnati alle nostre figlie…
«Venite, venite!» esclama la mia, facendo strada lungo il corridoio.
«Un’attimo!» la blocco io «Cosa volete per pranzo? Pasta? La pizza? Cotolette di pollo?»
«Per me hamburger e patatine!» ordina Ramona.
«E per te Stella?» chiedo.
«Anche per me va bene », replica lei, animata.
«Sicure, ragazze?»
«Sissì!» rispondono all’unisono.
«D’accordo. Scendo a prendere gli hamburger e un po’ di pane. Mi raccomando, fate le brave! Sarò qui sotto, al supermercato.»
«Non si preoccupi, sono abituata a stare da sola», risponde Stella, con l’aria responsabile.
«Addirittura!» esclamo, ironica.
«Da quando avevo otto anni!» accresce lei, con fierezza.
«Pure la mia mamma mi lascia da sola, vero mamma?» dice la mia, in vena di competizione.
«E quando mai?» domando, stranita.
Lei arrossisce.
«Ma certo…» corro ai ripari «Quando vado in farmacia e… al supermercato…»
Dall’alto dei suoi due anni e mezzo l’Esuberante mi salva. Per un attimo molla i suoi dinosauri preferiti sul tappeto del salotto, si aggrappa alla mia gamba destra e guarda sospettoso la biondina mai vista a casa.
«Enzo viene con me.» avviso «Volete qualcosa da bere?»
«Coca-Cola» risponde Ramona «Stella la beve solo light, ma a me non piace molto e…»
«Venite, ragazze! Camera mia è sul soppalco!» gracchia la mia pargola.
Le tre femminucce spariscono sotto i miei occhi. Prendo in braccio l’Esuberante e scendiamo le scale. Obiettivo: acquisto schifezze da mangiare!
*
La fetta di pomodoro la mette in disparte. Lo stesso fa con il formaggio che cola dall’hamburger. Non tocca le patatine. Mangia un quarto della carne e del pane, ma beve due bicchieri di Coca-Cola light. Rifiuta il gelato e poi…
«Dov’è Stella?» chiede Ramona, interrompendo l’animato racconto di una gita familiare.
«In bagno!» risponde la mia, abboccando un cucchiaio di gelato.
Fermo la mano dell’Esuberante nell’atto di gettare in aria un’altra patatina fritta:
«Credo abbia bevuto troppa Coca-Cola…» provo a dire.
Balzata dalla sedia, Ramona corre in bagno. Al contrario dell’amica, aveva ripulito l’intero piatto, mangiato il gelato e adocchiato i mandarini nel cestino.
«Aspettami!» strilla la mia.
«Ferma.» la blocco «Vado a vedere se Stella si sente bene. Controlla un attimo tuo fratello.»
L’Esuberante si divertiva giocando con la sua pasta corta, lanciandola dentro il bicchiere dell’acqua.
Prima di bussare sulla porta del bagno avverto un bisbiglio. Incerta sul da fare, tentenno qualche secondo ancora. E se Stella si sente male?
«Tutto a posto, ragazze?»
Silenzio.
«Ti senti bene, Ste’?»
«È tutto a posto!» risponde Ramona.
«Ste’?» insisto io.
La porta si apre. Stella ha gli occhi lucidi.
Poggio a terra l’Esuberante.
«Bella mia, ti fa male qualcosa?» le chiedo.
«No. Tutto bene. È solo che non avevo fame…»
«Amore, non c’è problema!» dico, sollevata «Non ti preoccupare, non mi offendo! Non ti devi vergognare. Vuoi che ti metto da parte ciò che hai lasciato? Hai mangiato poco, forse più tardi ti verrà fame!»
Lei fa di «no» con la testa, il che mi sconcerta.
«D’accordo». Sorrido, grattandomi il capo.
L’Esuberante torna a mettersi in mostra, catturando la loro attenzione. Si butta a terra provando a fare una capriola. La sorella lo raggiunge. Inizia una battaglia di solletico collettivo dalla quale scappo in fretta e furia verso la cucina. Devo metterla in ordine prima di portare l’Esuberante a letto per il pisolino pomeridiano.
Guardo il piatto di Stella e un senso di inquietudine mi assale.
‘È troppo selettiva nel mangiare’, me l’aveva detto sua madre, mesi prima, durante uno dei nostri caffè ‘a volte mi esaspera, ma alla fine mangia tutto’. Perché me l’aveva detto? Anche sforzandomi, non riuscivo a ricordarmi l’argomento…
Alzo le spalle, sentendo le risate infantili che provengono dalla camera dell’Esuberante.
La giornata si preannuncia lunga. So per certo che il piccolo farà fatica ad addormentarsi e che non riuscirò a finire il racconto che avrei voluto ultimare. Avendo bisogno di tempo per ulteriori ricerche, probabilmente dovrò mettermi al computer durante la notte, il che mi toglierà un bel po’ di energia per il giorno successivo, quando vagherò per casa come uno zombie cercando di inseguire l’Esuberante, che certamente inseguirà l’idraulico che verrà a casa per sistemare una perdita in bagno. E gli idraulici – è cosa risaputa ma nessuno ve lo dice – vengono apposta per martellarti il cervello nei giorni in cui hai mal di testa, hai un mucchio di cose da fare oppure un racconto da ultimare. E mica arrivano per risolvere unicamente il tuo problema. Magari fosse così! Arrivano per chiederti prima la scopa, poi il secchio, poi delle buste della spazzatura, poi il Viakal e chissà se tuo marito non ce l’ha questo o quell’attrezzo che manca nella loro cassetta? Oh, e perché non scendere a prendere un caffettino mentre tu cerchi nello sgabuzzino e in soffitta ciò che manca? E mentre stai cercando ciò che non hanno portato, ecco che suona il citofono e sono proprio loro, di ritorno, per chiederti se hai trovato ciò che serve oppure no. Perché se non hai trovato… ecco che riscendono per andare dal ferramenta, sempre insieme, come delle amichette che vanno in bagno, di modo che potrai attenderti una nuova citofonata quando avrai piazzato il tuo bambino davanti ai cartoni animati e ti sarai finalmente seduta davanti al computer per occuparti del… Pranzo! Perché alla fine saranno le 12.30 e ti toccherà cucinare. Ci sono bocche da sfamare, baby! Ma chi ti credi di essere?
Diceva Virginia Woolf ‘Una donna deve avere denaro, cibo adeguato e una stanza tutta per sé se vuole scrivere romanzi.’ Concordo. Non so perché ho memorizzato il suo biglietto di addio al marito ‘Carissimo, sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi…’
«Mamma, mamma!»
Guardo la soglia della porta della cucina mentre svuoto i piatti sul contenitore dell’organico e mi ritrovo di fronte i quattro piccoli. L’Esuberante sembra imbarazzato.
«Enzo si è fatto la cacca addosso!» urla la mia.
«Che puzza!» esclama Ramona, ridendo.
Sospiro. O meglio, respiro il tanfo che proviene dall’Esuberante.
L’Aniene è proprio lì… due sassi e…
Al diavolo la letteratura inglese!
Sorrido alle ragazze e dico la mia frase più eroica. Il motto dei miei quarant’anni di vita: CI PENSO IO!
Trascino l’Esuberante in bagno. Lo spoglio. Lo lavo sul bidet. Lo asciugo. Lo rivesto. Lavo i vestiti sporchi. Ei, ragazze, serve qualcos’altro? No. Alleluia! Lo porto in camera. Lui si addormenta. Quasi quasi mi addormento anch’io, ma c’è il racconto e… c’è pure il silenzio
Il silenzio, mio Dio! Mi alzo piano piano. Controllo le ragazze. Bisbigliano e ascoltano la musica, ma il volume è basso. Sono appollaiate sul soppalco, un ambiente accogliente abbastanza da sembrare una casetta sull’albero. Non hanno alcun motivo per muoversi di lì, mi dico. Dal salone non si sente un bel niente e allora via col computer portatile sul tavolo della camera da pranzo! L’Aniene che si prosciughi perché il mio racconto verrà ultimato!
*
Al terzo morso delle fettine panate c’è la corsa in bagno e lo scatto della compagna di classe.
Guardo marito e figli, rimasti interdetti e… prendo il via anch’io.
Incollo l’orecchio sulla porta del bagno. Stavolta una di loro piagnucola, ma non riesco a individuare chi e cosa dice.
Busso per educazione, anche se so che la porta è difettosa e posso irrompere, volendo.
Nessuna di loro risponde.
Entro.
Ramona mi guarda con gli occhi azzurri spalancati. Stella abbassa i suoi, congestionati dalle lacrime. Guarda in basso, verso il pavimento scuro del bagno, come se nel buio ci fossero delle risposte alle domande che sa di dover rispondere.
La scruto. Ispeziono la sua maglietta troppo larga, il viso mingherlino ricoperto dalle lacrime oramai copiose, le braccia troppo fine…
«Tu non riesci a mangiare, vero?» le chiedo, a bruciapelo.
Lei annuisce.
«Lei ha paura che le venga la pancia!» rivela Ramona.
«E tu che ne sai?» le chiedo.
«Fa sempre così.» continua lei, in vena di parlare «Le dico di smettere di fare la scema ma…»
Stella continua a fare scena muta.
«Non vuole ingrassare!» continua Ramona, un fiume in piena.
«Ramona… Potresti uscire un attimo?»
La piccola finalmente si zittisce.
«E va bene!» ubbidisce, leggermente contrariata.
Abbasso il coperchio del water e mi ci siedo su.
La verità è che non so cosa dirle. A casa siamo tutti mangioni. Abbiamo la nostra pancetta di famiglia e… Ecco un’idea! Mi rialzo in piedi:
«Anvedi ‘sta cosa qua?» dico, alzando la maglietta «Questa è una signora pancia. E sai perché è fatta così? Perché sono mamma di tre figli. Perché ho quarant’anni. Perché mangio male. Perché non mi muovo per niente e sto sempre davanti al computer provando a scrivere qualcosa di decente per editori che mai mi pubblicheranno e gente che mai mi leggerà!»
Lei mi guarda con gli occhi ingigantiti, ma continuo:
«Queste qua erano tre farfalline che mi sono tatuata a 18 anni!» esclamo, indicando i miei tatuaggi «Dimmi un po’ cosa ti sembrano ora? Non ti sembrano tre orrendi pipistrelli!»
A quel punto lei si mette a ridere.
«E il mio ombelico sembra una caverna dove s’imbucano tutti questi pipistrelli qua!» indico.
«Ma no, dai!» cerca di consolarmi lei «Guarda la mia… è bruttissima.» lo dice e innocentemente alza la sua magliettina.
Mi risiedo sul water col sorriso oramai morente sulle labbra.
«Vieni qui.» le dico, seria
Lei mi si avvicina.
Le prendo il visetto tra le mani:
«Ascoltami, amore… Non ti devi preoccupare di questo, ok? Sei troppo piccola. Hai solo dieci anni. Alla tua età tutto ciò che mangi va praticamente via, perché c’è una cosa che si chiama metabolismo. Ecco, il mio è lentino, perché sono già grande. Il tuo, però, funziona alla grandissima! Hai capito?»
Lei fa di sì con la testa, ma so che il mio discorso non le resterà impresso.
E lo so dalle ossa che spiccano sotto la sua maglietta rosa con stampato un unicorno ricoperto di paillettes.
«Quanto detto da Ramona è vero? Hai veramente paura di avere la pancia?»
Annuisce, piangendo.
«Amore mio…». L’abbraccio. La metto sulle mie ginocchia, come se fosse la mia. Le dico che è bellissima, ma che è necessario nutrirsi per rendersi ancora più belle. Le dico che non deve pensare a cosa le dice lo specchio, che gli specchi andrebbero tutti rotti perché sono dei cattivoni che ci fanno solo soffrire. Le dico che pure le bilance andrebbero tutte rotte, se vogliamo proprio dire le cose come stanno.
La poggio a terra. Si è calmata:
«Dimmi un po’… C’è qualcosa che mangi che non ti fa stare male?
Lei mi fissa, col moccio che le cala dal nasino.
Riformulo la domanda:
«Qualcosa che non ti fa correre in bagno?» chiedo, strappando un pezzo di carta igienica e porgendole.
Lei ci pensa un po’, poi mi risponde, soffiandosi il naso:
«Le mele.»
«Solo le mele?»
«Il cocomero» sussurra.
«Il cocomero» ripeto.
Spiego che la stagione dei cocomeri è passata, ma che le mele ce l’ho.
Usciamo dal bagno e ci dirigiamo verso la cucina. Gli altri sono in salone. Guardano un film preso alla videoteca. L’avevamo noleggiato apposta per il pigiama party.
Prima le apro il frigo. Nulla di ciò che c’è dentro le piace. La metto davanti alla fruttiera. Sceglie la mela più piccola e mi chiede di sbucciarla. Eseguo. La taglio a spicchi, eliminando i semi. Metto tutto dentro un piatto di frutta e ci risiediamo a tavola. Inizia a mangiarla a fatica, partendo dallo spicchio più piccolo. La lascio sola e vado in salone per rassicurare gli altri, che l’attendono per il film. Dico che va tutto bene e che Stella ha soltanto un po’ di mal di pancia. Rientro in cucina. Ha mangiato la metà della frutta. Alza il piatto per farmelo vedere. Le dico che è stata molto brava e le accarezzo i capelli. Mi dice che c’è una cosa in frigo che le piace e che la mangerebbe. Mi illumino. È l’insalata verde, dice, ma a patto che sia scondita, come la mangia la mamma. Chiedo se vuole che la prepari. Fa di no con la testa. Preferisce finire la mela…
Finita la mela senza molto entusiasmo corre a mettersi in pigiama.
Dormiranno in salone su dei materassi gonfiabili.
Chiamo la mia.
«Lo sai perché ti chiami Luna?»
«Uffa, mamma. Certo. Me l’avete detto mille volte. Posso andare a guardare il film?»
«Dimmi perché.»
«Mamma, ti prego…»
Insisto con lo sguardo.
«E vabbè. Avrei dovuto chiamarmi Lucia, come la mia nonna. Ma la notte in cui hai partorito ti sei affacciata alla finestra dell’ospedale e hai visto una luna stupenda. Era piena e bianca, lassù nel cielo. Tu non avevi mai visto una luna così bella e allora… siccome quello era uno dei giorni più belli della tua vita mi hai chiamato Luna. ”Come è unica e piena la luna, anche la mia lo sarà. E sarà bellissima, così come viene al mondo” Ecco cos’hai pensato. Posso andare ora?»
«Vai, vai…», le dico, baciandole la fronte.
«Che fate lì? Porto Enzo a nanna!» ci informa il papà.
«D’accordo!»
Bacio i maschi di famiglia e mi dirigo verso il bagno.
Mi rinchiudo dentro pensando al da farsi, mentre attendo che la vasca si riempia. Stella ha un problema serio. Mangia a scuola? E a casa, come si comporta? Domani chiamerò i suoi genitori. Non posso restare ferma a guardare. Si è fidata di me.
Il rumore dell’acqua mi assorbe.
Penso ancora alle parole della Woolf, diventate un chiodo fisso da quando ho accantonato la Letteratura in nome di un bene maggiore…
«Cosa vuoi?» sussurro a lei, utilizzando la mia vecchia tecnica di schiacciare i demoni «Guarda che so perfettamente di non essere come te. Mi sono arresa da tempo. Forse scriveresti su questo ma io non credo di farcela. Voglio soltanto aiutarla, anche se non so bene come. E poi sai che c’è? Forse non servono i quattrini e nemmeno una stanza tutta per me, ma vado avanti lo stesso. Magari è proprio questo andare avanti la mia grande opera, il mio talento.»
Lei, come al solito, non dice nulla.
Mi alzo e mi dirigo verso lo specchio. Ho le occhiaie, devo rifarmi la tinta ai capelli e da settimane mi scordo la crema per il viso. Credo di aver perso ogni vanità. Mi denudo e mi osservo… I miei pipistrelli! Chissà come mi è venuto in mente e chissà se avrei dovuto farlo!
«Puoi restare lì quanto vuoi» dico al fantasma tormentato alle mie spalle «io non ho paura di te. Sono tempi duri anche questi, insorgono nuovi demoni ma forse, se ci uniamo, possiamo…»
A tutta risposta lei sparisce.
Non sopporta le mie banalità.
Chissà se ritornerà.